Posts written by #Michelle

  1. .
    Titolo: Recklessly Embarrassing
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi: Tauriel, Fìli, Kìli
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, Sesso non descrittivo, Incest, Voyeur, What if? (E se…)
    Conteggio Parole: 790
    Note: 1. Non sono d’accordo con la creazione di Tauriel maaaa... non riesco ad odiarlaXD Mi piace e se posso la inserisco nelle mie ficXD
    2. Dedicata all’amore della mia vita! Ti amo!
    3. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD




    Quando Tauriel si arrampicò sulla finestra della camera che era stata offerta a Kìli e Fìli dal Governatore di Esgaroth, si era già preparata in anticipo ad affrontare un 'qualcosa di anomalo'.
    Questo perché, essendo un Elfo, possedeva un ottimo udito e le era stato quindi impossibile ignorare i gemiti che provenivano dalla stanza. Inizialmente - e forse ingenuamente - trovò semplice pensare che fossero dei lamenti, magari causati da delle ferite subite durante la loro fuga e l'attacco degli Orchi, ma quando fu davanti alla finestra socchiusa comprese di essere andata totalmente fuori strada.
    Certo, delle bende sui corpi dei due Nani confermavano la presenza di qualche ferita, ma i versi che aveva sentito non erano di certo causati dal dolore.
    Benché avesse già avuto modo di vedere degli amanti in atteggiamenti intimi, non riuscì a non trovarsi impreparata quando posò gli occhi su quei due corpi nudi e sudati, impegnati in un lussurioso amplesso. Le mancò quasi il respiro per lo stupore, e non poté neanche impedirsi di sentire la necessità di fare marcia indietro e tornare nel bosco.
    Cosa le era venuto in mente?, si chiese a disagio. Si stava comportando come una ‘ragazzina’, anche se quando era partita non le era sembrata così assurda e sconsiderata l’idea di incontrare ancora una volta quel giovane e strano Nano con il quale aveva stretto amicizia - un Nano ed un Elfo amici, era dai tempi antichi che non si sentiva parlare di una simile relazione e Tauriel non sapeva se si trattava di una cosa positiva o negativa.
    Doveva andarsene.
    Era la scelta giusta da fare, si disse. Ma soprattutto doveva fare finta di non aver visto niente - anzi: doveva proprio dimenticarlo!
    Eppure il suo corpo si rifiutò di muoversi, così come i suoi occhi rimasero incatenati sui due Nani che, ignari di tutto, continuavano a violentarle le orecchie con i loro gemiti.
    Riprese lentamente a respirare, stupendosi non poco quando si rese conto di avere il volto in fiamme - neanche fosse una ragazzina alla prima esperienza!
    Erano solo due Nani, maledizione!
    Scosse il capo riuscendo a distogliere lo sguardo, ma un nuovo gemito di Kìli - ora con il petto schiacciato sul materasso - la costrinse istintivamente a guardarli ancora.
    Sì, erano ‘solo due Nani’ che, per sua sfortuna, erano giovani ed attraenti anche perfino per i suoi gusti, ma che soprattutto la stavano mettendo in una posizione alquanto scomoda.
    Non era una spiona - tutte le volte che le era capitato di scorgere qualche suo compagno concedersi qualche momento di intimità aveva sempre avuto abbastanza tatto da girare alla larga -, ma era davvero complicato distogliere lo sguardo dai due fratelli.
    Soprattutto mentre un umido alone di saliva sotto la guancia di Kìli iniziò ad allargarsi ad ogni suo gemito, mentre le dita continuavano a stringersi spasmodiche sulle lenzuola.
    Sembrava cercare un appiglio. Era come se Fìli, con le sue forti spinte, lo stesse trascinando chissà dove.
    Non era solo un'unione fisica, si disse Tauriel stringendo la mano al petto come per arginare il violento battito del suo cuore. Era qualcosa di più profondo ed affascinante che le impediva di distogliere lo sguardo dal volto del Nano più giovane e dalla sua espressione carica di piacere e lussuria.
    Rabbrividì, stringendo con forza le gambe per trattenere un brivido che la scosse da capo a piedi, lasciandosi poi sfuggire una mezza imprecazione nella sua lingua - parole che, a detta di Legolas, non avrebbero mai dovuto abbandonare le labbra di una fanciulla: capitano delle guardie o meno.
    I gemiti di Kìli continuavano a rimbombarle nella testa e quando il maggiore, ansimando e mugugnando ad ogni spinta, afferrò l’altro per i capelli facendogli tirare indietro il capo - poteva vedere i muscoli fremere, il sangue pulsare sotto la pelle tesa ed il sudore scivolare lungo la curva del collo -, non riuscì a trattenere un verso.
    Fu quella sua improvvisa reazione a spingere Tauriel ad allontanarsi dalla finestra, premendo ancora la mano sul petto e l’altra sulla sua bocca terrorizzata dall’idea di essere stata scoperta.
    Il suo cuore batteva così forte che inizialmente non riuscì neanche a sentire più i gemiti dei due Nani all’interno della stanza, versi che per sua fortuna la raggiunsero qualche istante dopo lasciandole un vago senso di sollievo oltre che di vergogna.
    Doveva davvero andare via. Aveva rischiato anche troppo!, si disse con più convinzione, e aiutata dal fatto che fosse stata quasi scoperta - anche se a dirla tutta Fìli e Kìli avevano ben altro per la mente ed era impossibile che l’avessero sentita -, riuscì a saltare giù dalla finestra e ad allontanarsi velocemente dalla casa e da Esgaroth, rintanandosi nella famigliare sicurezza del suo bosco... promettendo a se stessa che la prossima volta ci avrebbe pensato ben più di due volte prima di andare a trovare il Nano.










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    Heirs of Durin



  2. .
    Titolo: Losing Faith in the Storm
    Capitolo: Capitolo 1
    Genere: Introspettivo
    Rating: Giallo
    Avvertimenti: (per il futuro) Slash, Sesso Descrittivo, Dub-Con
    Conteggio Parole: 3080
    Note: 1. Ho raccolto più informazioni possibili sul periodo e sulla pirateria pur di rendere la storia più verosimile possibile - lasciando ovviamente spazio anche al “fattore romanzo”, perché diciamocelo: per quanto affascinanti i pirati veri non sono Johnny Deep!
    2. Dedicata a Thomas, l’amore della mia vita che mi ha incoraggiata tantissimo durante la stesura di questa storia!
    3. Grazie a tutti coloro che hanno recensito/piacizzato/seguizzato/ecc ecc la storia<3 Per me è un vero piacere :3



