Posts written by #Michelle

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    Titolo: Random Variable
    Fandom: Pacific Rim
    Personaggi: Newton Geiszler, Hermann Gottlieb
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, What if? (E se...)
    Conteggio Parole: 600
    Note: 1. La mia OTP su Pacific Rim resta la Hansencest… ma non potevo non scrivere qualcosa su questi due cosettini così carini çAç <3
    2. Hermann è sposato con una modella inglese di nome Vanessa e stanno per avere un figlio (informazione presa da Pacific Rim: Man, Machines & Monsters). Nella fic ho cambiato un po’ la situazione. Lui e Vanessa hanno divorziato <3
    3. Dedicata all’amore mio che si è visto Pacific Rim solo per farmi felice ù_ù<3
    4. Non betata >w<


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    « Allora...»
    La voce di Newt pericolosamente vicina al suo orecchio riportò Hermann bruscamente alla realtà, facendolo quasi saltare sul posto e costringendolo a dimenticare per qualche attimo i festeggiamenti che si stavano tenendo nello Shatterdome dinnanzi a quell'importante vittoria appena conquistata - un successo ottenuto con non pochi sacrifici, ma la terra era finalmente salva.
    « Non dovremo più lavorare insieme», continuò l'uomo con un tono vago ma divertito.
    « Un vero sollievo, non credi?», ribatté Hermann piegando le labbra in un piccolo sorriso.
    « Già. Sei un pessimo collega! Tu e i tuoi numeri...»
    « Avevo ragione sul terzo evento!»
    Era una chiara frecciatina - il sorrisetto di Newt parlava chiaro - ma per lui era stato impossibile non infervorarsi.
    Era il suo lavoro. La logica e i numeri non erano mai sbagliati!
    « Noi», precisò in risposta l'altro scienziato mostrandosi soddisfatto e compiaciuto, « Avevamo entrambi ragione».
    Hermann sbuffò, scuotendo poi il capo quasi rassegnato. Per una volta doveva proprio dare ragione al suo collega.
    « Te lo concedo».
    « Detto questo, visto che non saremo più colleghi... pizza? Io e te, ovviamente».
    « Pizza?», ripeté lo scienziato spiazzato da quella chiara proposta così anomala ed inaspettata.
    « Sai, quella cosa rotonda. Dove vengono messe cose sopra come pomodori, formaggio, funghi...», spiegò divertito Newt.
    « L-lo so che cosa è una pizza!», esclamò stizzito, « Perché dovremo andare insieme?»
    « Per quello che ho visto durante il drift».
    Quell'affermazione stupì non poco Hermann, e una volta superato quel breve momento di confusione cercò di assumere di nuovo un'espressione più controllata.
    « Temo ti stia confondendo», ribatté gelido nel tentativo di preservare una certa immagine.
    Era assurdo come Newt - lo scienziato dalla personalità di un maledetto ventenne - riuscisse sempre a fargli perdere il controllo. Mai in vita sua aveva incontrato una persona così indisponente... eppure così importante.
    Non era stato semplice ammetterlo a sé stesso - soprattutto dopo il divorzio con Vanessa - ma Newt era diventato una parte essenziale della sua vita.
    Una costante indispensabile da quando avevano iniziato a lavorare insieme.
    Colleghi e rivali con due correnti di pensiero ben diverse che, in quell'ultima occasione, si erano unite per raggiungere un'unica soluzione.
    Da quando Newt era diventato così speciale? Non era in grado di definire una data fatta di numeri ed ore ben precise, e quello lo metteva non poco a disagio, ma non poteva cambiare ciò che provava.
    « Sai che non mi sto confondendo. Ero nella tua mente così come tu eri nella mia», insistette l'altro con sicurezza, costringendo Hermann a dargli suo malgrado ragione - per l'ennesima volta durante quella giornata!
    Aveva visto tutto - l'infanzia del suo collega, l'adolescenza e gli studi... ed anche qualcosa che non si sarebbe mai aspettato di vedere -, così come lo stesso Newt.
    Per ovvie ragioni non aveva dato peso a ciò che aveva visto durante la connessione con il suo collega - aveva sulle spalle il peso dell'intera terra da salvare! -, ma in quel momento che doveva fare?
    Non esistevano calcoli e schemi ben precisi in una situazione simile, non con Newton come costante principale.
    La sua sola presenza era un'incognita troppo complessa. Una variabile imprevedibile perfino per uno scienziato del suo calibro.
    Che cosa doveva fare?
    Come doveva comportarsi?
    Doveva... lasciarsi andare?
    « Allora... pizza?», insistette Newt, sorridendo ancora.
    Hermann esitò ma alla fine non poté non concedersi un sospiro. Tra la confusione e tutti quei dubbi comprese di poter seguire un'unica strada.
    « E pizza sia», accettò, tentando di non sembrare troppo entusiasta.
    Solo percorrendo quella via a lui sconosciuta poteva dare una definizione a tutto quello.
    Tuttavia, pur non volendo ammetterlo, in cuor suo era già in grado di darsi una spiegazione e suo malgrado non si trattava né di logica né di matematica.



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    Outside a Saint, Inside a Devil
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    E visto che ci sono vi spammo anche la mia prima storia originale! :3


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  2. .
    Titolo: Blame the Wine
    Fandom: The Mortal Instruments (Shadowhunters)
    Personaggi: Jocelyn Fairchild (Jocelyn Fry), Valentine Morgenstern, Lucian Graymark (Luke Garroway)
    Genere: Introspettivo
    Rating: Giallo
    Avvertimenti: Oneshot, Threesome, What if? (E se...)
    Conteggio Parole: 600
    Note: 1. Scritta per il COW-T 3.5
    2. Amo questa 3some çAç *muore d’amore* non ha senso, perdonatemi XD
    3. Dedicata all’amore mio ùçù




    C'era una strana luce negli occhi di Valentine. Un qualcosa che di certo l'avrebbe dovuta subito far mettere sulla difensiva ma che, forse complice la presenza di Lucian, alla fine non aveva fatto scattare niente.
    Jocelyn era consapevole del 'lato oscuro' di Valentine ma le bastava sapere che il suo migliore amico era lì con lei per sentirsi al sicuro... anche dopo qualche bicchiere di vino di troppo.
    Non erano soliti bere tanto ma quella sera Valentine era particolarmente felice - non sapeva in motivo della sua euforia - e aveva deciso di festeggiare prima con i membri del Circolo poi, in via più privata, con lei e Lucian.
    Una serata piacevole che, con il passare delle ore e dei bicchieri, era stata avvolta da un velo di confusione e sensi offuscati dal vino... che divennero sicuramente la causa della sua mancata reazione difensiva davanti allo sguardo malizioso di Valentine quando questo e Luke la accompagnarono a letto.
    « Sei proprio ridotta male!», ridacchiò Lucian, passandosi una mano tra i capelli e sulla fronte sudata.
    Jocelyn posò allora lo sguardo su di lui, scrutandone il volto arrossato e provato a sua volta dal vino che si erano concessi fino a qualche momento prima.
    « Non sei ridotto tanto meglio, Lucian...», ribatté invece Valentine, bloccando la pronta risposta della donna e posando una mano sulla spalla del compagno.
    Piegò le labbra in un piccolo sorriso, solo un rossore appena accennato sul viso di porcellana sembrava dimostrare una leggera ubriachezza, ma sembrava in ogni caso il più lucido tra tutti.
    « S-sì...», assentì Luke tremando visibilmente quando Valentine fece scorrere la mano sul braccio in una lenta carezza che si concluse sulle sue tremanti dita, « forse dovrei andare...»
    La sua voce era incerta, quasi imbarazzata per quel gesto così intimo mostrato addirittura a Jocelyn.
    « Resta», ordinò malizioso Valentine spingendo il suo corpo su quello di Luke, « resta con noi, Lucian».
    Quel 'noi', seguito dalle labbra del giovane uomo sulle sue, mozzarono ogni protesta e lasciarono Jocelyn quasi senza fiato.
    Immobile su quel letto, strinse le dita sulle lenzuola, osservando le labbra degli uomini più importanti della sua vita muoversi in un lascivo bacio che si concluse forse troppo presto quando Valentine si voltò verso di lei come per studiarne le reazioni.
    « Vieni», ordinò ancora e Luke, soggiogato dal suo potere e confuso dall'alcool, non poté far altro che seguirlo fino a raggiungere il letto che gemette sotto il peso dei loro corpi.
    Jocelyn socchiuse la bocca, pronta a protestare o a chiedere spiegazioni, ma tutto il suo corpo sembrava volersi rifiutare per accogliere invece le labbra del suo 'fidanzato' sul proprio collo. Un calore ormai familiare la fece fremere, costringendola ad ignorare quella situazione del tutto anomala.
    " Che sta succedendo?", si chiese quando la mano di Valentine strinse quella di Lucian per guidarla poi sulla sua gamba, strappandole un sussulto per quella carezza così incerta.
    Voleva rifiutarlo - era sbagliato! - ma non era neanche in grado di formulare un singolo pensiero coerente e lucido.
    C'erano solo quelle sensazioni familiari ma al tempo stesso 'nuove', che attimo dopo attimo le facevano vorticare la testa, tant'è che neanche si rese conto di essersi distesa, accettando un timido bacio che Luke le stava donando guidato dalla presenza di Valentine.
    Valentine, che come tante altre volte in passato teneva le redini del ‘gioco’.
    Per anni aveva criticato l’ascendente che quel giovane uomo aveva su Luke, ma in quel momento non riusciva neanche a considerare quella situazione come sbagliata.
    Era tremendamente imbarazzante e forse stava impazzendo, ma non le importava più di tanto. Sperava solo che il vino, che aveva reso possibile tutto quello, le concedesse anche la facoltà di dimenticare.




  3. .
    Titolo: Friend, or the closest thing
    Fandom: The Mortal Instruments (Shadowhunters)
    Personaggi: Hodge Starkweather, Lucian Graymark (Luke Garroway)
    Genere: Introspettivo
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Oneshot, What if? (E se...)
    Conteggio Parole: 600
    Note: 1. Scritta per il COW-T 3.5
    2. Non sapevo che scrivere e BUM! Ecco che cosa è successo X°D
    3. Dedicata all’amore mio che sta tanto male ç_ç <3




    Hodge era sempre stato più a suo agio tra i libri che tra le persone. Era infatti in grado di passare ore e ore seduto sulla stessa sedia della biblioteca dell'Istituto a leggere e rileggere quelle mute ma significative righe nere sui fogli bianchi.
    I libri parlavano di tante cose, eppure erano silenzi e non lo giudicavano per la sua incapacità di legare con il prossimo o per le sue scarse capacità da Cacciatore... perché era quello che era: un Cacciatore a malapena accettabile.
    Non aveva una grande sopportazione del dolore né era portato per l'uso delle armi. Tutto ciò che poteva fare era leggere e apprendere il più possibile, cercando l'amicizia che gli mancava in quei saggi oggetti inanimati.
    Da una parte doveva ammettere di essere abbastanza soddisfatto per le sue conoscenze, ma dall'altra trovava quasi frustrante la sua solitudine, soprattutto mentre sollevava gli occhi dalle pagine dei suoi libri per farli scorrere sulla biblioteca deserta.
    " Proprio come in questo momento", si disse affondando di nuovo con il naso tra le pagine del volume che stava divorando.
    Era una bella giornata ad Alicante, quale ragazzo sano di mente avrebbe avuto l'ardire di rinchiudersi in quella biblioteca?
    " Solo io", rispose mentalmente alla sua domanda. Era lui l'unico pazzo.
    « Ciao, posso sedermi qui?»
    Una voce, timida ma rispettosa, lo riscosse dai suoi deprimenti pensieri costringendolo ad alzare lo sguardo su un ragazzo poco più giovane di lui.
    Sembrava un tipo come tanti altri, notò facendo scorrere lo sguardo sulla sua figura - i capelli castani, gli occhi azzurri ed una corporatura atletica anche se non troppo muscolosa.
    Hodge rimase stupito da quella strana ed inaspettata presenza, e muovendo il capo assentì alla sua richiesta per osservarlo poi sedersi sul suo stesso tavolo.
    « Grazie», lo ringrazio il giovane posando i propri libri sulla liscia superficie in mogano, « ti sembrerà assurdo ma... non riesco a studiare se sono completamente solo», aggiunse come per volersi scusare e dare una risposta allo sguardo interrogativo che Hodge continuava a rivolgergli.
    « Fi-», si schiarì la voce, rimasta bloccata e secca in gola per ad lunghe ore di forzato silenzio, « figurati».
    Il ragazzo sorrise grato.
    « Comunque, sono Lucian Graymark», si presentò con tono gentile, piegandosi in avanti verso Hodge per potergli porgere la mano.
    Inizialmente si ritrovò ad esitare davanti a quel gesto, ancora troppo sconvolto per quella situazione per lui così improbabile, poi premendo tutto il coraggio che possedeva accettò la mano e si presentò a sua volta con un: « Hodge Starkweather».
    « Piacere!»
    Hodge ricambiò addirittura il sorriso quando Lucian piegò le labbra in risposta alla sua presentazione, ritrovandosi poi ad osservarlo di nascosto mentre si metteva a studiare - muoveva le labbra silenziosamente mentre ripeteva ciò che leggeva.
    Era una situazione davvero strana, tant'è che per la prima volta Hodge non riuscì a concentrarsi sulla sua preziosa lettura.
    " Un caso. È stato solo un caso", si disse al termine di quella serata durante la quale non si rivolsero più la parola se non per dei brevi saluti quando abbandonarono la biblioteca.
    Era così convinto che si trattasse di una casualità che il giorno dopo - e quello dopo ancora e quelli successivi a dirla tutta - si stupì non poco quando Lucian lo raggiunse e gli fece 'compagnia' con la sua silenziosa presenza.
    Ben presto quell'incontro diventò quasi un appuntamento, talmente importante che fatico quasi a riconoscere se stesso quando si rese conto di attendere con crescente ansia l'arrivo di Lucian e del suo: « Ciao Hodge».
    Non sapeva niente di quel ragazzo, ma davanti al sollievo che provava quando si faceva vivo, non faticò a vedere Lucian Graymark come un 'amico', o quanto di più simile.