    Il lento ondeggiare della nave aveva presto risvegliato un certo malore in Nicolas che, ancora bloccato contro il palo, era stato solo in grado di chiudere gli occhi e continuare a pregare sottovoce fino a venire colto da un leggero sonno accompagnato da non pochi incubi riguardanti il suo destino. Tetri auspici che contribuirono solamente a far aumentare l’ansia ed il terrore che già piegavano il suo animo.
    Fortunatamente dei rumori sul ponte di coperta - dei canti forse, ma non era riuscito a prestarvi troppa attenzione - riuscirono a strapparlo via da quegli oscuri presagi, conducendolo però verso una lunga ed opprimente attesa che lo costrinse a pensare con più coscienza alle sue azioni, convenendo di aver per davvero fatto la scelta giusta nel mentire.
    Se non avesse indossato quegli abiti - o peggio: se gli fosse sfuggito che lui non era affatto un prete -, avrebbe sicuramente subito la sorte dell’equipaggio della Saint Margaret. Morti o lasciati alla deriva in mare aperto, ma qualunque fosse stato il loro destino, Nicolas aveva pregato per le loro anime.
    Una piccola parte del suo animo era felice di non aver subito quella stessa sorte ma ovviamente non vedeva alcun onore nel dover mentire per salvarsi. Tuttavia quella situazione, che neanche a dirlo era del tutto nuova per lui, gli aveva dato modo di scoprire un insolito lato della sua personalità che, con il suo attaccamento alla vita, aveva risvegliato un forte senso di sopravvivenza.
    Avrebbe fatto di tutto pur di arrivare sano e salvo sulla terra ferma, e se ci fosse riuscito grazie a quella menzogna, non avrebbe mai smesso di ringraziare il Signore per avergli dato quell’opportunità né di chiedergli perdono per essersi finto uno dei suoi portavoce terreni.
    Attese quindi di scoprire il suo destino, domandandosi quanto tempo fosse passato al suo risveglio - e quanto dall’abbordaggio alla Saint Margaret -, sperando al tempo stesso che il giovane pirata che aveva conosciuto - Mike, se non ricordava male - avesse per davvero parlato al Capitano o a chi di dovere.
    Lo scoprì solo quando due uomini scesero le scale con dei passi pesanti che parvero quasi rieccheggiare nelle orecchie di Nicolas ormai abituate al silenzio. Portavano con loro delle candele e lui, assuefatto alla semi oscurità di quella prigione, si rese conto solo il quel momento che il sole - che era stato visibile fino a qualche ora prima da una piccola feritoia alle sue spalle - stava ormai per tramontare.
    Cercò inutilmente di mettersi dritto con la schiena per accogliere quelle visite, scrutando al tempo stesso i due pirati a lui sconosciuti. Benché fossero illuminati solamente da quelle candele, la loro corporatura era ben visibile e notò subito quanto fossero diversi l’uno dall’altro.
    Il primo, quello che attirò subito il suo sguardo, era alto e dalle spalle large. La barba incolta incorniciava un viso dall’espressione dura, non riusciva a cogliere i suoi occhi o altri dettagli del suo volto ma era quasi certo che avesse i capelli scuri. Al contrario l’altro era ben più basso del suo compagno, con una corporatura esile ma sicuramente forte - chiunque, tuttavia, sarebbe apparso ‘esile’ accanto a quell’altro pirata - ed un viso quasi pulito.
    Nicolas continuò a fissarli in attesa di una loro mossa. Era teso e preoccupato per quell’improvviso cambio di situazione - solo qualche attimo prima attendeva una risposta, mentre in quell’istante non era tanto certo di voler scoprire cosa gli sarebbe accaduto -, sussultando poi quando il pirata più basso staccò dalla sua cintura un mazzo di chiavi.
    « Me lo riporterete?», domandò aprendo la cella, appoggiandosi poi con le spalle ad un palo di legno, incrociando le braccia al petto.
    « Dipende dal Capitano, Jack», ribatté l’altro con un forte accento scozzese, avanzando con sicurezza verso Nicolas, il quale gli rivolse uno sguardo confuso.
    « S-salve...», li salutò incerto senza però ricevere una risposta, se non un vago senso di sollievo quando quel possente pirata lo slegò - istintivamente portò le mani davanti a sé, massaggiandosi i polsi per cercare di lenire quel dolore che neanche si era reso conto di provare fino a quel momento.
    « In piedi!», ordinò il pirata duramente, e quando notò che Nicolas esitava ad alzarsi - non era certo di riuscire a reggersi in piedi, né di avere il coraggio di sollevarsi -, lo afferrò con una mano sotto l’ascella, tirandolo su con forza, « Andiamo!»
    « D-dove... dove mi state p-portando?», domandò intimorito Nicolas, venendo trascinato verso le scale dal pirata che ancora stringeva quella gigantesca mano attorno al suo braccio. Non riuscì a trattenere un lamento per quella presa ferrea, rischiando anche di cadere quando l’uomo lo spinse sul primo gradino in legno borbottando un: « Dal Capitano». Quell’atteggiamento, rude ed incurante, costrinse il giovane uomo a cercare di mettersi piedi da solo, certo che quel tipo lo avrebbe trascinato, volente o nolente, sul ponte di coperta.
    « Alle volte penso che saresti un perfetto aguzzino, Will...», sospirò sognante l’altro, rimasto fermo ad osservarli.
    « Sta zitto, Jack», ribatté quello che sembrava chiamarsi Will, scortando Nicolas lungo le scale - gli bastava una sola mano posata in mezzo alla sua schiena per farlo muovere.
    Arrivato sul ponte di coperta Nicolas chiuse gli occhi colpito in viso da un’improvvisa folata di vento. Si schermì il viso con la mano, scostando poi i suoi capelli chiari dalla fronte per avere una miglior visuale.
    Riaprì gli occhi e non riuscì a trattenersi dal far scorrere lo sguardo attorno a sé. Curiosità e voglia di scoprire una possibile, anche se improbabile, via di fuga si mischiarono insieme costringendolo a fermarsi per qualche altro istante.
    Come aveva notato, il sole stava sparendo dietro un’immensa distesa d’acqua - della terra neanche una lontana sagoma - mentre tutti i pirati, uomini giovani ed altri un po' meno, erano ancora intenti a lavorare tra di loro come un unico braccio. Tutti sembravano conoscere il loro ruolo e lavoro, e lo facevano con efficienza senza intralciare quello degli altri.
    Era quasi affascinante quell’aspetto del tutto nuovo dei suoi ‘carcerieri’, ma la mano di Will premuta ancora sulla sua schiena costrinse Nicolas a riportare l’attenzione sul suo destino.
    Stava andando ad incontrare il Capitano - così aveva detto quel pirata -, ed era certo che quello avrebbe segnato nel bene o nel male la sua permanenza su quella nave.
    Ovviamente quella sua improvvisa apparizione non passò inosservata, ed attirò infatti più occhiate da parte dei pirati - la sua presenza forse era una novità visto che non facevano prigionieri -, e imbarazzato, oltre che spaventato da quell'inaspettata e indesiderata attenzione, si ritrovò ad abbassare lo sguardo.
    Non tentò neanche di cercare il viso del giovane che aveva conosciuto al suo risveglio - farlo significava incrociare gli occhi con quegli uomini e aveva il timore di mancare di rispetto a qualcuno -, provando invece a capire quale fosse la sua destinazione.
    La sua conoscenza delle navi si limitava solamente alla sua breve visita alla Saint Margaret, durante la quale il Comandante gli aveva mostrato il cassero ed il ponte di comando, così come la piccola cabina del cartografo sulla quale aveva avuto modo di scorgere la rotta che avrebbe intrapreso l’imbarcazione.
    Era stato un modo come un altro per rassicurarlo, ma sinceramente Nicolas non aveva capito granché di quelle linee e carte: erano state solamente in grado di fargli girare la testa. Ed insieme al timore e al malore per il lento ondeggiare della nave, aveva preferito invece rintanarsi sotto coperta nella piccola cabina che gli era stata riservata.
    Di conseguenza, mentre percorrevano il ponte verso la poppa, gli bastò riportare a galla quei ricordi per conoscere la meta.
    Passo dopo passo iniziò ad isolare la sua mente e ad ignorare il lavoro e gli sguardi dei pirati attorno a lui, concentrandosi invece sul retro della nave, sul quale si trovava un’ampia sovrastruttura caratterizzata da più piani. Quello al livello della coperta, un altro intermedio e quello scoperto sul quale si trovava il ponte di comando.
    Puntò proprio lì i suoi occhi, incrociando la figura di un uomo che stava bloccando il timone, forse per la notte, chiedendosi se fosse quello il Capitano della nave. Si trattava di un pirata alto e muscoloso, con barba e capelli scuri, i quali erano abbastanza lunghi per essere raccolti in una bassa coda. Tutto nel suo aspetto ispirava serietà ed incuteva in Nicolas anche un certo timore, tant’è che non poté non sentirsi ancor più piccolo - lo era già parecchio vicino a Will, ma in quell’altro uomo avvertiva anche una notevole autorità.
    Istintivamente, guidato dall’idea che fosse quello il Capitano, iniziò a salire le scale che lo avrebbero portato sul ponte di comando, ma la mano dell’altro pirata lo costrinse a sostare sul ‘piano intermedio’.
    « Entra», ordinò secco l'uomo, aprendo la porta e spingendolo all’interno di un altro locale della nave.
    Nervoso per quell’improvviso cambiamento, Nicolas ci mise qualche istante prima di poter scrutare la cabina nella quale si trovava - osservare lo aiutava ad ambientarsi, cosa che gli serviva per mantenere la calma soprattutto in quei momenti così delicati.
    Viste le condizioni delle prigioni, si aspettava un certo degrado in tutta la nave, ma quel nuovo ambiente era stranamente ordinato e pulito. Infatti quella cabina, illuminata dalla fioca luce di alcuni candelabri, apparve a Nicolas abbastanza ricca oltre che accogliente - sulla sinistra si poteva intravedere un’amaca, mentre sulla parte opposta si trovava un tavolo sgombro e pulito, circondato da qualche sedia.
    Solo dopo quel veloce studio dell'ambiente che lo circondava Nicolas ebbe la certezza di trovarsi nella cabina del Capitano, fattore confermato poco dopo dalla presenza di un altro uomo sul fondo di quella stanza.
    Il semplice posare lo sguardo su quel pirata, seduto dietro una scrivania ricolma di carte nautiche e forse ancorata al pavimento in legno, causò a Nicolas un leggero attacco di panico che lo spinse alla ricerca di qualche dettaglio che lo aiutasse ad ambientarsi.
    Era faccia a faccia con il suo destino e aveva paura. Non si era mai sentito così impotente e terrorizzato da qualcosa.
    Anzi, forse sì, quando da bambino dopo la morte dei suoi genitori era a sua volta spaventato dall'idea di perdere la vita. Cercò di appellarsi alle parole che Padre Michael aveva usato per aiutarlo a superare la sua paura - « Mio piccolo Nico, non temere la morte. Non è niente di così terribile. È semplicemente l'inizio di una nuova vita accanto al nostro Signore. Lo capisci, figliolo?» -, ma non riusciva a rilassarsi.
    Non voleva morire. Era... era troppo presto.
    Posò quindi lo sguardo sulla scrivania, dietro la quale era ben visibile un’ampia vetrata che rendeva quella posizione ovviamente strategica visto che permetteva di catturare, anche in quella tarda ora della sera, gli ultimi raggi del sole.
    Avrebbe volentieri continuato ad osservare la formazione di quella cabina, ma si trovò costretto ad interrompere ogni sua considerazione quando il pirata che lo accompagnava aprì bocca.
    « Sam», esordì infatti Will, attirando su di sé lo sguardo dell’uomo, « ti ho portato il prete».
    Agitato e ancor più nervoso, Nicolas strinse forte i pugni nel tentativo di controllarsi, compiendo poi dei brevi passi verso la scrivania sempre guidato dalla mano dell'enorme pirata. Solo in quell'istante osò spostare lo sguardo sul Capitano, scoprendo un viso serio ma quasi amichevole, con la barba scura ed incolta ed i capelli lunghi almeno alle spalle.
    Sembrava un uomo tranquillo e forse anche buono visto che era per merito suo e della sua fede se era ancora vivo, ma ovviamente Nicolas era abbastanza restio a fidarsi di quei pirati solo per il loro aspetto e per qualche gesto caritatevole.
    " Sono assassini", si ripeté mentalmente.
    « Grazie Will», lo ringraziò il Capitano, rivolgendosi poi verso Nicolas, alzandosi come per poterlo salutare. « Padre, vi porgo i miei saluti e le mie scuse per avervi rilegato in una delle nostre celle».
    Nicolas non rispose, incerto su cosa dire per non mancare di rispetto all'uomo e per continuare con la sua farsa.
    « Lasciate che mi presenti», continuò il Capitano, aggirando la scrivania per poter continuare ad interagire con Nicolas senza ostacoli, « mi chiamo Samuel Collins, e sono il Capitano di questa nave, la Neptune».
    « Io... io mi c-chiamo Nicolas, signore», rispose esitante.
    Quell'uomo, Samuel Collins, appariva davanti ai suoi occhi come una persona educata e distinta. Ispirava fiducia e carisma, ed anche se Nicolas ignorava le gerarchie navali - specialmente tra i pirati -, non era difficile comprendere il perché fosse a comando di quella nave.
    Ovviamente era sempre ben deciso a mantenere un atteggiamento riservato e controllato, sperando che la paura non gli facesse fare dei passi falsi.
    « Sam», la voce di Will, l'altro pirata, fece quasi sussultare Nicolas.
    I due uomini si scambiarono una breve occhiata, forse un saluto, poi quello che lo aveva scortato fin lì abbandonò in silenzio la cabina.
    « Quello era il mio braccio destro», spiegò Samuel, notando lo sguardo del suo ‘ospite’, « William Darrow. Sono quasi certo che non si sia presentato».
    Nicolas annuì timidamente con il capo, cercando le parole più adatte per ringraziare l'uomo e magari scoprire quale sarebbe stato il suo destino.
    « Comprendo il vostro timore, Padre», riprese il Capitano qualche momento dopo, notando la tensione quasi palpabile dell’altro, « ma non dovete temere: in questa nave nessuno è intenzionato a farvi del male. Ve lo assicuro, quanto è vero che mi chiamo Samuel Collins».
    Ovviamente Nicolas provò un vago senso di sollievo davanti a quella dichiarazione, che tuttavia non fu in grado di calmarlo del tutto - sapeva che quell'uomo ed il suo equipaggio lo avrebbero risparmiato solo ed esclusivamente per il fatto che era apparso come un uomo di chiesa.
    « V-vi ringrazio...», tentò di rispondere più educatamente possibile, « L-la vostra... g-gentilezza n-non verrà ignorata dal n-nostro Signore».
    « Lo spero», ribatté l'altro indicandogli poi il tavolo sulla destra, « desiderate farmi compagnia per la cena?»
    « I-io...»
    « Non siate timido. Scommetto che siete affamato», riprese Samuel, avvicinandosi ulteriormente a Nicolas, che non riuscì a trattenersi dal fare un passo indietro per puro timore.
    « N-non credo di p-poter...»
    Il pirata non si sbagliava, non mangiava dalla sua partenza, tuttavia aveva ancora lo stomaco sottosopra e soprattutto chiuso per la paura. Non era certo che sarebbe riuscito a consumare il pasto, ma rifiutare sarebbe stato oltremodo ingrato oltre che maleducato.
    Samuel però insistette, posando la mano sulla sua spalla come per accompagnarlo al tavolo.
    Da quella posizione, nonostante la tensione, Nicolas non poté non posare lo sguardo sul petto dell’uomo visibile attraverso la camicia semi aperta.
    Su di esso giaceva una piccola croce, l’unico segno ben visibile della sua fede verso il Signore perché nient’altro nella sua persona lo avrebbe portato a pensare che quell’uomo fosse un credente.
    Tuttavia, ci fu qualcos’altro che attirò il suo sguardo, e quel qualcosa era una cicatrice che brillava alla luce delle candele e che sembrava percorrere tutto il collo del capitano.
    La osservò curioso e quasi senza fiato, senza riuscire a trattenersi dall’interrogarsi sul come e sul perché se la fosse procurata, poi nel rendersi conto di essere stato forse un po' troppo invadente con il suo sguardo, abbassò gli occhi accettando in silenzio di sedersi allo stesso tavolo del Capitano.
    « Cosa ha portato un così giovane prete in mare aperto?», domandò Samuel prendendo posto a capotavola.
    « E-ecco io...»
    « Siete forse un missionario?», riprese il pirata, come per voler aiutare Nicolas a parlare - il suo disagio doveva essere così palese che quello sembrava l’unico modo per estorcergli qualche parola di bocca.
    « S-sì...», rispose il giovane uomo, « I-in realtà ho... p-preso il posto d-del mio mentore. Lu-lui doveva f-fare questo viaggio ma... ci s-sono stati degli i-imprevisti...»
    Era una menzogna, una storia talmente campata per aria che Nicolas ebbe la certezza che da lì a qualche secondo si sarebbe ritrovato di nuovo rinchiuso nella prigione della nave - se non peggio.
    Fortunatamente però, il Signore sembrava non voler ancora reclamare la sua presenza accanto a sé, infatti il pirata, piegando il capo in un: « Comprendo», parve voler far cadere lì ogni motivazione riguardante il suo viaggio. Era come se gli bastasse quanto aveva appena sentito, e Nicolas non poté non sentirsi vagamente più sollevato.
    « Intendo ancora scusarmi per avervi fatto imprigionare. Ma era una misura di sicurezza, sia per voi che per l’equilibro dell’equipaggio», continuò Samuel - anche se sembrava aver rinunciato al precedente argomento, era ugualmente interessato a mantenere un certo dialogo con Nicolas, « quando sono stato informato del vostro risveglio avrei voluto subito mandare i miei uomini a liberarvi, ma sono stato terribilmente occupato in queste ore. Spero che non sia stato troppo traumatico per voi.»
    « L-lo è stato m-ma... p-posso comprendere le vostre... r-ragioni», assentì Nicolas, cercando ancora di apparire il più educato e calmo possibile.
    Era sempre più chiaro che il pirata stesse cercando di metterlo a suo agio, ma era altrettanto palese che il giovane uomo non si sentisse assolutamente in grado di abbassare le sue difese.
    « Vi assicuro che non tornerete in prigione», aggiunse il Capitano, « dormirete insieme ai miei uomini fino all’arrivo sulla terra ferma».
    Quella notizia fece improvvisamente rizzare la schiena di Nicolas.
    “ Ho sentito bene?”, si chiese, fissando per la prima volta il pirata negli occhi.
    « C-come?», esalò.
    « Come vi ho già detto», spiegò Samuel, « in questa nave nessuno è intenzionato a farvi del male. Chiunque oserà mancarvi di rispetto o agire in modo sconsiderato nei vostri confronti, verrà severamente punito».
    Nicolas deglutì. Non gli importava dove avrebbe dormito o con chi. Voleva solo ottenere una singola risposta e per averla si ritrovò costretto a raccogliere tutto il coraggio che possedeva, pregando Dio nella speranza di ricevere una risposta affermativa.
    « M-mi lascerete... andare v-via?»
    « Certamente, Padre Nicolas».
    Non vi era alcuna esitazione in quell’affermazione, né segni visibili di menzogna. Non aveva ancora la sicurezza che quel pirata stesse dicendo la verità, ma era quello che Nicolas voleva sentirsi dire.
    Aveva davvero l’opportunità di vedere la fine di quell’incubo. Doveva solamente continuare con quella sceneggiata per il resto del viaggio e, una volta sulla terraferma, sarebbe stato di nuovo libero di tornare a Penarth... e una volta lì, non avrebbe mai più lasciato per niente al mondo la sua amata città. Gli bastava quella certezza per fidarsi ed abbassare in parte le sue difese.
    Strinse con forza i pugni attorno alle sue vesti, afferrando poi il rosario che gli aveva donato Padre Michael per infondersi ancor più coraggio - ne aveva bisogno come mai prima d’ora.
    « I-io vi... ringrazio...», mormorò abbassando il capo, faticando a trattenere la commozione ed il sollievo per quella lieta notizia, « Non so davvero come s-sdebitarmi...»
    Il pirata sorrise davanti al tono leggermente più rilassato del suo ospite e, posando i gomiti sul tavolo, si sporse verso di lui.
    « Forse, Padre, un modo ci sarebbe».