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  4. .
    Titolo: Vita di Menzogne
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi: Dìs, Dwalin
    Genere: Introspettivo, Malinconico
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Oneshot, Het, What if? (E se...)
    Conteggio Parole: 600
    Note: 1. Scritta per il COW-T 3.5
    2. Headcanon! Mostriamo in breve una delle mie idee sulla mia OTP X°D
    3. Dedicata all’amore mio che sta tanto male ç_ç <3




    Non era la prima volta che Dwalin, guidato dall'irritazione e dalla necessità di stare vicino a Dìs, arrivava a spingersi fino all'abitazione di quest'ultima ignorando completamente il divieto di farsi vedere.
    Si erano sempre rivelati inutili i tentativi della Nana di tenerlo lontano, ma come ormai sosteneva Dwalin: « Qui non si parla di noi, ma di Kìli».
    « Smettila di venire qui, Dwalin! Non sei più il benvenuto e non voglio che tu abbia niente a che fare con mio figlio!», ringhiò Dìs quando quel nome lasciò le labbra del guerriero.
    « Sai come la penso. Kìli dovrebbe saperlo, così come tutti gli altri e noi potremo-», esordì Dwalin faticando a trattenere l’irritazione.
    « Dirglielo? Dirgli cosa? Che non è figlio di Vìli come suo fratello ma frutto della mia debolezza?», ribatté la Nana carica d'ira, faticando a nascondere la vergogna che ancora provava.
    Dwalin incassò il colpo ma non riuscì a trattenersi dall'afferrarla per le spalle come per scuoterla.
    « Quello che è successo tra noi non si può cambiare, ma Kìli merita di sapere la verità e non di avere una vita di menzogne...»
    Pronunciò quelle parole con una calma quasi innaturale, sperando di farla ragionare e spingerla a fare la scelta giusta.
    « È giusto che Kìli sappia chi è suo padre», aggiunse.
    « Non permetterti di dirmi cosa è giusto o no!», strillò Dìs, allontanandolo con un gesto quasi violento. « Tu... tu non sai niente di noi! Della mia famiglia! Non ci sei mai stato!»
    « Sarei presente! Potrei essere un... un buon padre per entrambi», rispose il guerriero sincero.
    « Solo Mahal sa quante volte ho sentito queste parole lasciare la tua bocca in passato, ed alla prima occasione mi hai invece voltato le spalle! Tu, Thorin e le vostre battaglie... lasciandomi qui con il timore di non vedervi mai più».
    « Sono sempre tornato, come promesso. Sei tu che non mi hai aspettato...», si difese duramente Dwalin, ferito da quelle parole.
    « Ti ho sempre aspettato! Ma alla fine ho scelto la sicurezza che Vìli era in grado di donarmi e non una vita di promesse vuote fatte da chi non riesce ad abbandonare la battaglia!», sbottò la Nana cercando poi di recuperare un po’ di quel contegno che aveva smarrito, « Dwalin un tempo ero disposta a... ad accettare una vita con te, ma ora ho altre priorità. Quello che c’era tra di noi ormai non esiste più».
    « Kìli non esiste quindi?»
    « Potrebbe non essere tuo figlio...», ribatté Dìs, distogliendo lo sguardo.
    « Menti», rispose il Nano cercando ancora di avvicinarsi a lei, « sai benissimo qual è la verità... sai cos'è successo quella notte».
    Già. Quella notte.
    Con il lutto per la tragica morte di Vìli in un attacco degli orchi e Fìli che, ignaro di tutto, continuava ad attenderlo speranzoso.
    Dìs era distrutta, a tal punto che la presenza di Dwalin si era trasformata in quel desiderio ormai così sbagliato che l'aveva poi portata a concepire il piccolo Kìli.
    La Nana scosse il capo per allontanare quei pensieri. Scostò di nuovo il guerriero, raccogliendo in uno sguardo glaciale e deciso tutta la sua determinazione.
    « Osi dare della bugiarda alla tua Principessa?», domandò con un certo distacco, volto a coprire la crudele verità che Dwalin stava in ogni modo cercando di portare alla luce.
    « Dìs...», mormorò il Nano, concedendosi poi un sospiro che lo costrinse ad abbassare il capo in segno di resa, « Mi perdoni Principessa, non intendevo mancarle di rispetto...», mormorò compiendo un leggero inchino e, senza attendere il permesso di accomiatarsi, si allontanò uscendo dall'abitazione della Nana, lasciando alle sue spalle menzogne e verità, promesse infrante ed un figlio che non sarebbe mai stato suo.




  5. .
    Titolo: What do you live for?
    Fandom: King Arthur
    Personaggi: Tristan, Galahad
    Genere: Introspettivo, Malinconico
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Oneshot, Pre-Slash, What if? (E se...), Missing Moments
    Conteggio Parole: 690
    Note: 1. Scritta per il COW-T 3.5
    2. E’ la prima volta che scrivo su questi due°° e non so neanche se sono riuscita ad inquadrarli. Comunque è un missing moment, ambientato dopo la notizia dell’ultima missione dei cavalieri .w. <3



    LpGlRy5



    Per Tristan era raro essere preso alla sprovvista.

    Non era solo un semplice guerriero, lui era anche un ottimo cacciatore e per questo si era sempre dimostrato molto attento a ciò che lo circondava, tuttavia quando di trattava di Galahad spesso e volentieri si ritrovava in situazioni difficili da gestire perfino per lui e per il suo ben noto controllo.

    Di fatti, quando il giovane sarmate lo attaccò con in volto un'espressione tra l'adirato ed il deluso, non riuscì a muoversi come desiderava.

    Furono sicuramente quelle emozioni, così visibili nel viso del suo compagno, a coglierlo di sorpresa e a impedirgli di reagire anche quando si ritrovò con le spalle al muro.

    " Cosa devo fare?", si chiese indeciso quando la schiena sbatté contro la parete. " Devo rispondere o lasciare che si sfoghi?"

    Non sapeva assolutamente come comportarsi con il giovane. Era solo certo di non volerlo ferire... cosa che, quando Galahad aprì bocca, scoprì di aver già fatto.

    « Per cosa vivi, Tristan?», domandò infatti il guerriero qualche attimo dopo, dando voce alle sue ferite. « Non hai forse combattuto per la libertà? Per tornare nella nostra terra? Non... non hai niente per cui vivere?»

    Tristan rimase muto, lasciando che Galahad riversasse su di lui la sua ira. Ascoltandolo e dandogli in un certo qual modo anche ragione.

    Solo qualche momento prima avevano tutti assaggiato la tanto agognata libertà dopo l'ultima missione. Stavano festeggiando e giocando, progettavano il loro futuro con scelte decise e prive di incertezze... ed erano proprio ad un passo dal sentire la tanto desiderata 'aria di casa' che per il più giovane fu un duro colpo il venire ancora una volta sbattuti sul campo di battaglia per una nuova missione sotto il nome di Roma.

    Tristan aveva sentito la sua delusione ed anche non poca rabbia quando si stava mettendo contro Artù, e non era stato in grado di stare in silenzio. Andando a mostrare infatti la sua solidarietà verso il loro comandante ed accettando quell'ennesima missione... ed era stato quel tradimento a ferire più di tutto il più giovane.

    " Per cosa vivevi, Tristan?", gli aveva chiesto.

    Fino a quel giorno si era anche lui battuto per tornare nella sua terra e potersi definire un uomo libero. Lo aveva fatto buttandosi senza timore in ogni missione, cercando degli avversari sempre più forti.
    Il suo spirito non aveva mai vacillato, tuttavia una volta dinnanzi alla prospettiva della libertà, Tristan si era sentito come diviso da una forte ed inaspettata indecisione. Tant'è che era solo stato in grado di farsi avanti ed accettare la nuova folle impresa che gli era stata imposta da Artù.

    « Rispondi Tristan! Non desideri tornare a casa?», insistette Galahad, stringendo le dita attorno alle braccia del compagno come per riscuoterlo.

    Nei suoi occhi il giovane sembrava cercare una risposta, una sicurezza che gli era venuta a mancare quando il suo compagno aveva voltato le spalle all'ormai prossimo ritorno a casa.

    « Sta al tuo posto Galahad, e avrai la tua tanto desiderata libertà.», rispose senza particolare interesse Tristan, tenendo per sé la risposta a tutte quelle domande.

    Questo perché, e gli costava ammetterlo, era proprio Galahad la fonte della sua indecisione.
    Fosse stato per Tristan avrebbe accettato mille altre imprese pur di continuare a battersi ancora fianco a fianco con Galahad... pur di poter continuare a condividere con il giovane ogni momento della sua esistenza.

    Cosa che, per sua sfortuna, avrebbe perso nel guadagnare la tanto agognata libertà. Tutti avrebbero preso strade diverse, avrebbero messo su famiglia o si sarebbero presi le proprie responsabilità con quelle che avevano già creato... a Tristan cosa sarebbe rimasto?

    Niente.
    La sua vita era quella. Aveva sempre combattuto tenendo ben stretti i sentimenti che provava per Galahad.
    La libertà non gli avrebbe donato un futuro migliore, lo avrebbe privato della sua ragione di vita.

    Il giovane lo guardò ancora, cercando una risposta che non sarebbe mai arrivata - Tristan non era bravo con le parole.

    " Che devo fare?", si chiese ancora mentre Galahad, deluso, lo lasciava per allontanarsi in silenzio. " Devo accettare la libertà e renderlo felice o continuare a ferirlo in questo modo?"

    Socchiuse la bocca, come per richiamarlo, ma la richiuse subito.

    " In fondo", si disse tristemente, " dopo quell'ultima missione sarebbe tutto finito".




  6. .
    Titolo: I Would Like to see you Tamed
    Fandom: Tolkien’s Fandom
    Personaggi: Thranduil, Eomer
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Conteggio Parole: 6230
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, What if? (E se…), Lemon, Leggero Dub-Con, Bondage, Blindfold, Dom/Sub
    Note: 1.Non so come sia uscita! Ambientata alla fine del Signore degli Anelli °A°
    2. Ho quasi la certezza che i personaggi siano OOC °A° perdonatemi ç_ç <3
    3. Dediche! Come sempre scrivo per il mio amore ù_ù ma questa è dedicata anche ad Enedhil e a tutte le ragazze che volevano vedere Thranduil fare FikiFiki LOL
    5. In fondo alla pagina troverete una fanart della bravissima Giusy >w<
    4. Betata dall’amore mio ç_ç grazie<3