    Edited by p r i n c e s s KURENAI ~ - 20/6/2013, 15:19
  3. .
    Titolo: Broken
    Fandom: Hannibal
    Personaggi: Will Graham, Hannibal Lecter
    Genere: Introspettivo
    Rating: Giallo
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, What if? (E se…), Centric!Will
    Conteggio Parole: 530
    Note: 1. Scritta random alle due di notte. Nessuna pretesa<3
    2. Dedicata all’amore della mia vita! Ti amo!
    3. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD




    Immobile, come se non avessi la forza di muovermi, osservai il caminetto in silenzio.
    Il muro, sventrato dalla mia follia, mi ricordava me stesso.
    Rotto. Spezzato. Rovinato dalla mia mano.
    Lo squarcio nero nel muro continuò a catalizzare le mie attenzioni, anche quando avvertii l'ormai familiare rumore degli zoccoli del cervo.
    Non mi voltai. Mi limitai invece ad ascoltare il suo passo lento alle mie spalle, il battito del suo cuore... l'odore del sangue che imbrattava le sue corna.
    Trattenni il fiato quando sentii la sua presenza alle mie spalle.
    Sentivo il suo odore ed il respiro carezzarmi la pelle con un'inquietante e lenta regolarità. Tremai forse troppo visibilmente, senza tuttavia esserne impaurito.
    Non mi spaventava, anzi: in quell'istante provavo quasi un rassicurante senso di adeguatezza, perché lui era come me.
    " Will.", quella voce mi costrinse a riaprire gli occhi, voltandomi di scatto come per assicurarmi di aver sentito bene.
    " Hannibal...", quasi non riconobbi la mia voce. Era secca, mi rischiava la gola, ma soprattutto era stupita per la presenza del Dottor Lecter... per la sua eccessiva vicinanza.
    " Cosa vedi, Will?", mi chiese Hannibal d'un tratto, facendo un passo verso di me.
    Il suo respiro mi carezzò ancora, sapeva di sangue.
    Chiusi ancora gli occhi, incapace di muovermi o anche solo di rispondere.
    Era un sogno o la realtà?
    Non sapevo neanche io cosa stavo osservando e se i miei occhi erano ancora in grado di distinguere l'illusione dalla verità.
    " Non lo so.", mormorai piano, trasalendo poi quando le mani fredde di Hannibal carezzarono il mio viso.
    Era vicino. Così vicino che potevo sentire il suo odore di morte su di me.
    " Cosa senti, Will?", mi chiese ancora.
    " Morte. Sento... la morte."
    Riaprii gli occhi, osservando un sorriso piegare le labbra del Dottor Lecter ed un lampo di eccitazione attraversare le sue iridi scure.
    " Allora... sta fermo.", sussurrò sulle mie labbra, carezzandole quasi distrattamente ad ogni parola. " Sto cercando di ucciderti."
    Quel leggero tocco si tramutò presto in un bacio più vorace ed energico. In una parola: affamato.
    Sentii la terra mancarmi sotto i piedi ed un senso di vertigine mi strinse lo stomaco di una ferrea morsa.
    Precipitavo nell'oscurità, e l'unica ancora che potevo afferrare per evitare di cadere era Hannibal Lecter.
    Strinsi le mani sulle sue spalle, chiudendo gli occhi e lasciando che le sue labbra continuassero a divorarmi, iniziando a privarmi di ogni pensiero e angoscia.
    Tutto scivolava via. L'inadeguatezza. Le paure. Il senso di colpa.
    Ogni singola cosa sembrava sparire nello squarcio che si era aperto sotto i miei piedi.
    Lasciati uccidere, aveva detto Hannibal. Mi sarei lasciato uccidere da lui?
    Cercai di afferrare una risposta, di dare un senso a quelle sensazioni, ma tutto svanii quando i suoi denti affilati affondarono sulle mie labbra strappandomi un lamento.
    Il pulsante dolore e il sapore del sangue mi costrinsero istintivamente a tirare indietro il capo e a riaprire gli occhi alla ricerca di una spiegazione nelle sue scure iridi.
    Tuttavia, tutto quello che riuscii a vedere dinnanzi a me fu lo squarcio nel muro del caminetto, mentre l'innaturale silenzio della solitudine della mia casa veniva sostituito dai guaiti preoccupati dei miei randagi.
    Sogno o realtà?, mi chiesi ancora senza però ottenere alcuna risposta, se non il ferroso sapore del sangue che scivolava sul mio mento da una ferita sulle labbra.




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  4. .
    Cosettine su Desperate Romantics

  5. .
    Lavori vari sullo Hobbit e i suoi pesonaggi .w.

  6. .
    Cose varie su Aidan e Dean *O*

  7. .
    Ecco i vari lavori sul fandom di Mortal Instruments (Shadowhunters).


    Lukentine | Lucian Graymark (Luke Garroway) x Valentine Morgenstern



    Lucelyn | Lucian Graymark (Luke Garroway) x Jocelyn Fairchild (Jocelyn Fray)



    Magnus Bane

  8. .
    Titolo: Losing Faith in the Storm
    Capitolo: Prologo
    Genere: Introspettivo
    Rating: Giallo
    Avvertimenti: (per il futuro) Slash, Sesso Descrittivo, Dub-Con
    Conteggio Parole: 1500
    Note: 1. Ho raccolto più informazioni possibili sul periodo e sulla pirateria pur di rendere la storia più verosimile possibile - lasciando ovviamente spazio anche al “fattore romanzo”, perché diciamocelo: per quanto affascinanti i pirati veri non sono Johnny Deep!
    2. Dedicata a Thomas, l’amore della mia vita che mi ha incoraggiata tantissimo durante la stesura di questa storia!