    Il respiro di Éomer si era fatto presto pesante e nervoso, ed il suo capo - benché avesse gli occhi celati dietro quella leggera ma scura stoffa elfica che gli impediva di vedere ciò che lo circondava - si muoveva da destra a sinistra e viceversa, mostrando i chiari segni del suo disagio.
    Si sarebbe voluto muovere, magari alzarsi ed uscire da quelle stanze, ma c’era qualcosa che gli impediva di farlo... e non erano solamente i suoi arti sapientemente bloccati dietro la schiena da delle corde.
    A tenerlo lì fermo in balia dell’Elfo erano la tensione e l'eccitazione, seguite in egual misura dall’ancora ben presente desiderio che aveva provato quando i suoi occhi si erano posati per la prima volta sull’algido Re di Eryn Lasgalen.
    Già in passato Éomer aveva avuto modo di ammirare la bellezza di quella misteriosa ed antica razza, a partire da Legolas - uno dei membri della Compagnia dell'Anello - fino ad arrivare alla splendida consorte di Re Elessar, la Dama Arwen, ed alla luminosa Dama Galadriel.
    Aveva avuto modo di incontrare i loro seguiti e di posare lo sguardo su esseri di indescrivibile grazia - infatti ricordava ancora con un sorriso la breve ed amichevole discussione che aveva avuto con Gimli su quelle irraggiungibili bellezze -, tuttavia quando i suoi occhi erano andati a posarsi sul sovrano di quel regno, trovò impossibile non rendersi conto che nella sua mente non ci sarebbe più stato spazio per la Dama Arwen, che lo aveva colpito ed incantato sin dal primo momento.
    Si era più volte chiesto cosa lo avesse attratto così tanto in Thranduil - i suoi lunghi capelli dorati o l'aspetto che ispirava controllo e sicurezza? - ma non era stato in grado di darsi una risposta, se non una condizione: Éomer era certo di non aver mai desiderato nessun altro con una tale intensità. Tant'è che sin dall'inizio il cavaliere ebbe il vago sentore che non sarebbe stato per niente semplice sopravvivere a quelle settimane di sosta ad Eryn Lasgalen, ma doveva farcela per non gettare alcuna vergogna sul suo regno e per non disonorare l'amicizia con Legolas, figlio dello stesso Thranduil.
    Per giorni si era infatti aggrappato a quei piccoli rimasugli di ragione pur di trovare la forza per resistere, ripetendosi che presto avrebbe trovato il termine delle sue pene quando lui ed il resto degli uomini, che avevano seguito il Re Elessar in quella 'missione' volta a rinnovare le alleanze e le comunicazioni tra uomini, Elfi e Nani, sarebbero partiti alla volta della Montagna Solitaria.
    Con quel pensiero il cavaliere cercò di imporsi coraggio nei giorni successivi al suo arrivo, convincendosi che sarebbe riuscito a mettere la parola fine a quella situazione così scomoda... anche se ben presto scoprì che non sarebbe stato tanto semplice.
    Era chiaro che Thranduil avesse notato il suo interesse - la situazione che stava vivendo ne era la conferma - e spinto forse dalla curiosità, ma anche da una buona dose di divertimento, si era semplicemente limitato ad invitarlo nelle sue stanze.
    Éomer, confuso e forse anche un poco intimorito, era stato solamente in grado di accettare l'invito... ed alla fine si era ritrovato nudo ed eccitato, legato al letto del sovrano.
    Quasi non si ricordava come fosse finito in quell'imbarazzante posizione, ma era certo che fosse stato Thranduil a fare la prima mossa.
    Non era saggio addossare tutte le colpe sul sovrano, ma l'Elfo lo aveva stuzzicato sin dal suo ingresso in quella stanza, dapprima con lo sguardo e poi con suadenti parole, soffiate con quella sua voce che per Éomer era incantatrice. Aveva testato il suo interesse - era abbastanza chiaro - e quando Thranduil si era ritenuto soddisfatto, per il cavaliere le cose erano cambiate repentinamente, ritrovandosi a dover rispondere ad un bacio, selvaggio ed umido.
    Éomer aveva tentato istintivamente di far valere la sua forza in quella battaglia, ma alla fine quel baciosi trasformò in una lenta danza guidata dall’Elfo.
    Thranduil era stato in grado di domarlo con una semplicità quasi disarmante, riuscendo a renderlo 'il più docile dei cavalli'... e quella sensazione non era gradita ad Éomer.
    Non riusciva a sopportare quel colpo al suo orgoglio - anche se una piccola parte di lui trovava eccitante il potere che l’altro era stato in grado di esercitare sulla sua indole a tratti selvaggia -, ed infatti iniziò subito con il ribellarsi, tentando di mettersi in una posizione di superiorità.
    Contò principalmente sul fatto che Thranduil fosse magro ed esile in confronto al suo corpo ben più allenato e muscoloso, ma ogni tentativo si rivelò vano.
    I baci e le carezze dell'Elfo lo fecero sospirare e sciogliere come una fanciulla e quella situazione si rivelò essere il risultato della sua totale resa.
    Arrivato a quel punto, infatti, Éomer si era ormai reso conto che sarebbe stato pressoché impossibile controllare le sue reazioni, tant’è che il suo petto si alzava ed abbassava velocemente al ritmo del suo respiro e tutti i muscoli - tesi all'inverosimile - erano pronti a reagire al minimo tocco del suo ‘compagno’.
    “ Non per attaccare”, si disse lasciandosi sfuggire un sospiro quando finalmente avvertì la leggera carezza del fiato di Thranduil sul suo collo, “ ma solo per diventare un sensibile ammasso di carne privo di volontà... una marionetta nelle sue mani”.
    Serrò orgogliosamente le labbra per non emettere alcun verso - piacere per quel delicato e desiderato tocco o per la frustrazione quando lo sentì sparire per l’ennesima volta? -, cercando al tempo stesso di affidarsi alle sue orecchie per avvertire i movimenti dell'altro.
    Tentò di concentrarsi ancora, di sforzarsi e di stare attento ad ogni minimo spostamento e cambiamento.
    “ Inutile”, decretò mentalmente senza nascondere la sua irritazione quando si rese conto che l’unico rumore che raggiungeva le sue orecchie era quello del suo stesso respiro.
    Non era in grado di trovarlo, non in quelle condizioni.
    Perché Thranduil era un Elfo, ed i suoi passi erano leggeri come piume.
    Per quanto Éomer si sforzasse i suoi sensi erano e sarebbero rimasti quelli di un misero mortale. Non sarebbe mai stato in grado di seguirne i movimenti senza poter utilizzare gli occhi.
    « Ho visto i tuoi sguardi, Éomer figlio di Éomund... Re di Rohan», parlò l'Elfo d'un tratto, costringendolo ad immobilizzarsi, « molti uomini prima di te hanno provato il tuo stesso desiderio... Cavalieri, Re ed anche semplici popolani, tutti hanno anelato le mie attenzioni».
    Éomer rimase in silenzio, trattenendo quasi il fiato quando le dita dell'altro si posarono sul suo petto, all'altezza del cuore. Erano fredde e delicate ma, per quanto avesse desiderato averle su di sé, tutto il suo corpo si era concentrato nell'ascolto di quelle parole senza neanche osare mettere in dubbio la loro veridicità.
    « Solo pochi eletti hanno avuto l'onore ed il privilegio di trovarsi in queste stanze», aggiunse Thranduil poco dopo, facendo scivolare la gelida mano dal petto fino al ventre.
    L'uomo, attratto da quel movimento, fu solo in grado di stringere le labbra mentre subiva quella lenta carezza e non riuscì invece a trattenersi dall'alzare il bacino per invitare quelle lunghe ed affusolate dita laddove avvertiva più bisogno, venendo però rifiutato.
    « Hai... riservato a tutti questo... stesso trattamento?», ribatté allora Éomer, scalpitando frustrato e ritrovando una stupita calma quando avvertì uno sbuffo, simile ad una risata, abbandonare le labbra dell'altro.
    « No», rispose sincero Thranduil senza celare una vaga nota di divertimento nella sua voce, « loro non avevano bisogno di essere domati».
    Éomer rabbrividì quando il sovrano di Eryn Lasgalen pronunciò quella semplice e sincera affermazione, che riuscì a a riportare alla luce i sentimenti e le sensazioni che il cavaliere aveva provato quando aveva posato per la prima volta gli occhi sull'Elfo.
    Thranduil gli era apparso così altero e controllato, elegante ma deciso in ogni suo movimento. Era un essere indubbiamente splendido ma nei suoi occhi gelidi Éomer aveva scorto qualcos'altro. Un qualcosa che solo in quel momento stava acquisendo un nome: il potere.
    Éomer non poteva esserne certo, ma quelle parole avevano palesato il suo ruolo in quella situazione.
    Lui, con il suo carattere indipendente ed istintivo, rappresentava per Thranduil una sfida. Un modo per imporre il suo controllo e potere in un torbido gioco di dominio e sottomissione.
    Era eccitante. Quello il cavaliere non poteva proprio negarlo, ma il suo orgoglio gli impediva ovviamente di piegarsi in quel modo - anche se a dirla tutta aveva la certezza che anche quello rientrasse nei piani dell'Elfo.
    « Pensi di potermi... domare?», domandò il cavaliere, raccogliendo in quelle poche parole tutta la sua testardaggine come se non gli importasse più essere rispettoso nei confronti dell'altro.
    " Sono nudo, legato e bendato. Devo pur prendermi qualche libertà", decretò tra sé e sé come per motivare la sua scelta.
    « Ne sono certo», fu la semplice risposta di Thranduil mentre allontanava la mano dal ventre dell'uomo per andare a posarla insieme alla sua fredda sorella sulle ginocchia del cavaliere.
    Le allargò con un movimento secco e deciso che fece sussultare non poco Éomer, stupito da quell'improvviso cambiamento. Subito nella sua mente lampeggiò un istintivo rifiuto per quel gesto che lo stava esponendo al sovrano, e facendo scattare i muscoli riuscì quasi a serrare le gambe - rischiando anche di farsi male quando le cosce cozzarono sui testicoli.
    Si ritrovò a sorridere davanti a quella piccola vittoria, ma quando le sue labbra - piegate verso l'alto in un'espressione di compiaciuto trionfo - vennero a contatto con quelle di Thranduil per l'ennesima volta in quella serata, tutte le sue convinzioni vennero ancora meno.
    La mente di Éomer parve infatti annullarsi mentre muoveva la bocca insieme a quella dell'Elfo che, con abili carezze della lingua, sembrò riuscire a conquistare il comando con una facilità quasi disarmante.
    Aveva avuto tanti amanti durante quegli anni e le sue stanze a Meduseld erano spesso state le uniche testimoni degli incontri con i suoi occasionali amanti, ma nessuno di essi era mai stato in grado di lasciarlo per davvero senza fiato con un semplice bacio.
    I suoi sensi si stavano sottomettendo al profumo e al corpo di Thranduil, alla sua lingua che, sibillina, esplorava la sua bocca socchiusa strappandogli dei mugugni quasi adoranti. Tant'è che, quando l'Elfo lo spinse di nuovo ad aprire le gambe, Éomer quasi non riuscì ad impedirlo preso a boccheggiare com'era per quell'umido e lascivo bacio.
    La sua ‘debolezza’ lo costrinse ad insultarsi mentalmente, mugugnando poi quando le labbra di Thranduil abbandonarono le sue. Si allontanò lentamente, venendo seguito da un leggero fruscio di vesti che annunciava l'unico movimento che l’Elfo si era premurato di fargli sentire.
    Si era inginocchiato tra le sue gambe, poteva avvertirne la calda presenza, e quel solo pensiero fu in grado di far tremare non poco il cavaliere. La semplice idea di avere quell'essere così luminoso e bello tra le sue gambe sarebbe stata in grado di farlo venire, ma appigliandosi a tutto il suo orgoglio Éomer si tirò indietro, facendo scivolare il sedere nudo sulle morbide lenzuola.
    Lo stava rifiutando, era quello il messaggio che sperava di far percepire a Thranduil. Stava rifiutando quella situazione e la sottomissione, e una volta libero sarebbe stato lui a far vedere all'Elfo chi comandava... o almeno cercò di convincersi in quel modo, aggrappandosi a quella convinzione per non cadere ancora vittima delle attenzioni del Re di Eryn Lasgalen.
    Tuttavia quel suo forte desiderio si infranse di nuovo sulle labbra di Thranduil quando questo andò a posarle sul suo sesso già sveglio ad anelante d'attenzioni.
    Non riuscì a trattenere un gemito roco quando le perfette e morbide labbra dell'Elfo, ancora gonfie per il precedente bacio, scivolarono sulla calda pelle del suo membro per stuzzicarne la punta quasi del tutto esposta.
    Éomer desiderava ancora allontanarsi, ma per qualche momento non poté far altro che riversare il capo all'indietro per emettere altri versi di piacere. Non aveva bisogno della vista per immaginare il volto serio ma divertito del sovrano accostato alla sua erezione.
    I suoi torbidi sogni nelle precedenti notti gli avevano già donato simili piaceri ma la realtà era terribilmente diversa: terribile perché il suo orgoglio continuava a raccogliere delle sconfitte in quella battaglia e non poteva permettersi di perdere.
    Iniziò quindi a dimenarsi, tentando di risvegliare il suo corpo intossicato da quel piacere. Una prima ma leggera reazione non tardò ad arrivare, ma Thranduil - come se non aspettasse altro - affondò le dita sulla carne delle sue cosce, aprendo la bocca per inglobare il sesso eretto del cavaliere.
    Ancora una volta, Éomer si rese distrattamente conto di non avere bisogno degli occhi per avvertire quelle vertigini che gli fecero quasi girare la testa e perdere l'equilibrio. Infatti, la sua schiena trovò presto appoggio nel morbido materasso di quel letto che sfortunatamente divenne quasi subito scomodo a causa delle braccia ancora imprigionate dalle corde.
    Si mosse irrequieto anche da quella posizione, contorcendosi sulle lenzuola e cercando al tempo stesso di trattenere i gemiti che lo costringevano quasi ad andare verso la bocca dell'Elfo - ancora ben deciso a torturarlo.
    Il Re di Rohan era infatti certo che Thranduil stesse sorridendo davanti alle sue reazioni e che la sua testardaggine continuasse a stuzzicarne l'interesse. Per quel motivo le sue gambe erano ancora bloccate dalle fredde mani del sovrano in un'inaspettata presa ferrea che gli impediva di muoversi come desiderava... ed era un qualcosa che il cavaliere faticava ad accettare.
    Éomer sapeva di essere forte: i suoi muscoli erano reattivi e potenti - l'aver passato anni a cavallo, a stringere le gambe sulla sella per non farsi disarcionare, doveva pur significare qualcosa -, eppure non riusciva a reagire alla stretta morsa di controllo di Thranduil, come invece avrebbe fatto normalmente. Si mostrava solo frustrato, scalpitando e dimenandosi nel vano tentativo di liberarsi e prendere in mano le redini della situazione. Ma era come se il suo corpo avesse scelto di stare al gioco, alimentando la curiosità e la smania di potere dell'Elfo, ignorando il suo cervello che aveva ancora ben impressa la forza dei suoi muscoli.
    Quella supposizione fin troppo veritiera riuscì a strappargli un'imprecazione tra i sospiri che cercava di trattenere, ormai invano, a causa della lingua di Thranduil che percorreva il suo sesso, e a ben pensarci in un altro momento quella posizione sarebbe stata magari umiliante per il Re di Eryn Lasgalen. Tuttavia Éomer sentiva di tutto provenire dall'altro tranne che la vergogna. Avvertiva il sempre presente divertimento ed anche la voglia di andare avanti e sottometterlo al suo potere che lo costringeva a portare avanti i suoi tentativi di rivalsa.
    I piedi continuavano infatti a scivolare sul pavimento nel tentativo di spostarsi, causandogli non pochi crampi che sembravano quasi volergli impedire di rotolare nel letto e porre fine a quella tortura... rivelando che le reazioni del suo corpo sarebbero rimaste fiacche ed intorpidite dal piacere, ma non per questo avrebbe smesso di tentare.
    Infatti continuò a contorcersi per un tempo quasi infinito tra i gemiti ed i sospiri, provando senza alcun successo a privare il suo corpo delle attenzioni dell'Elfo. Quella bocca sembrava non essere ancora sazia, dalla lingua che percorreva il suo sesso partendo dalla punta arrossata fino alla base - spargendo la saliva come se il suo intento fosse quello di ricoprire il membro con un umido velo -, fino ai maliziosi denti che di tanto in tanto lo graffiavano senza però infliggergli alcuna ferita se non quella che volevano procurargli nell'orgoglio, ricordandogli la propria posizione.
    La parola 'sottomissione' balenò di nuovo nella mente nel cavaliere, ma ancor prima di poter intraprendere per l'ennesima volta la strada della ribellione - e sicuramente incrociare una nuova sconfitta -, i suoi muscoli vennero travolti dai brividi.
    Trattenne il respiro nella bocca spalancata per lo stupore, rilasciandolo poi con un gemito quando tutto il suo corpo venne scosso da un fremito più violento. Dimenticò quasi del tutto i suoi propositi di rivalsa quando sentì l'orgasmo approssimarsi, tentando invece di andare incontro alle calde labbra dell'Elfo.
    Si rivelò più semplice del previsto lasciarsi andare, dimenticando i suoi orgogliosi propositi ed ignorando quell'ancora presente vocina che gli ripeteva: " Resisti! Non puoi farti sottomettere!"
    Ma per quanto quell'orgasmo fosse desiderato, Thranduil decise di ritardarlo allontanando la bocca e lasciando ad Éomer solo un vago senso di vuoto che veniva schiacciato dalla prepotente frustrazione.
    La fresca aria della stanza carezzò il suo membro duro e teso, coperto dalla saliva dell'Elfo, rubandogli un nuovo brivido accompagnato dalla certezza che le cose che fino a poco prima aveva reputato correte si stavano rivelando degli errori, in grado solamente di far crescere quelle sensazioni che stavano obliando i suoi sensi.
    Si costrinse quindi a prendere un profondo respiro. Lo trattenne nel petto - ignorando la momentanea assenza di Thranduil ed il suo sesso che reclamava soddisfazione -, liberandolo poi, sospiro dopo sospiro, nel tentativo di calmarsi e di non lasciar ragionare le sue voglie.
    Lentamente riuscì a calmarsi, ma ancor prima di potersi concedere un attimo per pensare l'Elfo fece il suo ritorno. Thranduil non lo toccò; riuscì solamente ad avvertire la vicinanza ed il calore del suo corpo, accompagnato da un dolce profumo d'olio per massaggi che penetrò le narici di Éomer in una carezza portatrice di chiare promesse che spinsero il cavaliere a dar fondo a tutte le sue forze per imporsi quella ritrovata quiete ed il silenzio, evitando così di cadere in un qualsiasi tranello.
    Stava riuscendo a mantenere un certo controllo, ripetendosi di non doversi tradire... anche se tutto il suo corpo stava urlando e scalpitando per la frustrazione - i muscoli erano tesi e nervosi come il suo sesso, privato all'improvviso dell'orgasmo tanto agognato.
    " Cosa volevi gridargli contro, stupido?", si insultò poi strattonando le corde con ritrovata forza. Non sapeva se era sul punto di chiedergli di andare avanti senza alcun indugio o se voleva fermarlo dal perpetrare i suoi intenti; in ogni caso sarebbe stato un errore che non poteva né voleva permettersi.
    « Ti vedo... nervoso, Signore dei Cavalli», mormorò Thranduil rompendo il suo silenzio che venne mantenuto in risposta da Éomer e dalle sue labbra serrate in una ferrea linea carica di tensione. L'Elfo, grazie alla sua debolezza, stava godendo di fin troppe soddisfazioni e non voleva dargli modo di ottenerne di nuove... anche se, ovviamente, significava stuzzicarne l'interesse per la sfida e quindi poter sortire l'effetto contrario a quello desiderato.
    Infatti il sovrano di Eryn Lasgalen decise di proseguire con i suoi intenti, carezzando con l'indice l'apertura di Éomer.
    Il cavaliere trattenne di nuovo il fiato, tendendosi come la corda di un arco: dimenticò quasi di muoversi e di ribellarsi davanti a quel tocco così intimo che scoprì di desiderare - provando non poco stupore davanti a quel pensiero.
    Imprecò a denti stretti riuscendo con uno sforzo a serrare le gambe attorno ai fianchi dell'Elfo, imprigionandolo.
    « Hai finito di giocare, Thranduil», sbottò con ritrovata sicurezza, ascoltando con piacere la risolutezza della sua voce, « liberami e facciamola finita», aggiunse poi.
    « La tua bocca dice il falso, Re di Rohan. O è il tuo corpo a mentire e a mostrare ciò che desideri?», ribatté furbo l'altro ed Éomer, che si ritrovò ad avvampare per quell’affermazione, non poté far altro che ringraziare la benda che gli impediva di vedere il viso dell’Elfo. Era certo che non avrebbe retto la vista del sicuro sorrisetto che era andato a piegare le labbra di Thranduil alla sua vergognosa reazione.