    Nicolas Linwood ricordava ben poco del suo breve viaggio sulla nave mercantile Saint Margaret, se non il malore - causato dalla sua scarsa esperienza in mare - che sin dall’inizio lo aveva costretto nella cabina che gli era stata riservata.
    In vita sua, se proprio doveva essere sincero, non aveva mai espresso il desiderio di affrontare una traversata in mare aperto, né aveva mai sentito la necessità di salpare verso il Nuovo Mondo alla ricerca dell'avventura. La sua cara e vecchia Penarth, la piccola Chiesa ed il convento nel quale viveva sin da bambino, erano quanto di meglio avesse mai desiderato in vita sua.
    Infatti, Nicolas era rimasto orfano sia di padre che di madre in giovanissima età, e non avrebbe mai avuto un futuro senza l’aiuto di Padre Michael, che lo aveva accolto all’interno del convento.
    Grazie al buon cuore di quell’uomo, aveva avuto l’opportunità di raggiungere quasi la trentina d’anni, durante i quali aveva lavorato come garzone all’interno di quelle sacre mura poi, crescendo sempre in quell’ambiente, gli era stata addirittura data la possibilità di studiare quando aveva espresso il desiderio di prendere i voti secondo la Chiesa cattolica.
    Voleva semplicemente continuare la sua esistenza con semplicità, senza avventure e sotto la guida del Signore. Nient’altro, anche perché a dirla tutta non aveva nessunissima capacità particolare né aveva mai vagliato altre prospettive di vita. Era cresciuto in quel luogo e lì desiderava restare... ma Padre Michael non era mai stato del suo stesso avviso.
    Il suo ‘mentore’ era un uomo buono e comprensivo che, tuttavia, aveva sempre mostrato un certo rifiuto davanti alla sua scelta di prendere i voti, rimandando ogni singola volta l’inizio del suo vero e proprio cammino tra gli uomini del Signore. Non ne era contrario - su quello era sempre stato chiaro -, voleva semplicemente il meglio per il suo ‘figliolo’ - lo chiamava in quel modo affettuoso da sempre.
    « Come puoi desiderare una certa vita, se non ne hai mai vissuta un’altra?», gli aveva detto una volta per motivare il suo rifiuto, ed era sfortunatamente la verità.
    Perché per tutti quegli anni l’esistenza di Nicolas si era sempre e solo basata attorno alle salde mura del convento, e secondo Padre Michael lui doveva vivere la tentazione carnale, vedere il Nuovo Mondo, e tornare indietro con la stessa sicurezza e purezza con la quale era partito.
    Erano state quelle esatte parole, insieme alla stima e all’affetto che provava per quell’uomo, ad indurlo ad accettare quella bizzarra proposta - soprattutto quando Padre Michael aggiunse che si trattava di una prova per la sua fede.
    Gli aveva quindi preparato una sacca con pochi indumenti, donato un rosario e lo aveva spedito su una nave mercantile senza troppi complimenti... e come risultato si era risvegliato legato ad un palo, dentro una prigione di legno che puzzava di birra e legna bagnata.
    Avrebbe dovuto chiedersi che fine avesse fatto l'equipaggio della Saint Margaret, ed anche come fosse finito lì imprigionato - era nella sua cabina quando si era addormentato in preda alla nausea -, ma la crescente paura iniziò ben presto ad impedirgli di ragionare lucidamente, inducendolo a tentare solamente di liberarsi - ovviamente senza alcun risultato.
    Rimpiangeva più che mai la sua Penarth, ed iniziò a carezzare con terrore l'idea che non l'avrebbe mai più rivista.
    Represse a fatica un singhiozzo, inclinando il capo in avanti come se volesse nascondersi, ma le lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso senza neanche darli la possibilità di fermarle.
    « Ehi! Ti sei svegliato finalmente!», una voce profonda ma allegra lo fece sussultare.
    Rialzò il viso di scatto, e socchiudendo gli occhi velati dalle lacrime, riuscì ad incrociare una figura a lui sconosciuta, quella di un giovane uomo dai capelli castani, raccolti sotto una sporca bandana grigia.
    Lo guardò confuso, scrutandone il viso alla ricerca di qualcosa di familiare, ma i ricordi che affiorarono nella sua mente non avevano niente a che fare con gli occhi chiari e la mascella leggermente squadrata del giovane.
    Riguardavano il destino della Saint Margaret. Ricordava di essere stato risvegliato da un forte trambusto, e tra i concitati commenti dell’equipaggio aveva sentito che erano stati affiancati e attaccati da una nave che portava con sé un nero vessillo.
    Non sapeva esattamente che fare - le sue gambe faticavano addirittura a reggerlo in piedi a causa del suo malore -, ed alla fine era solamente riuscito a perdere i sensi e a risvegliarsi in quella cella.
    « Sei un tipo fortunato, amico mio», continuò il ragazzo, appoggiandosi alle sbarre della prigione per osservarlo come se fosse un animale alquanto raro, « Il Capitano è un tipo superstizioso, non ucciderebbe mai sulla sua nave un uomo di chiesa».
    « Io non…», aprì bocca ancor prima di riuscire a collegare la lingua al cervello - non era ancora un vero e proprio ‘uomo di chiesa’ -, ma il pirata continuò a parlare interrompendolo.
    « Avresti fatto una bruttissima fine, credi a me», commentò sincero, grattandosi il collo.
    Nicolas sentì improvvisamente la bocca secca davanti a quell’affermazione che lo portò ad interrogarsi ancora riguardo la sorte dei marinai della Saint Margaret.
    « La fine... dell'equipaggio?», esalò qualche attimo dopo con tono incerto.
    « Sai come funziona!», il giovane scrollò le spalle con noncuranza, assumendo poi un'espressione basita davanti allo sguardo confuso e spaventato che Nicolas gli rivolse, « Non lo sai, vero?».
    Scosse il capo in risposta, anche se non era ben certo di volerlo realmente scoprire - era la fine che avrebbe potuto fare lui stesso se si fosse scoperto che non era ancora un prete.
    « Prega per le loro anime!», tagliò corto l’altro, come se volesse risparmiargli chissà quale crudeltà, « Ci si vede più tardi per la cena, fratello!», e con quelle parole il giovane pirata si arrampicò su una scala.
    Nicolas ci mise qualche istante prima di riprendersi dallo stupore, e quando vide il pirata allontanarsi cercò di richiamarlo a sé.
    « R-ragazzo! Per l’amor di Dio! N-non lasciami solo!», lo pregò preoccupato, cercando di strattonare le funi che lo tenevano bloccato al palo, « P-potrei sapere il tuo nome?», chiese cercando di mantenere almeno un po’ di dialogo.
    Era terrorizzato e l’idea di restare solo, legato dentro quella cella, lo spaventava ulteriormente.
    “ Come si comportano i pirati?”, si chiese, “ Che cosa posso chiedergli per non farlo andare via?”.
    Quel giovane sembrava innocuo e buono, ma il Diavolo era noto per assumere degli aspetti volutamente innocenti ed ingannevoli, e Nicolas aveva sentito delle voci alquanto spiacevoli riguardanti la fama dei pirati.
    Predoni del mare, crudeli fuorilegge che lasciavano al loro passaggio solo una striscia di sangue. Non facevano prigionieri se non per il proprio tornaconto, e se era vivo lo doveva solamente al rosario che Padre Michael gli aveva donato e al suo abbigliamento - per il viaggio si era vestito come un novizio, una sorta di monito per ricordargli la sua scelta anche nei momenti più difficili.
    Cercò quindi di appellarsi al buon senso e alla necessità di sopravvivere - voleva tornare nel suo piccolo convento, non voleva nient’altro!
    « Mike», rispose il giovane, sedendosi sulla scala, « tu?».
    « N-Nicolas...», si presentò a sua volta, cercando poi un argomento di dialogo, « Non... tutti qui s-seguono la strada del Signore, vero?».
    « Dio non ha motivo di essere qui», ridacchiò il pirata.
    « Mike... Dio si trova in ogni luogo se c’è fede...».
    « Per questo motivo il Capitano ti ha lasciato in vita», ribatté furbo Mike.
    « Lo... v-vorrei ringraziare per la sua... b-benevolenza... n-non potresti li-liberarmi?», domandò Nicolas, sperando di non aver fatto il passo più lungo della gamba.
    Il pirata non rispose, grattandosi ancora il collo - non sembrava a suo agio.
    « A-almeno le f-funi... sono proprio necessarie? Non posso scappare... e...», continuò, cercando di insistere e di convincere Mike.
    « Non posso», rispose il giovane qualche momento dopo, sforzando un mezzo sorriso, « ma chiederò al Capitano o a Jack. Lo prometto, Padre Nicolas», aggiunse subito come per rassicurarlo e, agitando la mano, sparì sulla scala lasciandolo solo.
    Nicolas emise un sospiro, spezzato da un piccolo singhiozzo, evitando di controbattere quando si sentì chiamare ‘Padre’. Era abituato ad essere sincero, ma se voleva sperare di arrivare alla fine di quel viaggio, doveva mentire! Nonostante fosse un comportamento poco nobile.
    Giunto a quel punto, non poteva non rimpiangere il malore che lo aveva colto all’inizio del viaggio nella Saint Margaret. Tutte le sue incertezze sembravano ormai solo un lontano ricordo, così come la sua adorata Penarth ed il piccolo convento.
    Tuttavia, rinchiuso in quella cella, non poteva fare niente per cambiare il suo destino.
    Però poteva pregare e sperare che Dio lo assistesse anche in quel viaggio che gli avrebbe fatto scoprire, suo malgrado, un nuovo mondo, proprio come aveva desiderato Padre Michael. Di certo il suo ‘mentore’ non si sarebbe mai aspettato che Nicolas finisse nelle mani dei pirati, ma in ogni azione c’era la mano del Signore e lui non poteva far altro che affidarsi ad essa.
    « Pater noster, qui es in cælis...», esordì piano, cercando di trattenere le lacrime e di trarre invece forza e coraggio da quella preghiera, « Sanctificétur Nomen Tuum; advéniat Regnum Tuum; fiat volúntas Tua, sicut in cælo, et in terra...».


  9. .
    Titolo: Lust's Sin
    Fandom: Desperate Romantics
    Personaggi: Dante Gabriel Rossetti, William Holman Hunt
    Genere: Introspettivo, Erotico, Malinconico
    Rating: Arancione
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, Sesso non Descrittivo, What if? (E se…), Dub-Con, Violenza
    Conteggio Parole: 1100
    Note: 1. Ed ecco finalmente la mia OTP *O* quanto sono belli =ç= mi dispiace solo essermi lasciata andare all’angst alla fine XD
    2. Dedicata all’amore della mia vita! Ti amo!
    3. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD




    " Non posso..."
    William ripeteva sommessamente quelle parole da ormai qualche minuto, più per convincere se stesso che il suo compagno.
    Non poteva lasciarsi andare in quel modo, cedere al piacere carnale come un qualsiasi peccatore.
    Perché c'era il ricordo della sua amata Annie ancora vivo e quello di Lizzie Siddal appena deceduta. C'era la sua fede che... che maledizione! Impediva gli atti di sodomia!
    Non poteva arrendersi! Non poteva continuare a voltare le spalle al Signore... eppure solo la sua voce era ancora in grado di rifiutare il corpo di Gabriel che si muoveva sul suo, costringendolo a reagire alle carezze e ai baci che riceveva.
    " Gabriel... n-non possiamo... Gesù Cristo ci... s-sta guardando..."
    Si aggrappò ancora alla sua fede, pregando che il suo compagno capisse, che se ne andasse... e che togliesse le sue maledette mani tentatrici da sopra il suo sesso!
    " E tu guarda me, Maniac.", ribatté prontamente Gabriel, con un sorriso malizioso che fece tremare le gambe di William.
    Imprecò.
    Pensava di essere stato punito abbastanza quando aveva perso la sua amata, ma si era sbagliato. Perché il Diavolo in persona era sceso sulla terra per punirlo per i suoi peccati di lussuria con la dolce Annie, usando come tramite il corpo di uno dei suoi migliori amici, Dante Gabriel Rossetti.
    Aveva sempre pensato che il suo buon amico ragionasse più con i pantaloni che con la testa, ma teneva a lui.
    Gabriel era strano e talvolta forse un gran bastardo, ma mai aveva osato pensarlo in una simile situazione, né di essere lui stesso uno degli oggetti di quell'atto peccaminoso.
    " G-Gabriel... non..."
    La scia di baci che gli stava percorrendo il petto si interruppe sui suoi pantaloni, costringendo a fremere internamente in attesa di qualcosa di più.
    " Perché?", osò domandare, deglutendo rumorosamente.
    " Voglio conoscere la tua rabbia, la forza. La passione di un uomo. Per puro interesse accademico, amico mio.", rispose Gabriel crudelmente sincero. " Presto ti arrenderai, ed entrambi avremo quello che desideriamo."
    " Io non... non lo desidero.", strinse i pugni, cercando di resistere a quell’ennesima tentazione ed alla crescente voglia di far sparire quel sorriso dalle labbra di Gabriel.
    Voleva lasciarsi per davvero andare a quell'atto carnale, farla finita una volta per tutte. Smettere di trattenersi e di mentire a se stesso... e così fece quando le labbra del suo compagno osarono superare la barriera dei suoi calzoni, tracciando con le labbra il profilo dell’erezione nascosta dalla stoffa dell'intimo.
    Gemette chiudendo gli occhi, tirando indietro il capo in un'espressione di malcelata goduria, e mentre con una mano andava ad afferrare i capelli di Gabriel, come per impedirgli di fuggire, con l'altra strattonava l'orlo dei suoi pantaloni e dell'intimo, che andarono ad arrotolarsi sulle ginocchia.
    Senza alcuna barriera, la bocca di Gabriel tornò sul suo membro, carezzandolo con le labbra e poi con la lingua, rubando a William nuovi gemiti e grugniti.
    Maledetto, maledetto tentatore!, lo insultò mentalmente, stringendo con più decisione la presa sul capo dell'altro.
    La bocca di Gabriel era calda e continuava a muoversi sul suo sesso come se non avesse mai fatto altro nella vita.
    Con quanti lo aveva fatto?, si domandò tra i gemiti. Chi prima di lui aveva posseduto quelle labbra?
    Un’insana gelosia annullò totalmente ogni rimorso, costringendolo ad allontanare il suo amico con rabbia e a spingerlo con la faccia contro il muro.
    “ Chi è stato Gabriel?”, ringhiò William direttamente nel suo orecchio. “ A chi ti sei già concesso in questo modo?”
    Gabriel parve irrigidirsi per quel suo repentino cambio d'umore, ma non si allontanò né tentò di fuggire.
    E quando rispose il suo tono era carico di malizia e soddisfazione. Come dargli torto? Era quello che desiderava e lo stava ottenendo.
    “ Geloso, Maniac?”, Gabriel si voltò leggermente verso di lui. “ Che svolta inaspettata...”, aggiunse.
    William tuttavia non osò rispondere - non era certo di sapere quale fosse la risposta -, limitandosi però a strattonare i pantaloni di Gabriel, fino a scoprirgli le natiche, e a spingerlo con più decisione contro la parete.
    Voleva quello?, si chiese ancora, facendo sentire la sua erezione sulle natiche dell'altro.
    " È questo quello che vuoi, Gabriel?", ringhiò, spingendo la punta contro la stretta apertura.
    " Ah... sì!", quel lussurioso gemito fece perdere ogni controllo a William.
    Gabriel non conosceva il pudore né aveva mai tentato di seguire la via del Signore.
    Il suo corpo, dolorosamente stretto attorno al suo sesso, aveva conosciuto solo vino e piacere. Era il corpo di un peccatore e lui lo stava possedendo con rabbia, sordo ai gemiti di dolore che stavano abbandonando le sue labbra socchiuse.
    Gli stava facendo del male? Gli stava chiedendo di fermarsi?
    Non lo sapeva, non lo sentiva proprio.
    Era quello che Gabriel aveva desiderato e lo stava ottenendo. Non c'era spazio per nessuno sconto o dolcezza durante quell'atto carnale che avrebbe portato entrambi all'inferno, solo i loro corpi uniti in quel peccato tanto piacevole quanto doloroso.
    Solo alla fine, quando il suo fisico venne scosso dall'apice del piacere, William osò cingere il corpo scosso dai brividi di Gabriel in un abbraccio.
    " Era questo quello che volevi?", sussurrò, lasciando finalmente libero il rimorso che andò ad attanagliargli il petto. " Volevi questo Gabriel?", ripeté con più decisione.
    Il giovane uomo non rispose inizialmente, limitandosi a tremare ancora per quel violento amplesso, al che William lo costrinse ancora a voltarsi per poterlo guardare in viso.
    Era pronto ad aggredirlo, ad insultarlo e forse a picchiarlo per avergli fatto commettere quel peccato.
    Ma non riuscì a fare niente, se non sorprendersi quando si rese conto che del Gabriel che conosceva non sembrava essere rimasto più niente, se non un fantasma vittima dei suoi errori che lo stavano lentamente divorando.
    " Sì.", rispose piano il giovane, cercando di allontanare le braccia dell'altro che ancora lo stringevano. " E... non era quello che cercavo.", aggiunse.
    " Cosa cercavi? Dimmelo Gabriel!", insistette ma quando incrociò i suoi occhi, William decise che non avrebbe più fatto altre domande.
    Conosceva quello sguardo. Era quello di chi aveva perso tutto, di chi voleva assolutamente provare qualcosa.
    Lui stesso aveva provato sulla sua pelle quelle sensazioni, e poteva comprenderlo fin troppo bene.
    Per quel motivo non fu in grado di lasciarlo andare. Gabriel aveva bisogno di lui, per quello era venuto a cercarlo... e l'aver ceduto così rapidamente al peccato, lo faceva sentire un vile.
    " Poteva andare tutto diversamente...", sussurrò, stringendolo con più sicurezza a sé. " Potevi risparmiarti tutto questo, Gabriel..."
    Poteva evitare la violenza, poteva... poteva accadere qualsiasi altra cosa se solo lo avesse compreso prima di perdere la ragione.
    " No. Non potevo.", rispose Gabriel, e davanti a quella rassegnazione William fece una promessa davanti a Gesù Cristo - che con il suo sguardo severo continuava a fissarlo e a giudicarlo.
    Non avrebbe più permesso a Gabriel di ridursi in quello stato. Era una promessa.