    « Non... non posso barattare il mio orgoglio con il piacere», rispose cercando di recuperare terreno, stringendo ancora le gambe per bloccare i suoi movimenti.
    « Non vi è disonore nel piacere se entrambe le parti riconoscono il valore reciproco», mormorò l’Elfo, donandogli una lenta carezza sulle cosce per accompagnare le sue parole.
    « Le tue parole sono come il miele... ma i tuoi gesti promettono ben altro», ringhiò Éomer a denti stretti, sussultando quando Thranduil si mosse tra le sue gambe come se volesse sollevarsi.
    Esitò per qualche istante poi, certo di avere ormai il controllo avendo espresso il suo rifiuto, allentò la sua presa permettendogli di muoversi.
    Restò in ascolto dei suoi movimenti restando non poco stupito quando l’Elfo lo aiutò a sollevarsi e a rimettersi seduto sul materasso. Socchiuse la bocca come per interrogarlo sulla natura di quel gesto, ma le sue parole si riversarono nelle labbra di Thranduil posate sulle sue in un veloce bacio.
    « I miei gesti possono donarti la più ricca e dolce varietà di miele...», rispose muovendo ancora la bocca su quella del cavaliere, « non dubito del tuo valore, Re di Rohan», aggiunse come per dare un maggior peso alle sue dichiarazioni.
    Éomer allora si concesse un sospiro.
    “ Cosa devo fare?”, si chiese ormai incerto sulle sue stesse scelte perché non poteva ignorare il suo desiderio né l’eccitazione che pulsava ancora tra le sue gambe. Si concesse qualche attimo per pensare, ma le leggere carezze dell’Elfo sulle cosce ed il respiro che andava a sfiorargli le labbra non facevano altro che distrarlo, promettendogli dolcezza e piacere.
    Era confuso, oltre che eccitato, ma era certo che dalla sua bocca non sarebbero mai uscite suppliche. Lasciò che fossero il silenzio e la necessità a parlare per lui e, ricadendo con la schiena sul morbido materasso accolse con un gemito le labbra di Thranduil che tornarono sul suo sesso.
    Forse si sarebbe pentito per quella sua scelta ma la lingua dell’Elfo ed il suo calore non gli lasciavano molto spazio per pensare. Non lo fece neanche quando sentì di nuovo la lunga falange del suo ‘amante’ scivolare sul suo orifizio, carezzandone i bordi senza però violarlo.
    Trovò impossibile non irrigidirsi, vagliando sin da quel momento l’opportunità di ritrattare la sua decisione, ma serrando le labbra si impose ancora una volta il silenzio.
    Gli Elfi non mentivano. Erano degli esseri sinceri e con le sue parole Thranduil gli aveva detto che riconosceva il suo onore, invitandolo ad accogliere il piacere che gli stava promettendo e che sembrava essere in grado di annullare qualsiasi cosa.
    Abbandonarsi a quella calda prospettiva non sembrava tanto male, tuttavia decise di mantenere ancora la sua posizione; non gli avrebbe dato ulteriori soddisfazioni, ed infatti serrò con più decisione le labbra quando la falange di Thranduil smise di saggiare i bordi del suo orifizio per penetrarlo.
    Éomer non era nuovo ai piaceri della carne con altri uomini, tuttavia, malgrado le sue esperienze, il suo corpo non era mai stato toccato in quel modo e quell'intrusione, oltremodo fastidiosa, lo costrinse quasi a ritirarsi.
    Strinse i denti, affondandoli nell'interno delle guance come per trovare una distrazione e permettendo ad un vago sapore di sangue di carezzargli il palato.
    « Non permettere che il timore ti condizioni», suggerì l'Elfo notando la sua tensione.
    Il cavaliere ringhiò, privandolo in quel modo di una risposta ed accogliendo invece con un mugugno le labbra del sovrano che si appropriarono di nuovo del suo membro.
    Quella umida e calda prigione, ormai familiare, fu quasi in grado di negargli il respiro - che rimase mozzato in gola insieme ai gemiti.
    Rapidamente il piacere che aveva provato qualche attimo prima tornò ad offuscargli i sensi insieme ad una chiara certezza: il suo corpo non avrebbe sopportato a lungo le attenzioni della bocca dell'Elfo, visto che già in precedenza era stato messo a dura prova risultando sconfitto.
    Quella constatazione, avvalorata dai sussulti e dai brividi che lo scuotevano con crescente intensità, lo costrinsero ad inarcarsi e ad emettere un verso quasi disperato. Spinse il bacino verso l'alto in una chiara ma muta supplica verso Thranduil, ritrovandosi ad accogliere al tempo stesso la falange che scavava nel suo orifizio in modo fastidioso e talvolta doloroso.
    Quella piacevole tortura tuttavia parve aiutarlo non poco nel sopportare quell'intrusione, tanto da farla divenire lentamente più sopportabile... soprattutto quando l'Elfo decise di donargli la libertà muovendo più velocemente le labbra e succhiando il suo sesso come se volesse prosciugarlo.
    Dinnanzi a quel gesto il cavaliere non riuscì neanche più a trattenere i suoi gemiti. Sentiva solo il calore di Thranduil e la lingua che si muoveva sul suo sesso dall'interno della bocca.
    L'improvviso cambiamento dell'Elfo lo avrebbe confuso o addirittura insospettito in un'altra occasione ma non in quegli attimi così intensi che precedevano l'orgasmo.
    Quando l'apice lo raggiunse, ogni centimetro del suo corpo venne travolto da dei violenti brividi che accompagnarono il rilascio del suo seme nella bocca del sovrano, il quale continuò a muovere lentamente le labbra.
    Éomer non aveva mai provato un simile piacere e, per lui, non fu neanche semplice ammetterlo. Gli era bastato 'arrendersi' per sentire il suo corpo appagato come non mai, e neanche quella scomoda posizione di sottomissione sembrava più turbarlo dinnanzi a quella sensazione di soddisfazione... almeno fino a quando non si rese conto della presenza di una seconda falange che premeva contro l'orifizio!
    I suoi muscoli, ancora rilassati per il piacere appena provato, fecero ben poca resistenza ma non furono in grado di impedirgli di serrare i denti davanti all'improvviso fastidio.
    I suoi sensi offuscati dall'orgasmo iniziarono ben presto a risvegliarsi e a rifiutare quelle dita che lo violavano con tanta attenzione.
    Come una spina conficcata nella pelle, Éomer riusciva ad avvertire solo un leggero dolore e del fastidio provenire da quei movimenti e desiderava liberarsene al più presto. Tentò infatti di recuperare il controllo del suo corpo e di mostrare un nuovo rifiuto a quel trattamento, ma quando le falangi sfiorarono la sua prostata ogni suo proposito parve svanire.
    Tutto il suo corpo venne scosso dai brividi che vennero prima smorzati, poi protratti in dei gemiti da delle nuove ed insistenti carezze che iniziarono ad impedirgli di riprendersi dalle precedenti.
    Era come se Thranduil non avesse mai fatto altro nella vita: aveva trovato quel punto così sensibile quasi senza difficoltà e la cosa, oltre a spingere il suo corpo alla ricerca di un nuovo contatto, imbarazzava non poco il cavaliere.
    Si sentiva prossimo alla disfatta e quella sensazione, benché fosse addolcita dalla promessa del piacere che avrebbe provato, lo spinse alla ricerca di un appiglio che lo avrebbe mantenuto lucido.
    Si aggrappò infatti alla propria ostinazione con rabbia e necessità, tentando di ignorare come il fastidio stesse lentamente sbiadendo grazie alle falangi dell'Elfo, ed insieme a quello anche gli ultimi brandelli della sua forza.
    « Sento le tue resistenze iniziare a cedere», commentò di fatti Thranduil, muovendo ancora le dita all'interno del corpo del cavaliere.
    Éomer emise un sibilo, stringendo i denti.
    « Le mie... resistenze... si frappongono ancora tra le nostre... hn... necessità...», ribatté l'uomo.
    « Eppure riesco a sentire i tuoi sospiri...», riprese l'Elfo, parlando con un'incredibile delicatezza, « il tuo corpo trema e anela il momento in cui verrà domato», e per quanto la sua voce fosse piena di dolcezza, le sue parole ed i gesti sembravano volutamente tradirla.
    « No», sbottò.
    Ancora una volta Thranduil diceva il vero ma il suo orgoglio non si sarebbe mai piegato, anche a costo di continuare all'infinito quella tortura.
    Se voleva prenderlo e possederlo, lui non lo avrebbe fermato - non ne sarebbe stato in grado - ma di una cosa era certo: dalla sua bocca non sarebbero mai fuoriuscite suppliche di nessun genere, né avrebbe ammesso il suo gradimento per certi trattamenti.
    Il suo corpo forse lo avrebbe tradito insieme ai gemiti che non riusciva a trattenere, ma le sue labbra non avrebbero mai permesso alle parole di violentare e di annullare il suo orgoglio.
    Thranduil doveva aver intuito quella sua decisione, e quello ovviamente lo invogliò a continuare muovendo le dita, aprendole a forbice e torcendole all’interno dell’orifizio.
    Ogni movimento stringeva in un abbraccio il piacere e l’ancor presente fastidio, che andavano a torturare il corpo del cavaliere nel tentativo di minarne le difese; difese che vennero quasi meno quando, all’improvviso, l’Elfo allontanò la mano.
    La sensazione di vuoto che Éomer provò dinnanzi alla mancanza delle falangi di Thranduil arrivò quasi a spaventarlo ma non vi diede troppo peso, soprattutto quando sentì le mani del suo amante scivolare sotto il suo corpo per liberarlo dalla presa della corda che bloccava i suoi polsi.
    Il sollievo fu quasi immediato e portando gli arti davanti a sé li massaggiò per far sparire il senso di intorpidimento che neanche si era accorto di provare. Non sapeva quali fossero le intenzioni dell’Elfo e la confusione crebbe ancora quando anche la seta che gli impediva di vedere raggiunse le corde, ora abbandonate sopra il materasso.
    Rivolse un’occhiata interrogativa al sovrano, provando al tempo stesso una lieve soddisfazione nel vedere la pallida pelle dell’altro arrossata e sudata insieme alle labbra umide e gonfie; sensazione che sparì subito quando le ricche vesti che celavano il suo corpo scivolarono per terra, rivelandone il glabro petto e l'eccitazione che ormai era impossibile nascondere.
    Sembrava così diverso dall’altero ed irraggiungibile Elfo su cui aveva posato gli occhi nei giorni precedenti! Il suo aspetto appariva meno perfetto e controllato, così tanto da farlo sembrare... quasi ‘umano’, anche se ovviamente continuava a mantenere quella bellezza che nessun essere vivente avrebbe mai raggiunto o eguagliato.
    « Quali sono le tue intenzioni, Thranduil?», domandò con voce roca riuscendo a strappargli un sorriso. Lo aveva immaginato sorridere in quel modo tante altre volte durante quella serata, ma il poter finalmente vedere quelle labbra così invitanti piegarsi in quell’espressione maliziosa riuscì a mozzargli il fiato.
    « Voglio osservare il desiderio nei tuoi occhi mentre ti possiedo», rispose l’Elfo con perversa sincerità, bloccando poi ogni protesta da parte del cavaliere con un bacio. Éomer infatti poté solo mugugnare contro le labbra dell’altro, imbarazzato e quasi offeso per quelle parole, conscio tuttavia che non sarebbe più riuscito a rifiutarlo - ormai il suo corpo anelava quello di Thranduil.
    Ciò però non lo fermò dall'allungare le braccia e cingere le spalle dell'Elfo in un forte e caldo abbraccio, impedendogli di allontanarsi dal suo corpo e dalle sue stesse labbra.
    Le penetrò con la lingua, esplorandone il palato e i denti prima di cercare la lingua di Thranduil che non gli rifiutò una lenta ma appassionata danza, spezzata solo dai movimenti dell'Elfo.
    Éomer infatti non riuscì a non bloccarsi, restando come pietrificato quando il bacino del suo amante sfregò contro il suo. Si trattò di una frizione piacevole che tuttavia, data la posizione, gli ricordò il suo ruolo.
    Giunto a quel punto, dopo aver saggiato il piacere che Thranduil gli stava promettendo, Éomer non si sentiva più in grado di combattere. Tant'è che riuscì solo a costringersi per l'ennesima volta al silenzio - stava diventando tremendamente ripetitivo, forse nell’ inconscio tentativo di 'annoiare' l'Elfo -, rispondendo poi con un bacio alla richiesta di quest’ultimo che premeva e sfregava il sesso contro il suo orifizio come se volesse chiedergli il permesso.
    Attese impaziente la successiva mossa di Thranduil, non tanto per il desiderio che ancora provava ma anche per la necessità di far finire tutto al più presto - almeno la parte riguardante la sua 'sottomissione'.
    Fortuna o meno, l'Elfo parve intuire le sue intenzioni e, coinvolgendolo in un altro bacio, guidò la sua erezione nell’apertura del cavaliere.
    Éomer non poté non irrigidirsi quando la punta del membro di Thranduil sforzò il suo orifizio per farsi strada: era lenta ma altrettanto decisa, neanche il fastidio o il dolore avrebbero fermato quell'avanzata.
    Strinse i denti e chiuse gli occhi. La sua mente, offesa da quella situazione, gli ordinò di muoversi e di allontanarlo. Poteva farlo, Thranduil non gli stava negando la fuga né lo aveva costretto... eppure ogni suo tentativo era stato vano e senza una reale forza. L'Elfo era stato convincente - oltre che sensuale -, capace con i suoi gesti di annientare la mente ed il volere del suo corpo. Infatti Éomer, che non aveva mai provato sulla sua pelle un simile piacere, si lasciò infine andare alla curiosità senza però mettere da parte ciò che tanto aveva attratto Thranduil.
    Il sovrano voleva un cavallo selvaggio da domare? Forse si sarebbe anche lasciato imbrigliare, ma di certo la sua natura non sarebbe mai stata repressa.
    Si concesse infatti un sorriso, andando poi ad afferrare l'Elfo per la nuca facendo affondare le dita tra i morbidi fili d'oro che erano i suoi capelli. Li strinse con forza e decisione, addirittura alcuni si strapparono a causa di tanta foga e. come se non desiderasse altro, costrinse il suo compagno ad un violento bacio.
    " Solo una dimostrazione", si disse leccando le labbra del sovrano ed offrendogli al tempo stesso il suo corpo.
    « Non mi hai ancora domato, Thranduil», sibilò, nonostante la tensione che fece irrigidire il suo corpo quando sentì il sesso dell'Elfo iniziare a forzare il suo orifizio.
    Il sovrano gli rivolse un sorriso, accompagnato dai denti che andarono ad affondare sulla morbida pelle delle sue labbra.
    « Gradisco particolarmente le sfide, Éomer», rispose con malizia, spingendo la sua erezione con più fermezza fino a farle varcare l'ostacolo della prima fascia muscolare.
    Il cavaliere strinse i denti, aggrottando le sopracciglia in una smorfia.
    « Pare che tu... non sia l'unico a gradirle», ribatté prendendo fiato e stringendo con più sicurezza le dita attorno alla setosa chioma dell'Elfo.
    Thranduil, agli occhi di Éomer, apparve divertito oltre che ulteriormente affascinato da quella sua risposta e senza indugio ribatté, muovendosi ancora.
    Non diede voce alle sue azioni se non con dei grugniti che accompagnarono ogni sua spinta.
    Éomer subì quegli affondi senza concedergli neanche un verso di dolore, solo il suo corpo teso per lo sforzo sembrava in grado di mostrare ciò che sentiva.
    Si sentì vagamente in colpa per tutti i giovani scudieri che aveva preso in quel modo, arrivando addirittura a chiedersi se tutti avessero provato le sue stesse pene.
    Ricordava ancora le parole che rivolgeva ai suoi amanti, i cui volti erano trasfigurati dal dolore. Li incoraggiava, promettendo loro un piacere mai provato prima che, dopo qualche spinta, giungeva sempre come prometteva.
    Éomer allora si aggrappò a quella certezza per evitare che le espressioni del suo viso tradissero il dolore che provava.
    Baciò ancora l'Elfo, divorandone la bocca con passione e necessità, tirandogli quasi per gioco i capelli come per ricordargli che non era ancora stato sottomesso.
    Perfino quando le spinte di Thranduil iniziarono ad avere un retrogusto più dolce, quasi piacevole, continuò a ricordargli di non essere ancora finito con morsi e strattoni - cosa che, come c'era da aspettarsi, sembrò eccitare ancor di più il sovrano.
    Solo nel momento in cui il dolore iniziò a diventare un leggero accompagnatore del piacere, Éomer si permise di lasciare spazio ai suoi versi di goduria: bassi e rochi si infrangevano sulla bocca e sulla pelle immacolata dell'Elfo che, sotto i suoi tocchi, si arrossava lasciando un segno tangibile del suo passaggio.
    Nessuno dei due, nonostante il crescente piacere, sembrava aver dimenticato il suo posto e ruolo in quella battaglia per la supremazia. Denti e labbra, mani ed unghie, si alternavano tra le spinte accompagnate dai gemiti e dall'umido rumore dei loro corpi sudati che scivolavano l'uno sull'altro.
    Ben presto anche l'erezione di Éomer si risvegliò, ergendosi tra di loro alla ricerca di attenzioni e venendo quasi soffocata dai loro fisici stretti in quello scellerato quanto lussurioso amplesso.
    La frizione creata portò Éomer a riversare il capo all'indietro in un nuovo gemito; la schiena si inarcò ed il suo corpo, distratto da quel piacere, accolse con nuovi versi le successive spinte dell'Elfo.
    Imprecò tra quei gemiti, puntando con non poca difficoltà lo sguardo sul volto rosso e provato del suo amante.
    " È luminoso come una stella", si disse quasi distrattamente, osservando le goccioline di sudore brillare su quella candida pelle segnata dal piacere e dall'amplesso.
    Chiuse gli occhi, catturando la sua immagine fino ad imprimerla quasi a fuoco nella sua mente.
    Cercò per l'ennesima volta le sue labbra, coinvolgendolo in un bacio umido e lento, interrotto dai versi sempre più frequenti. Ogni spinta lo faceva tremare da capo a piedi e stringendo le gambe attorno ai fianchi dell'Elfo lo costrinse ad aumentare quel ritmo già frenetico.
    Poteva sentire la sua carne venire aperta dal sesso di Thranduil nella più piacevole delle ferite, mentre alle sue orecchie quasi giungeva il rumore della pelle sudata che sfregava con quella dell'altro.
    Gli sfuggì un’imprecazione davanti ad un brivido più forte ed intenso che precedeva l'approssimarsi del suo orgasmo...
    Contrasse i muscoli cercando di bloccare il proprio piacere e quello dell'Elfo, tuttavia quel suo disperato tentativo si rivelò inutile e come un fiume in piena si sentì travolgere prima dall'inaspettato orgasmo di Thranduil - forse stupito dal contrarsi del corpo dell’amante - che anticipò di poco il suo secondo rilascio.
    Crollò sul materasso privo di ogni forza e respiro, incapace anche di continuare a stringere a sé l'Elfo.
    Sentiva tutto il suo corpo percorso da piccoli brividi e da un piacevole formicolio, sensazioni familiari e al tempo stesso nuove per la loro intensità. Si ritrovò a sorridere quasi compiaciuto e particolarmente soddisfatto - pensando addirittura di essere stato uno stupido per aver rifiutato così a lungo quel piacere -, ma ancor prima di poter reagire o rendersi conto di quanto stava accadendo, sentì l'Elfo muoversi per allontanarsi dal suo corpo ed alzarsi dal letto.
    Thranduil si mosse per la stanza, elegante e disinvolto, con solo i segni sul suo corpo a testimoniare l’accaduto. Éomer lo seguì con lo sguardo, quasi desideroso di richiamarlo a sé. Tuttavia non fiatò, restando muto mentre lo osservava versarsi dell'idromele in una coppa e sorseggiarne il contenuto lentamente, costringendo il cavaliere a sollevarsi sui gomiti, attratto dal movimento della gola ad ogni sorso, desiderando di posarvi la bocca per sentire la bevanda fluire all'interno di quel corpo che ancora voleva sentire su di sé.
    Lo insultò mentalmente ma non riuscì a non ricambiare con un sorriso quando Thranduil si rivolse a lui piegando leggermente le labbra all’insù, con malizia.
    « Il tuo sguardo gradisce ciò che vede, Signore dei Cavalli?», domandò, percorrendo di nuovo il breve spazio che lo separava dal letto.
    « Sì», rispose prontamente Éomer mentre l'Elfo scivolava sensuale verso di lui.
    I loro corpi sfregarono ancora l'uno contro l'altro e le labbra si unirono di nuovo in un bacio che ben presto divenne l'ennesima dimostrazione di potere di Thranduil.
    Sottomesso a quel voglioso bacio, al cavaliere non rimase che sospirare e continuare a sorridere accogliendo la sfida che gli era stata lanciata, certo che Thranduil avrebbe trovato anche in futuro pane per i suoi denti nel caso in cui avrebbe tentato nuovamente di domarlo.