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    Outside a Saint, Inside a Devil



    Heirs of Durin



  10. .
    Titolo: Defeating the Reason
    Fandom: The Mortal Instruments (Shadowhunters)
    Personaggi: Hodge Starkweather, Valentine Morgenstern
    Genere: Introspettivo
    Rating: Giallo
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, What if? (E se…)
    Conteggio Parole: 535
    Note: 1. La mia OTP resta e rimane la Valentine/Luke, ma non si può negare che Valentine si sia fatto l’intero Circolo LOL e quindi... Hodge compreso ù_ù
    2. Dedicata al mio amore che adora Hodge ù_ù<3
    3. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD




    Hodge, pur non conoscendolo, sapeva di dover odiare Valentine.
    Non era stupido, anzi, era tra i ragazzi più intelligenti dell'accademia - aveva ottimi voti, e i suoi migliori amici erano i libri - per quel motivo sapeva di potersi fidare del suo buon senso quando storto gli diceva che avvicinarsi a Valentine Morgenstern non avrebbe portato a nulla di buono.
    C'era qualcosa in quel giovane che non andava - troppo perfetto, troppo bello, troppo di tutto -, un qualcosa di 'marcio' che Hodge non poteva ignorare.
    Per quel motivo sapeva di doverlo odiare - era una parola grande, ma il suo istinto diceva 'odio' e non 'evitare' o 'disprezzare'.
    Suo malgrado però, scoprì ben presto di non esserne in grado.
    In presenza di Valentine era difficile riuscire a togliergli gli occhi di dosso.
    Il suo carisma colpiva perfino gli insegnanti, e quando Hodge lo vedeva, il suo naso non era più seppellito tra le montagne di libri che tanto adorava.
    Lo seguiva e lo ammirava, forse pure con un po' di invidia perché Valentine era amato e rispettato, affascinante e carismatico, circondato da amici fedeli e gli bastava anche solo un gesto per ottenere quello che desiderava.
    Hodge ne era pienamente consapevole, eppure non riuscì a trattenersi dal cadere nella trappola del giovane rampollo dei Morgenstern.
    Lui non aveva nessuno se non i libri, e quando Valentine lo guardò per la prima volta comprese di aver sempre desiderato quegli occhi su di sé.
    Il suo inconscio gli diceva ancora di stare attento, di odiarlo - " Soffrirai a causa sua!", diceva una vocina -, ma quando Valentine si avvicinò, mostrando interesse per lui, tutto perse senso.
    Pendeva dalle sue labbra, lo adorava e si sarebbe lasciato manipolare senza batter ciglio.
    Sapeva di essere nel torto con quell'atteggiamento, ma per merito di Valentine, per prima volta non era circondato da dei libri, ma da delle persone reali.
    Tutti conoscevano il suo nome, lo salutavano ed erano gentili con lui.
    Hodge non si era mai sentito più felice in vita sua, ed anche se c'era ancora qualcosa che gli diceva di doverlo odiare, aveva ormai imparato a mettere a tacere quella voce.
    Non poteva odiare una persona come Valentine Morgenstern, neanche quando questo decise di oltrepassare il limite imposto dall'amicizia.
    Iniziò con delle carezze e con le parole: " Ti chiedo solo di fidarti di me, Hodge.", e si concesse a lui, lasciando i ripensamenti al futuro, quando la ragione avrebbe iniziato a battersi con il suo amore.
    Già. Amore.
    Era stato semplice passare dall'ammirazione ad un sentimento più grande e sicuramente non corrisposto. Perché non importava quanto Valentine fosse stato gentile - era stato perfetto -, come le sue carezze lo avessero fatto tremare ed i baci sospirare... Hodge sapeva di essere solo uno dei tanti. Un po' come Maryse o come Lucian.
    Tutti quelli che incrociavano Valentine cadevano vittime del suo fascino, e per quanto Hodge desiderasse dire che lui era diverso, che contava qualcosa in più per Morgenstern, sapeva che sarebbe stata una menzogna.
    Si era fatto usare in nome di un sentimento non ricambiato, ed era per quello che doveva odiarlo... anche se non ne sarebbe mai stato in grado.
    Perché da quando conosceva Valentine, la ragione era sempre stata sconfitta dai suoi sentimenti.
    Avrebbe sofferto in futuro? Sì, ma sapeva di meritarselo.







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    Outside a Saint, Inside a Devil



    Heirs of Durin



  11. .
    Titolo: Different kinds of Love
    Fandom: The Mortal Instruments (Shadowhunters)
    Personaggi: Magnus Bane, Lucian Greymark (Luke Garroway)
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, Blowjob, What if? (E se…)
    Conteggio Parole: 3050
    Note: 1. Sì, gridate all’eresia X°D ma io shippo pure questi dueXD Ambientata in Città di Cenere, la scena del furgone macho di Luke *muore*
    2. Dedicata all’amore mio che ruola questi due con me *O* ti amoooo!
    3. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD