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    Outside a Saint, Inside a Devil





    Edited by p r i n c e s s KURENAI ~ - 1/9/2013, 13:07
  7. .
    Titolo: Sunset’s End
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi: Ori, Fìli, Kìli
    Genere: Introspettivo, Malinconico
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, What if? (E se...), Incest
    Conteggio Parole: 540
    Note: 1. Scritta per il COW-T 3.5
    2. Non sapevo che scrivere per la challenge sopracitata °A° e mi è uscita questa cosaXD
    3. Il disegno del banner appartiene a Kaciart.
    4. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD




    Le lunghe ombre del tramonto precedevano il passo di Ori verso la forgia.
    Si muoveva veloce per le strade tinte di un dolce color arancio, ed anche se sapeva di trovare ancora lì Fìli e Kìli - erano sempre gli ultimi a lasciare il lavoro insieme a Thorin -, non poteva fare a meno di rendere sempre più celere il proprio posso per raggiungerli e far loro compagnia.
    Non che ne avessero bisogno, ma Ori già da tempo aveva sviluppato la 'necessità' di passare più tempo possibile con i due. O meglio, con Fìli.
    Non si trattava di una semplice preferenza dal sapore infantile, Ori infatti adorava Kìli, ma quando si trovava fianco a fianco con il fratello maggiore non riusciva a non sorridere. Era una sensazione piacevole che gli riscaldava il cuore e che arrivava quasi a convincerlo che Fìli fosse il suo Thadulurel. L'unico Nano che avrebbe mai amato in vita sua.
    Per quel motivo Ori aveva iniziato a farsi in quattro per riempire di attenzioni Fìli, preparargli dei regali ed essere sempre presente in ogni situazione. Non aveva ancora ottenuto dei veri e propri risultati, ma non si era ancora arreso. Sapeva - o almeno lo sperava - che alla fine anche l'altro Nano si sarebbe reso conto della sua presenza... e magari avrebbe addirittura ricambiato i suoi sentimenti.
    Sorrise al solo pensiero, le guance gli bruciavano già per l'emozione, e con rinnovata convinzione strinse al petto l'ennesimo regalo che aveva preparato per il giovane Nano.
    Si fermò quindi sull'entrata della forgia con quel sorriso ed un saluto che rimase tuttavia bloccato sulle sue labbra, troppo sconvolte per ciò che i suoi occhi videro.
    Era sempre stato a conoscenza del forte legame affettivo che legava i due fratelli rendendoli inseparabili, e mai come in quel momento quel legame gli sembrò invalicabile.
    Kìli sedeva su un tavolo, le gambe a penzoloni separate dal corpo di Fìli, che lo stringeva a sé... troppo vicino per essere un semplice abbraccio.
    Ori rimase interdetto, incapace di muoversi o di emettere un qualsiasi suono che avrebbe palesato la propria presenza.
    Fu solamente in grado di osservare i suoi due amici - il Nano del quale si era innamorato - scambiarsi un bacio che aveva cercato di ignorare fino a quell'istante.
    Erano... perfetti. Era impossibile non notare quanto fossero belli e maledettamente felici insieme. Tant'è che Ori si insultò mentalmente per non essersi mai reso conto di quanto gli accadeva sotto il naso.
    Accecato dai suoi sentimenti, aveva ignorato il sorriso che Fìli rivolgeva solo ed esclusivamente a Kìli e come questo cercasse sempre un contatto fisico - un abbraccio, una carezza tra i capelli, le loro mani che si sfioravano.
    Si morse le labbra e, così come era arrivato, Ori si voltò uscendo dalla forgia in silenzio per ripercorrere la strada che aveva fatto poco prima.
    Il cielo ormai non era più colorato di quel dolce arancio che lo aveva accompagnato, ma aveva catturato le tinte più scure del momento che segnava il culmine del tramonto e l'inizio della notte. Ed Ori, per quanto fosse sconvolto - forse anche deluso ed arrabbiato -, non poté fare a meno di sentirsi un po' come quella giornata che stava volgendo al termine... perché anche lui, così come i suoi sogni e le speranze, si sentiva ormai finito.



  8. .
    Benvenuta tesoro ù_ù
  9. .
    Titolo: Losing Faith in the Storm
    Capitolo: Capitolo 2
    Genere: Introspettivo
    Rating: Giallo
    Avvertimenti: (per il futuro) Slash, Sesso Descrittivo, Dub-Con
    Conteggio Parole: 3575
    Note: 1. Ho raccolto più informazioni possibili sul periodo e sulla pirateria pur di rendere la storia più verosimile possibile - lasciando ovviamente spazio anche al “fattore romanzo”, perché diciamocelo: per quanto affascinanti i pirati veri non sono Johnny Deep!
    2. Dedicata a Thomas, l’amore della mia vita che mi ha incoraggiata tantissimo durante la stesura di questa storia!
    3. Grazie a tutti coloro che hanno recensito/piacizzato/seguizzato/ecc ecc la storia<3 Per me è un vero piacere :3
    4. Perdonate gli errori. Questo capitolo non è betato. Verrà corretto durante la settimana :3



    « Forse, Padre, un modo ci sarebbe».
    Per Nicolas fu praticamente impossibile non rimanere pietrificato davanti a quella semplice affermazione. Tant'è che gli bastarono solo quelle poche parole per sentire all’istante tutte le sue neonate speranze iniziare ad incrinarsi e per darsi anche dello stupido per aver creduto subito a quell’uomo.
    Doveva aspettarselo, in fondo. Era stato tutto troppo semplice, ed incantato dalla prospettiva di tornare a casa era arrivato sul punto di dimenticarsi con chi aveva a che fare.
    Quell’uomo era un pirata, un fuorilegge. Sicuramente la sua anima era tinta del rosso del sangue di tutte le sue innocenti vittime, come quelle dell’equipaggio della Saint Margaret.
    Deglutì, afferrando ancora il rosario per darsi un po’ di contegno.
    " Che cosa possono volere da me?", si chiese.
    I pirati desideravano solo arricchirsi e lui, ovviamente, non possedeva alcun oggetto di valore da utilizzare come pagamento o merce di scambio per la propria libertà.
    « C-cosa... cosa posso fare?», domandò nervoso incrociando gli occhi dell’uomo, nei quali riuscì quasi a scorgere una breve e fugace scintilla di esitazione, che scomparve quando questo rispose con voce decisa e priva di dubbi.
    « Sareste disposto ad ascoltare e ad assolvere i miei peccati, Padre?»
    « … come?», esalò Nicolas, faticando a credere a quanto aveva appena sentito.
    " Vuole... una confessione?", si interrogò ancora, umettandosi le labbra secche per la lunga mancanza d'acqua e per la tensione.
    « Desidero confessarmi», dichiarò con più chiarezza il pirata, guardando il suo ‘ospite’ negli occhi. E nonostante lo sguardo carico di aspettativa che gli rivolse il Capitano, Nicolas sentì tutta la tensione scivolare via nell’ascoltare quelle parole.
    Samuel non gli stava chiedendo niente di costoso, se non il prezzo che avrebbe dovuto pagare dinnanzi al Signore. Questo perché sapeva di non poter officiare nessuna funzione religiosa, men che meno un sacramento importante come la confessione... ma, come ben sapeva, era l’unica opportunità che aveva per restare in vita.
    Solo assecondando il desiderio di quell’uomo poteva continuare a mentire sulla sua vera identità, anche se significava aggiungere ai suoi peccati fattori sempre più gravi.
    " La mia vita vale tutte queste menzogne?", si chiese tra sé e sé, ricambiando lo sguardo che gli rivolgeva il pirata e andando alla ricerca di qualche dubbio o incertezza, ma tutto ciò che lesse in quelle iridi fu la sincerità.
    Quell’uomo lo avrebbe sfamato e protetto fino a quando non sarebbero giunti sulla terra ferma, dove poi lo avrebbe liberato come promesso. In cambio chiedeva solo il suo ascolto e l'assoluzione dai peccati... e giunti a quel punto Nicolas non riuscì a non trovarsi davanti all'ennesima scelta, quella che lo avrebbe accompagnato fino alla fine del viaggio: sopravvivere, continuando a mentire, o morire ma con la coscienza pulita.
    Sospirò chiudendo per qualche istante gli occhi, e quando li riaprì aveva già preso la sua decisione.
    « Sarà un o-onore per me, ascoltarvi e... e pregare con v-voi affinché il Signore vi assolva d-da tutti i v-vostri peccati», rispose piano, chiedendosi se qualcuno avrebbe mai fatto lo stesso con lui in futuro.
    Padre Michael, o gli altri preti e novizi del convento, sarebbero mai stati in grado di perdonarlo al suo ritorno? Lo avrebbero guidato verso l’assoluzione dei suoi peccati?
    Decise di non pensarci - temeva in una risposta negativa - e di volgere invece le sue attenzioni al presente. Si stava comportando come un vero egoista, ma desiderava per davvero continuare a vivere.
    « Vi ringrazio, Padre», sorrise lievemente Samuel, e lo stesso Nicolas tentò di ricambiare piegando leggermente le labbra, tuttavia senza troppo successo. Nonostante il suo forte desiderio di sopravvivenza, c’era ancora un parte di lui che non era certa che la sua vita valesse tutte quelle menzogne, ma il suo istinto lo stava portando verso un’altra strada... e non poteva far altro se non proseguire con le sue bugie nella speranza che la verità non venisse mai galla.
    Rimase ancora in silenzio, soppesando le conseguenze di quelle sue azioni, fino a quando qualcuno non entrò nella cabina, portando con sé l'invitante odore di uno stufato di carne che eliminò ogni suo dubbio. Infatti Nicolas, nonostante la ben presente nausea, non poté non sentire i primi morsi della fame dinnanzi a quel buon profumo - forse con la tensione che si era sciolta grazie alla promessa di quell’uomo, anche il suo malore sarebbe stato più sopportabile.
    « Capitano. Padre», li salutò il nuovo pirata - un giovane dai lunghi capelli scuri e dai tratti chiaramente orientali - che percorse con sicurezza la cabina di Samuel, portando con sé dei piatti per la cena.
    « Oh, Jim», esordì il Capitano rivolgendo le sue attenzioni verso il nuovo arrivato, « credo che tu sappia già che abbiamo un ospite. Il suo nome è Padre Nicolas e conto su di te e su Stace per ricordare al resto dell'equipaggio come devono comportarsi», continuò, lasciando che il giovane pirata servisse la cena.
    Jim assentì con il capo, mormorando un: « Certamente. Stace ha già liberato l'amaca di Louis», mentre posava un piatto anche davanti a Nicolas che, improvvisamente più affamato, chiuse gli occhi come per lasciarsi avvolgere da quel profumo.
    Gli sembrava passata un’eternità da quando aveva potuto mangiare qualcosa, inoltre fino a qualche ora prima si era addirittura convinto che quel pezzo di pane che aveva preso a colazione sarebbe stato letteralmente il suo ultimo pasto.
    « Vi ringrazio», mormorò un attimo dopo, rivolgendo all giovane pirata uno sguardo carico di gratitudine.
    « È un piacere», sorrise in risposta Jim, e dopo essersi accomiatato dal suo Capitano e dall’ospite, li lasciò soli chiudendo la porta alle sue spalle.
    « Spero sia di vostro gradimento, Padre», continuò a parlare Samuel e Nicolas, deglutendo, si affrettò a scuotere il capo.
    « T-trovo che sia anche troppo per u-un umile s-servitore del Signore c-come me...»
    Era abituato a pasti ben più esigui - solo nelle grandi occasioni nel convento potevano permettersi di consumare qualcosa di più abbondante -, tuttavia in quell’istante il suo problema era un altro. Si sentiva decisamente meglio - il ‘profumo’ della libertà aveva sciolto un pesante nodo nel suo stomaco -, ma continuava ad avvertire una certa tensione e non voleva apparire maleducato dinnanzi a quell’uomo.
    « Vi chiedo p-però di perdonarmi... n-non vorrei apparire ingrato, ma... h-ho sofferto di alcuni m-malori e...»
    « Posso comprendere», rispose Samuel senza attendere ulteriori spiegazioni, « Vi sembrerà strano, ma parecchi dei miei uomini i primi tempi hanno faticato a sopportare il mare aperto. Molti di loro sono stati solo dei semplici cacciatori, maniscalchi o fuggiaschi, costretti ad intraprendere questa vita per, possiamo dire, problemi con la legge», continuò con un mezzo ghigno, prendendo un pezzo di carne dallo stufato per addentarlo.
    Nicolas lo ascoltò stupito, ricordando che anche quando aveva attraversato il ponte di coperta per la prima volta non era riuscito a non rimanere affascinato dalla laboriosità dei pirati, e quella nuova rivelazione gli stava aprendo un intero mondo davanti.
    Pensava che i pirati fossero tutti amanti degli oceani, magari anche dei provetti nuotatori, mentre in realtà alcuni di loro erano uomini come lui che al minimo ondeggiare della nave avvertivano lo stomaco bloccarsi.
    « Abbiamo delle cure temporanee per i primi tempi», riprese il Capitano, versando da bere a se stesso ed anche a Nicolas. « e se volete posso farvi portare qualcosa per aiutarvi a distendervi».
    Il giovane uomo non riuscì a trattenere uno sguardo carico di speranza e gratitudine davanti a quella proposta.
    « Ve ne sarei i-immensamente grato», mormorò sincero.
    « Perfetto... se mi volete scusare», esordì il pirata, alzandosi con un sorriso gentile.
    « N-no! Mangiate prima!», esclamò Nicolas, stupito da quella pronta reazione. « N-non dovete anteporre le mie n-necessità alle v-vostre!»
    « Siete un mio ospite e desidero che stiate bene», tagliò corto Samuel, abbandonando la cabina con pochi passi, lasciandolo solo senza la possibilità di ribattere.
    Il giovane uomo non si aspettava una simile reattività e disponibilità, ma in un certo qual modo era come se il Capitano stesse cercando di conquistare la sua fiducia e simpatia per assicurarsi l'assoluzione dai suoi peccati. O almeno così gli sembrava - era un pensiero un po' troppo malizioso, ma Nicolas sentiva di star agendo nel modo giusto, o almeno si stava convincendo di farlo.
    Attese quindi in silenzio, paziente e ancora troppo intimidito per muoversi con un po' più di disinvoltura. Di fatti fu solo in grado di guardarsi attorno, cercando di distinguere altri particolari di quella cabina ormai illuminata solo dalle candele presenti sul tavolo, tuttavia senza alcun successo.
    Spostò allora lo sguardo sul suo pasto. Lo stufato di carne aveva un aspetto invitante ed il suo profumo arrivo quasi a fargli gorgogliare lo stomaco.
    Chiuse gli occhi, ignorando il malore e resistendo alla tentazione di assaggiarne un po' prima del rientro del Capitano - sarebbe stato maleducato.
    Tentò quindi di riordinare le idee per l'ennesima volta. Tra le tante cose negative, poteva dirsi fortunato ad aver incontrato la nave guidata dal Capitano Samuel Collins e non una guidata ad un altro pirata.
    Samuel era un credente, ed il fatto che Nicolas avesse l'aspetto di un prete aveva spinto l'uomo a salvarlo da una morte certa. Era certo che altri pirati non avrebbero fatto la stessa cosa - come quel Will, l'energumeno che lo aveva condotto dal Capitano.
    Quella riflessione si rivelò ovviamente importante per Nicolas, perché anche se Samuel si stava comportando in modo gentile, gli altri magari non si sarebbero comportati nello stesso modo. Non doveva dare confidenza a nessuno. Doveva assolutamente rimanere sulle sue fino alla fine della traversata.
    Perché una parola o un passo falso lo avrebbero solamente portato alla morte.
    Sospirò ancora, umettandosi le labbra con la lingua, ritrovandosi poi a sussultare quando quel suo momento di solitudine venne interrotto dal rientro del Capitano. Si voltò verso di lui, osservandone il portamento sicuro e gli ‘strani oggetti’ che portava con sé: un fazzoletto ed una piccola boccetta.
    « Questo è il nostro rimedio», esordì prendendo di nuovo posto e mostrando a Nicolas ciò che gli aveva portato. « Essenza di lavanda, il suo profumo aiuta a distendersi», continuò versando qualche goccia sul fazzoletto che poi porse al suo ospite.
    Il giovane uomo prese esitante quel quadratino di stoffa, portandolo al viso per ispirarne il profumo.
    Era buono e delicato, proprio come se lo ricordava, e solo quel semplice 'assaggio' servì quasi a rilassarlo. Non era uno sprovveduto, grazie ai suoi studi conosceva alcune proprietà della lavanda, ed anche se quella capacità gli era sconosciuta - per quel che ne sapeva poteva anche trattarsi di una sostanza innocua che agiva semplicemente condizionando il suo inconscio -, decise di fidarsi di quella sensazione di benessere.
    « Vi ringrazio...», mormorò riconoscente accettando poi con più tranquillità il bicchiere pieno di vino che gli porse il pirata. Ne prese infatti un generoso sorso poi, posandolo di nuovo sul tavolo, iniziò a mangiare insieme a Samuel senza esitazioni.
    Entrambi si gustarono quel pasto lentamente ed in silenzio, e anche se Nicolas continuava ed avvertire un leggero fastidio dovuto ai movimenti della nave, la cena si concluse in modo abbastanza piacevole - insieme alla bottiglia di vino che andò più volte a riempire il bicchiere di Samuel.
    « Desiderate mettervi comodo, Padre?», domandò il pirata qualche momento dopo, rompendo il silenzio che si era creato, ma Nicolas scosse il capo ispirando ancora una volta l'essenza di lavanda - sembrava funzionare e la cosa lo rincuorava non poco.
    In realtà avrebbe davvero gradito distendersi, ma sapeva di avere un dovere nei confronti di quell'uomo, e armandosi di coraggio prese la decisione di rimanergli ancora accanto.
    « Io... s-sono a vostra c-completa disposizione, Capitano...», mormorò sforzando un sorriso.
    « Allora dovete sapere che non sono sempre stato un credente», ribatté Samuel senza alcuna esitazione, sembrava non attendesse altro, « ho semplicemente sentito la necessità di rivedere alcune delle mie priorità sul punto di morte», ammise, e Nicolas davanti a quell'affermazione - non si aspettava una così pronta risposta -, non riuscì a non abbassare lo sguardo, incrociando per la seconda volta in quella serata la cicatrice sul collo del pirata.
    « Esattamente», ridacchiò l’uomo dopo essersi reso conto di quell’occhiata, andando a toccare la pelle sfregiata con la punta delle dita, « all'epoca non ero ancora il Capitano di questa nave, ma ero pur sempre un pirata. Per quel motivo mi trovavo sulla forca, e Dio solo sa quanto volessi continuare a vivere! Il mio desiderio era talmente ardente che iniziai a pregarlo e a supplicarlo affinché mi desse un’altra opportunità. È stata tutta una questione di secondi, ma per me è stato un momento quasi eterno. Ho sentito le assi mancarmi da sotto i piedi, sarei soffocato o il mio collo si sarebbe spezzato.. ma non è accaduto, perché è stata la corda, forse marcia, a spezzarsi e sono caduto sotto lo sguardo stupito della folla accorsa per la mia esecuzione. Io stesso ero stupito, ma ero vivo e per questo motivo riuscii ugualmente a fuggire e a mescolarmi tra gli spettatori.», raccontò con tranquillità, lasciando il giovane uomo senza parole.
    Nicolas non aveva mai sentito una storia simile e non sapeva assolutamente come interpretare quanto era accaduto, tant'è che si chiese come Dio avesse potuto scegliere di salvare quel pirata - un assassino ed un ladro - condannato a morte. O era stata una semplice coincidenza?
    In tutta la sua vita Nicolas non aveva mai creduto alle coincidenze. Era certo che in ogni azione - e nelle successive conseguenze - ci fosse sempre la mano del Signore... quindi, per quanto assurdo potesse apparire, doveva esserci anche nella storia di Samuel.
    « Non avevo mai creduto in Dio fino a quel momento. Era un segno o un semplice caso? Non lo sapevo, ma da quell’istante ho scelto di credere in Dio...», riprese l’uomo con tono serio, « Tuttavia, nonostante gli sforzi, non posso dire di non aver peccato. Non si tratta di una scusa, Padre. Sono un pirata, e questa è la mia vita. Non posso cambiarla perché sulla terra ferma mi aspetta un’altra corda attorno al collo, per questo motivo quando vi ho visto sulla nave, ho impedito ai miei uomini di riservarvi la stessa sorte dell’equipaggio. Il vostro arrivo è stato inaspettato e penso di poterlo interpretare come una prova della mia fede».
    « Lo... lo credo anch’io...», rispose Nicolas dopo aver esitato per qualche secondo.
    “ Forse”, si disse tra sé e sé, “ salvando Samuel quella volta, il Signore ha scelto di salvare anche me”.
    Era una spiegazione quasi plausibile, anche se sinceramente si trattava pur sempre di una supposizione un po’ troppo fantasiosa.
    « La vita dei pirati non è povera di peccati, questo penso che lo sappiate. Dobbiamo rubare ed uccidere per evitare che venga fatto a noi stessi», proseguì l’uomo.
    « D-dovete proteggervi, q-questo è comprensibile... ma potete a-anche scegliere di non... u-uccidere. Voi lo... lo avete fatto con me...»
    « Sono il Capitano e sono stato eletto dai miei uomini, non è un diritto ereditario né mi è stato donato dal mio predecessore. Gli uomini scelgono chi deve rappresentarli e guidarli, ed hanno scelto me. La legge nel mare è chiara: uccidi o sarai ucciso. Credete che i corsari o le navi che portano il vessillo della Corona Inglese ci risparmierebbero sapendo che non sono intenzionato ad uccidere nessuno?», domandò, lasciando a Nicolas qualche attimo per pensare.
    Da una parte era un grave peccato uccidere - imperdonabile in realtà -, ma dall’altra il giovane uomo poteva anche comprendere ciò che sarebbe accaduto.
    Gli uomini di quella nave avevano eletto Samuel Collins come Capitano perché si fidavano di lui e delle sue scelte, sapevano che li avrebbe protetti.
    Se avesse scelto di arrendersi o di lasciare in vita chiunque incontrasse sul suo cammino, sarebbe stato come tradirli. Inoltre, come Nicolas ben sapeva, la legge li avrebbe ugualmente giustiziati.
    Erano assassini e ladri, ma erano pur sempre esseri umani. Doveva essere Dio a scegliere per la loro vita e non la legge - o almeno era sempre stato quello il pensiero del giovane uomo, anche se era sempre stato abbastanza intelligente da tenerlo per sé - non a tutti piacevano certe idee ‘innovative’ o contro la credenza popolare.
    « Avete ragione...», mormorò. « Tradireste la fiducia dei vostri compagni e li mettereste in pericolo».
    « Esattamente», annuì Samuel. « Ma non per questo non provo rimorso per ciò che faccio. Cerco di proteggere chi si fida delle mie decisioni, anche se questo va contro il volere di Dio e della legge. Questo non mi rende una brava persona e sicuramente non mi merito un posto in paradiso, ma almeno ne sono consapevole».
    Nicolas assentì ancora. Ovviamente non condivideva il loro modo di vivere ma poteva comprenderlo, lui stesso agendo in quel modo stava peccando e sperava di essere perdonato per quanto stava facendo.
    « Dio sa che provate questi sentimenti...», rispose assumendo un tono gentile. « e quando giungerà il... il momento e verrete giudicato, lui terrà conto di ogni vostra azione, buona o cattiva. Io... io stesso comprendo le vostre azioni e... per questo motivo pregherò con voi e chiederò di assolvervi da questi peccati», concluse riuscendo a mantenere la sua voce più calma possibile per poi alzarsi ed invitare il pirata a fare lo stesso.
    Non avevano alcun altare in quella cabina, né un confessionale o un qualsiasi luogo sacro, ma potevano pur sempre inginocchiarsi e pregare, e Samuel, dopo aver intuito le sue intenzioni, piegò il capo in segno di rispetto e gratitudine per poi imitarlo.
    Si inginocchiarono entrambi, e dopo aver congiunto le mani davanti al viso, Nicolas iniziò a mormorare una preghiera venendo subito seguito dall’altro con non poche difficoltà - Samuel non era chiaramente abituato a pregare.
    « Deus meus, ex toto corde pǽnitet me ómnium meórum peccatórum, éaque detéstor, quia peccándo, non solum pœnas a te iuste statútas proméritus sum, sed præsértim quia offéndi te, summum bonum, ac dignum qui super ómnia diligáris...»
    Ancora una volta Nicolas chiese perdono per quelle sue menzogne e pregò anche per l’anima di quel pirata che gli aveva salvato la vita. Non era lui a dover giudicare un uomo per le sue scelte. Poteva non condividerle, certo, ma il giudizio finale spettava a Dio.
    « Ideo fírmiter propóno, adiuvánte grátia tua, de cétero me non peccatúrum peccandíque occasiónes próximas fugitúrum. Amen», concluse.
    « Amen...», gli fece poi eco Samuel.
    Il giovane uomo sforzò un sorriso, e alzandosi con non poche difficoltà, si sedette ancora.
    « Tra qualche giorno, Padre, non avrà più problemi di equilibrio», lo rassicurò con un ghigno il pirata notando le sue esitazioni.
    Nicolas assentì incerto. Quando prima aveva percorso il ponte di coperta, non si era reso conto di quella sua difficoltà, era sicuramente troppo teso e nervoso per prestare attenzione a quelle ‘piccolezze’.
    Strinse quindi il fazzoletto, portandolo di nuovo al volto per inspirarne quel dolce profumo.
    « Vi ringrazio», riprese l’uomo, ma ancor prima di poter aggiungere qualcos’altro, qualcuno bussò alla porta.
    L’uomo che entrò subito dopo nella cabina era abbastanza alto e zoppicava vistosamente, e Nicolas non riuscì a trattenersi dal seguirlo con lo sguardo con non poca curiosità, chiedendosi come si fosse procurato quella ferita o se si trattava di un suo problema fisico.
    « Capitano, sono quasi le otto», annunciò, lanciando un’occhiata al giovane uomo.
    « Sì, Simon», assentì Samuel, rivolgendosi poi al suo ospite, « lui ti condurrà negli alloggi dei pirati», spiegò con calma.
    « I-io... d’accordo», assentì Nicolas riscosso dai suoi pensieri, alzandosi lentamente. « Vi devo, ringraziare a m-mia volta, Capitano... è un onore avervi incontrato...»
    Samuel sorrise compiaciuto dichiarando poi un: « Vi auguro un buon riposo, Padre», e solo allora Nicolas poté che congedarsi a sua volta ricambiando l’augurio del Capitano, per poi seguire il pirata zoppo - Simon - fuori dalla cabina.
    La sua uscita sul ponte di coperta venne accolta da un leggero venticello che lo fece quasi rabbrividire. I suoi occhi corsero subito alla ricerca di un qualcosa di familiare - aveva visto quel luogo giusto poco tempo prima -, ma le sue chiare iridi finirono per scontrarsi solamente con la desolazione delle tenebre notturne, rischiarate solo dalla candela che portava il suo 'accompagnatore'.
    « Anche se sei un ospite del Capitano, ci sono delle regole che devi rispettare se non vuoi creare problemi», esordì serio l’uomo con un forte accento irlandese, avviandosi verso le scale del cassero.
    « S-sì, certamente...», assentì subito Nicolas cercando di stargli dietro.
    La nave, benché fosse ferma per la notte, ondeggiava placida guidata dai movimenti del mare e lui, che non era minimamente abituato a camminare su una superficie così instabile, si ritrovò più volte a cercare un appiglio per sorreggersi nei sostegni in legno.
    Al contrario Simon, nonostante si muovesse con un’andatura irregolare dovuta al suo problema fisico, sembrava ben stabile sulle sue gambe e sicuro nel portamento.
    « Le candele si spengono alle otto, ovvero in questo momento, e chi si vuole trattenere oltre quell'ora deve rimanere sul ponte di coperta. Nella nave inoltre non è permesso giocare d'azzardo, né sono accettati litigi di ogni sorta. Si risolve tutto sulla terra ferma. Infine il bucato, ognuno se lo fa da sé. Siamo intesi?», domandò fermandosi davanti ad una porta nel piano inferiore del cassero, voltandosi poi verso il giovane uomo come per assicurarsi che avesse ascoltato tutto.
    « S-sì, signore», balbettò Nicolas in risposta, tenendo per sé lo stupore.
    Era ovvio che ci fossero delle regole su una nave del genere - anche se erano dei pirati, dovevano pur seguire una sorta di ‘linea comportamentale’ per non uccidersi a vicenda -, ma era più che altro stanco e necessitava per davvero distendersi e dormire per qualche ora... e magari sognare di essere di nuovo a Penarth.
    « Perfetto, ragazzino», ghignò Simon compiaciuto, aprendo poi la porta per farlo entrare in quelli che dovevano essere gli alloggi dei pirati e di conseguenza anche i suoi, sussurrando un divertito e quasi amichevole: « Benvenuto a bordo della Neptune».



  10. .
    Titolo: Don’t say a word
    Fandom: The Mortal Instruments (Shadowhunters)
    Personaggi: Lucian Greymark (Luke Garroway), Jocelyn Fairchild (Jocelyn Fray)
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Flashfic, Het, Domestic Fluff, Missing Moment
    Conteggio Parole: 145
    Note: 1. Nata per un meme su tumblr in cui dovevano mandarmi una coppia e un’ambientazione AU (e non) ed io avrei scritto una fic in tre frasi :3
    2. Prompt: Jocelyn and Luke, silence!
    3. Tutta per il mio amore ù_ù




    Per quanto Luke fosse abituato ad avere Jocelyn e Clary a casa, non riuscì a non sentirsi impacciato quando varcò la soglia della camera da letto insieme alla sua... fidanzata? Compagna? Futura moglie?

    Si innervosì all’istante, chiedendosi disperatamente come dovesse comportarsi con Jocelyn, che dovesse dire o fare... e tutte quelle domande, senza risposta, riuscirono solamente a farlo agitare ulteriormente, perché lui non aveva mai avuto nessuna compagna, si era sempre e solo fatto bastare l'amore - che aveva sempre ritenuto impossibile - per quella donna.

    Ovviamente, quel suo disagio non sfuggì a Jocelyn che, sorridendo a sua volta impacciata - si sentiva anche lei come una ragazzina davanti alla sua prima cotta -, gli impose il silenzio con un semplice: " Non dire niente...", seguito da un tenero bacio a fior di labbra che ebbe il potere di far dimenticare ad entrambi i loro imbarazzanti problemi.

  11. .
    Titolo: Hard Day
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi: Fìli, Kìli
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Avvertimenti: Drabble, Slash, What if? (E se…), Incest, Lemon, Rimming, Alternative Universe
    Conteggio Parole: 90
    Note: 1. Nata per un meme su tumblr in cui dovevano mandarmi una coppia e un’ambientazione AU ed io avrei scritto una fic in tre frasi :3
    2. Prompt: Ehehe *derp* Fìli and Kìli_College room-mate after an HARD day of lessons~ <3
    3. Tutta per il mio amore e per la Aly che me la ha richiesta ù_ù
    4. L’immagine del banner appartiene a Kaciart





    Fìli tremò carico d’aspettativa quando Kìli espose la sua entrata, allargandola con le dita.

    " Cosa c'è di meglio di questo dopo una lunghissima giornata di studio?", domandò ironico Kìli, soffiando quelle parole sulla pelle tesa ed arrossata dell'altro, aggiungendo poi un malizioso: " Cerca solo di non fare troppo rumore... non vogliamo che Ori ci senta, vero fratellone?"

    " N-no...", rispose Fìli trattenendo il respiro e stringendo le dita sulle lenzuola, emettendo poi un gemito quando Kìli spinse la sua lingua dentro il suo orifizio, muovendola lentamente attorno ai muscoli tesi.

  12. .
    Titolo: Emma
    Fandom: Real Persons
    Personaggi: Aidan Turner, Dean O’Gorman
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Flashfic, Slash, Alternative Universe, What if? (E se…), Daddy!Fic
    Conteggio Parole: 160
    Note: 1. Nata per un meme su tumblr in cui dovevano mandarmi una coppia e un’ambientazione AU ed io avrei scritto una fic in tre frasi :3
    2. Prompt: For one of the three sentences. Aidean, Father's Day!
    3. Tutta per il mio amore ù_ù




    Quando Dean aveva sentito la piccola Emma piangere - alle maledettissime quattro del mattino della prima, fottutissima, domenica di settembre - era stato irremovibile: lui si era alzato la notte prima e quella prima ancora, quindi quello era indubbiamente il turno di Aidan di accudirla e di rimetterla a dormire.

    Ovviamente, come c'era da aspettarsi, il pianto cessò quasi subito quando Aidan raggiunse la stanza della bambina, ma quando non fece ritorno dopo un quarto d'ora Dean si costrinse ad alzarsi preoccupato per andare a vedere che fine avesse fatto suo marito... trovandolo seduto sulla sedia a dondolo con Emma in braccio, entrambi addormentati e con un'espressione rilassata in volto.

    Dean non riuscì a trattenersi dal sorridere - erano perfetti insieme, stessi capelli scuri e occhi castani - e, cercando di fare più silenzio possibile, si avvicinò per poterli coprire con una copertina e posare un bacio sulla fronte di entrambi, sussurrando ad Aidan un leggero: " Felice festa del papà, tesoro."

  13. .
    Titolo: Prison
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi:Dwalin, Nori
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Conteggio Parole: 425
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, What if? (E se…), Lemon, Violence, PWP
    Note: 1. Scritta velocissimamente çAç non è niente di che, solo una scena di sesso senza trama çAç
    2. Dediche! Come sempre scrivo per il mio amore çAç/ ti amo!
    3. Non è betata *^*



    Le manette stringevano crudelmente i polsi di Nori, arrossandoli e procurandogli dei fastidiosi tagli, ma per quanto quella posizione fosse dolorosa, ogni movimento di Dwalin era in grado di annullare quelle sensazioni. Anzi, il solo fatto di essere ammanettato e rinchiuso in una delle prigioni di Thorintûmhu, era in grado di eccitarlo non poco... ed era certo che anche il suo carceriere la pensasse in quello stesso modo.
    Perché Dwalin aveva il totale controllo di quelle celle. Era la legge per tutti i Nani delle Montagne Azzurre, e Nori era da sempre il suo obiettivo. Un fastidioso ladro che entrava ed usciva dal suo controllo come e quando voleva, annullando la sua posizione di superiorità. E Nori sapeva che quello era l’unico modo per ottenere quello che desiderava... ovvero il farsi scopare poi contro le sbarre della prigione da un arrabbiatissimo ed eccitato Dwalin.
    Ghignò tra i gemiti, stringendo i pugni ed allacciando le gambe attorno ai fianchi dell’altro Nano come per non farlo allontanare.
    “ Che c’è D-Dwalin...”, ansimò ironico, leccandosi lascivo le labbra. “ N-non riesci... ah-ad eccitarti s-se... ahn... non c-catturi qualcuno?”
    Il verso animalesco del suo amante, seguito da un secco movimento del suo bacino, impedì a Nori di continuare a stuzzicarlo, ma non gli diede poi così fastidio... al ladro piace proprio in quel modo: senza freni, forte e violento.
    Ogni dolcezza l’avrebbero entrambi riservata alle loro future compagne, in quel momento era semplicemente il loro corpo a reclamare quelle attenzioni.
    Gemette ancora, tentando di assecondare i movimenti di Dwalin con il bacino, accogliendone la foga e la malcelata rabbia fino a quando non sentì l’orgasmo raggiungerlo. Al suo ‘amante’ bastarono infatti poche altre spinte - che andarono a colpire la sua sensibile prostata - per farlo venire.
    Anche Dwalin, che continuò a muoversi dentro e fuori il suo stretto orifizio, raggiunse ben presto l’apice di quel frettoloso e violento amplesso, riversando dentro Nori il suo caldo seme.
    Solo la forza del Nano impedì ad entrambi di crollare per terra, ma ovviamente quello non impedì a Dwalin uscire dal corpo del ladro senza alcun riguardo e di lasciarlo scivolare lungo le sbarre, evitando quasi di guardarlo.
    Nori sospirò, ma non perse quel suo sorriso strafottente intriso di soddisfazione.
    “ Alla prossima volta, Dwalin?”, domandò qualche attimo dopo, quando ‘la sua guardia’ si sistemò i calzoni visibilmente sporchi per andare ad aprire la cella.
    “ Non contarci...”, ringhiò in risposta il Nano, chiudendo alle sue spalle la porta metallica.
    “ Come sempre!”, ridacchiò invece Nori trascinandosi sul letto e lasciando che la sua risata carica di scherno seguisse Dwalin fino all’esterno della prigione.


    Nota:
    Thorintûmhu: Thorin’s Halls. Dovrebbe essere il luogo in cui vivono i Nani “regnanti” nelle Montagne Azzurre. .w.

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  14. .
    Titolo: Who named the stars?
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi: Fìli, Kìli
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Oneshot, Missing Moments
    Conteggio Parole: 1110
    Note: 1. Solo fluff-fluffoso con Fìli e Kìli bimbi XD
    2. I Nani non hanno dei “mesi fissi”. Variano con i movimenti lunari e cose similiXD quindi per un Nano è importante conoscere i nomi delle stelle e queste cose. Nella fic ho nominato due costellazioni che appaiono nelle opere di Tolkien (l’Orsa Maggiore e Minore). Avrei inserito il corrispettivo in khuzdul ma sfortunatamente non l’ho trovato, quindi ho lasciato la loro traduzione dall’Elfico alla lingua corrente.
    3. Come sempre la dedico al mio amore<3
    4. Il disegno appartiene alla bravissima Kaciart
    5. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD





    Era stato Thorin ad affidare a Fìli l’importante compito di portare il suo fratellino all’aperto quella notte ed insegnargli i nomi delle varie costellazioni e delle stelle.
    Ovviamente non spettava al giovane Nano fargli quella lezione, si trattava infatti di un compito di Balin, ma l’anziano e paziente insegnate proprio non riusciva a far apprendere quelle nozioni al più piccolo.
    Kìli si rifiutava ogni singola volta di ascoltarlo e tutti sapevano che Fìli era l’unica persona in grado di fargli prestare attenzione.
    “ A te da più ascolto.”, gli aveva detto Thorin al termine di un lungo discorso riguardante l’istruzione di Kìli e l’importanza di quelle lezioni che il più piccolo non voleva proprio voler apprendere. Ed il maggiore, carico d’orgoglio per quella responsabilità, si era ritrovato ad attendere con ansia la notte per portare il suo fratellino in un ampio spazio aperto non lontano dalla loro dimora, nel quale era visibile il cielo e la grandissima luna che illuminava tutto quello che riusciva a raggiungere.
    “ Che facciamo qui Fee? Diamo la caccia agli orchi?!”, domandò Kìli esaltato dal semplice fatto di trovarsi fuori casa nel bel mezzo della notte insieme al suo fratellone - cosa avrebbero fatto? Era certo che sarebbe stata un’avventura indimenticabile!
    “ No. Dobbiamo fare una cosa più importante.”, rispose Fìli serio, sedendosi per terra ed invitando il suo fratellino a fare lo stesso. “ Balin ha iniziato a spiegarti come funzionano le stelle e la luna, vero?”
    Kìli, rimasto in piedi, storse il naso ma annuì.
    “ Lo zio ha deciso che sarò io a insegnarti queste cose! Sei felice?”
    “ Ma io non voglio impararle!”, ribatté prontamente il bambino assumendo un’espressione ferita - si aspettava chissà quale avventura con il suo fratellone e non una noiosissima lezione.
    “ Devi impararle...”, continuò serio Fìli mentre l’altro, buttandosi sull’erba, borbottava un: “ Non mi piacciono! Io voglio usare la spada!”
    “ Sei troppo piccolo, Kee...”
    “ Non è vero!”, si impuntò Kìli, incrociando le braccia al petto e dandogli le spalle. “ Non sono troppo piccolo!”
    “ D’accordo... ma allora facciamo così: se impari queste cose, ti farò usare la mia spada.”, rispose Fìli, dopo averci pensato qualche istante, concedendosi poi un piccolo sorrisetto furbo. Sapeva benissimo come convincere il suo fratellino a fare tutto quello che voleva, ed infatti quella proposta riuscì ad attirare tutte le attenzioni del più piccolo.
    “ Davvero?”
    “ Davvero davvero.”, assentì Fìli senza smettere di sorridere, coricandosi ed attirando l’altro più vicino a sé.
    “ Lo hai promesso! Se non mantieni la promessa ti cadrà tutta la barba! Lo dice sempre la mamma!”, gli ricordò Kìli, agitandosi per l’emozione - avrebbe usato una vera spada!
    “ Ho mai infranto una promessa, nadadith?”, domandò il maggiore fingendosi offeso.
    “ Mai! Perché sei il fratello più bravo di tuuuuutti i fratelli!”, rispose il bambino senza neanche tentare di nascondere la sua felicità. “ Dai! Inizia! Prima finiamo prima combattiamo!”, continuò, sistemandosi meglio contro il petto dell’altro.
    Fìli sorrise soddisfatto e divertito per quella risposta, e guardando il cielo stellato iniziò a spiegare al suo fratellino come e perché i Nani dovevano studiare le stelle, le costellazioni e la luna.
    Era una lezione davvero noiosa - lo ammetteva lui stesso - ma era necessaria e cercò di non tralasciare niente nelle sue lunghe spiegazioni - Thorin doveva essere orgoglioso di lui quando Kìli avrebbe mostrato a Balin i frutti della sua lezione.
    " Poi... quello è il Falcetto dei Valar.", spiegò pazientemente il maggiore dopo un po’, indicando nel cielo quello che per Kìli sembrava solamente un’inutile ed incomprensibile ammasso di stelle privo di qualsiasi forma. " E se ti sposti in questa direzione puoi vedere L'Amante della Volta Celeste.", continuò.
    “ Mh...”
    “ Le vedi?”
    " Fee...", mugugnò il bambino, nascondendo il viso sul petto del fratello ed emettendo un verso disperato.
    Lui non vedeva proprio niente! Ed aveva anche cercato di stare attento ma... era davvero troppo! Tant’è che voleva solamente mettersi le mani nelle orecchie e urlare fino a far tacere Fìli.
    " Lo so. Lo so che è noioso, come ti ho già spiegato devi per forza imparare a riconoscere le costellazioni.", ridacchiò il maggiore, carezzandogli i capelli con fare comprensivo.
    Anche Fìli aveva incontrato alcune difficoltà qualche anno prima quando aveva dovuto imparare tutti quei nomi, e poteva comprendere lo stato d'animo dell'altro. Ma come Balin e Thorin avevano più volte detto: ogni buon Nano doveva riuscire a conoscere gli astri ed i loro movimenti, perché erano quelli che segnavano l’incedere dei mesi della loro razza.
    " Non è noioso! È stupido!", si difese il piccolo Nano, sollevandosi per guardare il volto del fratello illuminato dalla luna. " Chi ha deciso che le costellazioni dovevano essere quelle? E poi chi ha dato i nomi alle stelle? E alle costellazioni? Sono dei nomi idioti! Dove lo hanno visto un falcetto? E un amante? Io non vedo niente se non stelle e stelle!", si lamentò con quella sua vocettina acuta che strappò a Fìli una mezza risata.
    " Ah sì? Allora dimmi genio, tu come le avresti chiamate?", ribatté stringendolo a sé con un braccio.
    Stupito da quella domanda - forse si aspettava un’altra noiosittima spiegazione da parte del maggiore -, Kìli lanciò un'occhiata verso il cielo assumendo un’espressione pensierosa.
    " Sicuramente... i miei nomi non sarebbero stupidi.", rispose qualche momento dopo con un tono d’infantile orgoglio.
    " E quali sarebbero?", insistette Fìli curioso.
    " Quella lassù, la più luminosa, sarebbe Thorin.", esordì il bambino. " Perché è grande, forte e protegge le altre! Poi ci sono la mamma ed il Signor Dwalin, che sarebbero quelle lì!”, continuò muovendo il braccino per indicare le stelle che aveva scelto.
    “ Che... nomi curiosi, nadadith...”, mormorò divertito il maggiore, stupito dalla scelta fatta dal suo fratellino - ma come dargli torto in fondo? Il mondo del più piccolo girava attorno a quelle persone.
    “ Mentre quelle due stelle vicine sarebbero Fìli e Kìli! Io e te stiamo sempre vicini!", concluse Kìli rivolgendo poi un ampio sorriso all’altro che lo attirò di nuovo a sé in un abbraccio.
    “ Mi piace!”, dichiarò Fìli, ridacchiando e pizzicando con le dita il naso del più piccolo.
    “ Visto? Sono molto migliori di quegli altri!”, esclamò il bambino ridendo a sua volta, senza nascondere il suo orgoglio.
    “ Molto migliori!”, lo assecondò, e quando lo vide sbadigliare comprese che forse era il caso di mettere la parola fine a quella lezione. “ Ora però penso sia meglio lasciare le stelle in cielo e tornare a casa. Che ne dici?”, aggiunse tirandosi in piedi con Kìli attaccato al suo collo.
    “ Mh-mh!”, annuì il minore e, posando il capo sulla spalla di Fìli, si lasciò trasportare fino casa.
    Ricordandogli con quella sua vocettina adorabile - ma impastata dal sonno che avanzava - che il giorno dopo gli avrebbe dovuto far utilizzare la sua spada.






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    Heirs of Durin



  15. .
    Titolo: Mourning
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi: Dwalin, Dìs
    Genere: Introspettivo, Malinconico
    Rating: Giallo
    Avvertimenti: Oneshot, Het, Missing Moments, Spoiler!
    Conteggio Parole: 1240
    Note: 1. Volevo scrivere una Dwalin/Dìs e... e mi è uscita questa cosaXD TAGLIATEMI LE VENEEEEE XD
    2. Come sempre la dedico al mio amore<3
    3. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD




    Quando Dìs entrò nella sala con passo spedito non si stupì nello scoprire la presenza di Balin.
    Sapeva che l’anziano Nano la stava aspettando per offrirle il suo aiuto, ma per quanto apprezzasse la sua saggia e rassicurante presenza, lei voleva semplicemente rimanere sola.
    " Principessa...", esordì Balin, ma la mano alzata della Nana gli impedì di continuare a parlare.
    " Desidero rimanere sola.", tagliò corto Dìs con voce ferma e quasi impersonale, superando con decisione l’altro Nano per soffermarsi dinnanzi alle tombe dei suoi cari.
    Il suo sguardo era cupo e spento, e per quanto Balin desiderasse restarle accanto come aveva sempre fatto in passato, comprese che non avrebbe potuto far altro che ubbidire ai suoi ordini.
    Si concesse infatti solo un inchino poi, senza aggiungere altro, si allontanò lasciando che fossero i suoi passi, lenti e sempre più lontani, a far comprendere alla donna di essere finalmente sola.
    Dìs si rilassò non poco quando nella sala calò il silenzio, chiudendo gli occhi quando sentì le lacrime pizzicarle gli occhi.
    Detestava piangere e mostrarsi debole, perché per lei erano sempre stati un vanto la sua forza ed il suo orgoglio. Era fiera e testarda, come tutti i membri della sua stirpe: gli eredi di Durin il Senza Morte.
    Dopo la morte di suo nonno e suo padre, e quella di Frerin erano rimasti solo lei, suo fratello Thorin e i suoi figli, Fìli e Kìli... che in quel momento giacevano davanti a lei sotto quelle lastre in marmo, decorate d'oro e mithril. Ricche come tutte le tombe dei Re ma tremendamente gelide.
    Tutti avrebbero ricordato Thorin per aver liberato Erebor, per aver riportato la sua gente a casa. Lo avrebbero ricordato come il figlio di Thràin, nipote di Thròr.
    Quella tomba però non diceva niente sulla sua persona, non mostrava i sacrifici compiuti ed il dolore che aveva provato in tutti quegli anni lontano dalla sua patria.
    Era solo una fredda e muta pietra, l’ultima dimora anche dei suoi amati figli.
    I suoi Fìli e Kìli, colpevoli solo di aver adorato come un padre il loro Re e di aver desiderato seguirlo in quella missione.
    Sarebbero sempre stati ricordati come membri della Compagnia che aveva liberato Erebor dal Drago Smaug.
    Il loro nome sarebbe sempre stato collegato a quello di Thorin. I nipoti del Re Sotto la Montagna, i 'Figli di Dìs' che avevano inutilmente protetto il loro Sovrano fino alla morte.
    Ma quello non rendeva loro alcuna giustizia perché non parlava del loro legame, dei loro caratteri né dei loro sogni.
    Erano e rimanevano solo due nomi, accompagnati da delle impersonali scritte che non rappresentavano neanche lontanamente i suoi ‘bambini’.
    Ricordava ancora quando erano nati. L’inverno per Fìli, con i suoi capelli d’oro ereditati dal padre, e l’estate per Kìli, che somigliava in tutto e per tutto ad un membro della stirpe di Durin. Così diversi l’uno dall’altro eppure così uniti da sembrare quasi una cosa sola.
    Avevano pochissimi anni di differenza, e il loro arrivo era stato accolto come un miracolo dopo le disgrazie che erano accadute al popolo della Montagna Solitaria. E Dìs, così come Thorin, si era sempre impegnata per non far mancare loro niente, tant'è che quando espressero il loro desiderio di partire con il loro Re, lei non era riuscita ad impedirlo.
    Si lasciò sfuggire un singhiozzo, incolpandosi per non aver avuto il polso più fermo, per non essere riuscita a proteggerli... per aver dato loro il permesso di andare a morire per una casa che non avevano neanche conosciuto, se non attraverso dei racconti.
    La loro vita era appena iniziata e si erano a malapena affacciati nel mondo che tanto desideravano scoprire... ma alla fine si erano spenti, e sarebbero stati dimenticati dentro quelle maledette lastre di marmo che Dìs sentiva di odiare con tutta se stessa.
    Continuò a piangere silenziosa, lasciandosi sfuggire solo dei piccoli singhiozzi ed arrivando a stringere i pugni così forte da riuscire addirittura a ferirsi.
    Quel dolore però non era niente in confronto al lutto che portava con sé.
    Persa nel suo rimpianto, neanche si rese conto dei passi irregolari e pesanti che la raggiunsero. Riuscì solo a sussultare quando una voce - dura ma carica di dispiacere - le carezzò improvvisamente le orecchie.
    " Dìs..."
    Chiuse gli occhi nel riconoscere quella voce e quella confidenza nascosta nella pronuncia nel suo nome, e per quanto desiderasse restare sola, non riuscì a fare niente per allontanarlo.
    " Dwalin...", mormorò piano. Il Nano un punto fermo nella vita di Dìs, una sicurezza che non era mai svanita nel corso degli anni.
    L'aveva protetta più di una volta, si era preso cura di Fìli e Kìli quando Thorin era costretto ed allontanarsi per lavorare, ed anche se l'epilogo era stata la morte della famiglia di Dìs, lei era certa che Dwalin avrebbe preferito dare la propria vita ed ogni sua reincarnazione per impedire a Mahal di reclamare le anime di Thorin e dei ragazzi.
    " Mi dispiace...", mormorò qualche attimo dopo il Nano.
    " Lo so.", rispose Dìs senza però voltarsi, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano.
    " Perdonami se ho infranto la nostra promessa e non sono stato in grado di proteggerli... dovevo morire io, non loro...", aggiunse Dwalin con tono grave, carico di vergogna e dolore.
    Ricordavano entrambi la promessa che la Nana aveva strappato all'altro prima di partire.
    " Falli tornare sani e salvi da me...", gli aveva detto, stringendo le dita attorno al colletto del guerriero come per imporsi su di lui con più sicurezza, nascondendo i suoi timori. E Dwalin, fiero e sincero, aveva risposto con un: " Lo farò a costo della mia stessa vita. Te lo prometto."
    Chiuse gli occhi per qualche istante poi, voltandosi, guardò il Nano.
    Nuove cicatrici si erano aggiunte sul viso e sul suo possente corpo, ma l'unica cosa che Dìs notò fu l'unico piede sul quale si reggeva e due stampelle. Non aveva bisogno di alcun racconto per sapere che Dwalin, pur di mantenere quella promessa, si era lanciato come una furia tra gli orchi.
    Lo conosceva fin troppo bene, e quell'amputazione era solo una conferma.
    " Non addossarti alcuna colpa.", rispose piano, con la voce roca ed ancora incerta per il pianto. " Io stessa non te ne sto dando per quanto è accaduto..."
    Sarebbe stato semplice accusarlo e sfogarsi con lui, ma la Nana non lo avrebbe mai fatto.
    Dwalin abbassò il capo nel sentire quelle parole, ma per quanto le parole di Dìs fossero rassicuranti, il suo dolore - così come quello dell’altra - non si sarebbe estinto così semplicemente.
    Solo qualche momento dopo si azzardò a fare un passo in avanti, affiancando la Nana dinnanzi alle tombe.
    " Mi chiedo spesso perché io debba sopravvivere ad ogni battaglia...", mormorò, facendo scorrere lentamente lo sguardo sulle iscrizioni incise nel marmo e sulle decorazioni in oro e mithril. " Porto con me innumerevoli ferite, ma non sono ancora caduto come invece meriterei..."
    Dìs non riuscì a rispondere, riuscendo solo a stringergli il braccio con una mano e ad appoggiarsi delicatamente a lui con il capo. Dwalin si mosse di poco, lasciando una stampella per cingerle le spalle con un braccio.
    Quel leggero abbraccio le rubò un sospiro e, senza alcuna vergogna, lasciò che le lacrime riprendessero a scorrere sul suo volto.
    Il Nano la strinse con più sicurezza. Non aveva alcuna parola di conforto per lei, così come Dìs non ne aveva per il guerriero. Non erano mai stati bravi con le parole ed infatti preferirono continuare a rimanere in silenzio, osservando quelle tombe ricche eppure così impersonali che ospitavano non solo i corpi delle persone a loro care, ma anche tutto il dolore ed i rimpianti.






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