    Magnus in vita sua aveva conosciuto tanti tipi di amore, ed alcuni li aveva addirittura provati sulla sua stessa pelle.
    Era sempre stato affascinato da quel sentimento così 'mortale', al punto da arrivare a cercare di scoprirne ogni sfaccettatura.
    Aveva ottocento anni - anno più anno meno -, ed il tempo non gli era mai mancato per le sue 'ricerche', nelle quali aveva visto tanti amanti battersi e perdere la vita in nome di quei sentimenti, molti si erano invece amati in segreto, mentre altri avevano fatto sfoggio pubblicamente del proprio legame.
    Aveva visto anche quelli che si erano separati alla prima difficoltà ed altrettanti erano rimasti insieme fino alla fine dei loro giorni.. mentre altri si erano limitati ad osservarsi da lontano, ignari dei propri sentimenti.
    Tante storie, diverse eppure così simili che lo affascinavano ogni singola volta, come se fosse non ne avesse mai sentito parlate, e che di tanto in tanto lo portavano a domandarsi: come sarebbe stato vivere un'esistenza mortale?
    Si sarebbe innamorato in modo diverso?
    Avrebbe smesso di pensare al fatto che mentre lui avrebbe mantenuto sempre lo stesso aspetto, la morte avrebbe accolto le persone che amava?
    Non aveva una vera e propria risposta, ma un tempo si era innamorato e lo aveva fatto in un modo così puro e forte da soffrire quando era stato costretto a seppellire il suo amore... e suo malgrado, sapeva che sarebbe accaduto tante altre volte.
    L'amore era tanto affascinante quanto pericoloso, e Magnus non poteva fare a meno di cadere vittima di quella magia addirittura più forte delle sue. Lui che era il Sommo Stregone di Brooklyn.
    Perché esattamente come era stato innamorato in passato, lo sarebbe stato anche in futuro con la stessa intensità... o forse stava già accadendo, si disse, tentando poi di scacciare il ricordo di due magnetici occhi azzurri.
    Allontanò testardo quei pensieri incrociando elegantemente le braccia al petto, concentrandosi invece sull'amore di qualcun'altro.
    Aveva già visto simili manifestazioni di quell'affetto, ma Lucian Graymark era un esemplare... unico.
    Lo conosceva da anni e sin dall'inizio aveva intuito il suo sincero e silenzioso amore per Jocelyn. La amava sin da quando erano ragazzi e aveva continuato ad amarla ancora e ancora, superando ogni difficoltà e delusione.
    Eppure non era quello ad averlo affascinato, ma bensì i sentimenti che Lucian - o meglio Luke - provava anche per Valentine. Suo vecchio amico, ora nemico, nonché ex marito di Jocelyn.
    Era strana la vita, ma il cuore di quel licantropo era come spezzato. Da una parte ciò che provava per quella donna che aveva sempre amato, e dall'altra i sentimenti contrastanti che lo legavano invece all'uomo che prima gli aveva dato tutto e che poi lo aveva buttato nell'abisso.
    Magnus non si chiedeva come Luke potesse amare Valentine - aveva visto persone buone amarne altre cattive -, ma era curioso e, suo malgrado, aveva anche bisogno di una distrazione da un certo Lightwood.
    Accennò un breve sospiro, osservando il volto dell’uomo contratto da una leggera smorfia mentre apriva il furgone.
    " Sicuro che il braccio stia bene?", domandò, attirando su di sé l'attenzione del licantropo.
    " Benissimo, è come nuovo. Devo ringraziarti ancora?", scherzò Luke, voltandosi verso lo stregone.
    " Il mio splendido ego non ne ha mai abbastanza.", ribatté Magnus piegando le labbra in un sorrisetto, aggiungendo poi un: " Lo ami ancora?", senza troppi giri di parole, osservando le varie emozioni attraversare il viso dell'altro.
    " C-cosa? Io non...", Luke non riuscì a nascondere lo stupore e per quella domanda e, anche se non riuscì a dire niente di pensato, per Magnus era e sarebbe rimasto fin troppo palese.
    " Valentine.", lasciò che quel nome scivolasse fuori dalle sue labbra con naturalezza ed allora anche Luke, dandogli le spalle, rispose con sincerità.
    " Sì."
    Valentine che lo aveva fatto diventare un Nascosto. Che aveva sposato e quasi ucciso la donna che lui aveva sempre amato e che aveva addirittura tentato di uccidere lo stesso Luke.
    Valentine era uno degli uomini più crudeli - e folli - che Magnus avesse mai conosciuto che, tuttavia, aveva una fortuna che a tanti era negata: l'amore incondizionato di Lucian.
    Non un amore folle come quello di qualcuno che venerava un Dio.
    Non un qualcosa di puro e dolce come nelle storie che tanto andavano di moda qualche centinaio di anni prima.
    Era un qualcosa di più forte che alla semplice domanda: " Lo ami ancora?", l'unica risposta possibile era un unico "sì".
    " Non ti fanno molto spesso questa domanda, vero?", constatò lo stregone, avvicinandosi con dei passi lenti.
    " Non dovrebbero neanche saperlo."
    " Ti vergogni?"
    " No.", rispose con sicurezza Luke. " Ma è complicato."
    " Mi piacciono le cose complicate~"
    L'uomo riuscì a sbuffare una risata roca e quando si voltò, forse per controbattere, rimase immobile quando si rese conto dell'eccessiva vicinanza di Magnus.
    " In questo momento, sei tu che le complichi...", rispose.
    " Mi incuriosisce la tua fedeltà.", ammise Magnus, fissandolo con gli occhi socchiusi. " È perché sei un licantropo? O è tipico della tua persona? Oltre lui, hai mai avuto qualcun'altro?"
    Quelle domande - inopportune e intime - fecero colorare il viso di Luke che, sulla difensiva, rispose con un tanto gentile quanto imbarazzato: " Credo di non poter né voler rispondere."
    " Non lo sai. Forse sì. Decisamente sì.", sorrise lo stregone.
    " Cosa?"
    " Le risposte che non mi hai dato."
    Osservò l'uomo tentare di trattenere ogni emozione - negativa o positiva che fosse -, ma i suoi occhi non riuscivano a nascondere l'imbarazzo e un fondo di verità in quello che aveva detto.
    Per questo Magnus anticipò ogni tentativo di difesa da parte dell'altro, riprendendo a parlare con tono diverto e forse anche comprensivo.
    " Nessuna vergogna. Ne ho conosciuti tanti come te, lupacchiotto."
    " Per l'Angelo, Magnus.", sospirò Luke, passandosi una mano sul viso. " Non mi sembra il caso di fare certi discorsi, e non darmi neanche simili nomignoli: sono imbarazzanti per un uomo adulto."
    " A certi uomini adulti piacciono~"
    Dopo quella risposta maliziosa, Magnus non riuscì a non chiedersi: “ Che cosa sto facendo?”
    Stava volutamente stuzzicando Lucian - e gli stava pure piacendo -, solo ed esclusivamente perché era affascinato dalla sua cieca fedeltà... ma anche perché, e gli costava ammetterlo, voleva allontanare per qualche momento il viso di Alec dalla sua testa.
    Gli occhi di quel ragazzo erano diventati come un ossessione per lui, così come la sua voce, il corpo, il profumo...
    Lightwood, sentenziò mentalmente riuscendo a frenare i suoi pensieri, erano sempre un problema.
    Quindi, che cosa voleva fare? Continuare con quel gioco e punzecchiare Luke, o voleva spingersi oltre?
    Si leccò le labbra osservando il corpo del licantropo come per studiarlo. Sapeva come era fatto sotto quell’orribile e fuori moda camicia in flanella, e a ben pensarci non era stato un così brutto spettacolo osservarlo mentre lo curava.
    Forse scaricare e caricare libri era più sexy di quanto Magnus si aspettava.
    “ Io non sono ‘certi uomini’.”, ribatté Luke qualche attimo dopo, indicando poi il furgone con un cenno del capo. “ Ora facciamo questa cosa, non abbiamo tempo da perdere.”
    “ Quale cosa?”, domandò lo stregone divertito, cogliendo al volo l’occasione per andare a carezzargli il petto fino a far scivolare la mano sulla cintura. “ Questa cosa intendi?”
    Il licantropo reagì prontamente, bloccando gli il polso e ringhiandogli in faccia.
    “ Magnus!”, lo riprese con quel suo tono da ‘paparino’ che, sinceramente, fece ridacchiare non poco lo stregone.
    “ Andiamo Luke... non è salutare questo tuo voto di castità.”, lo punzecchiò senza smettere di sorridere.
    “ Non sto facendo alcun voto di castità. Ora prepariamoci.”
    " Potrei aiutarti."
    " Sì, facendo le tue magie, stregone.", tagliò corto Luke riuscendo ad allontanarlo visibilmente imbarazzato e seccato, salendo sul retro del furgone.
    " Non mi rifiuteresti se scoprissi le mie capacità... Lucian.", cambiò voce all'improvviso, osservando le forti spalle del licantropo tremare.
    " Che cosa...?"
    A Magnus era bastato un semplice incantesimo - un trucchetto a dirla tutta - e la sua voce era cambiata in una che Luke non avrebbe mai confuso con le altre: quella di Valentine.
    " Potrei fare molto di più.", ammise lo stregone sempre con quel tono. " Ma non credo sia il caso far apparire certe persone in questo luogo, sei d'accordo con me Lucian?"
    " Perché? Perché diamine stai facendo tutto questo?", domandò Luke dopo aver preso fiato, avvicinandosi di nuovo a Magnus.
    " Perché sei il mio capriccio del momento.", rispose sincero lo stregone, riacquistando la sua voce normale. " Non ti mentirò né cercherò di corromperti con frasi cariche di confetti e cuoricini. Il mio è solo un desiderio fisico."
    " Non è ricambiato, Magnus. Lo dovresti sapere. Io amo Jocelyn e desidero rimanerle fedele."
    " Molto nobile, te lo concedo. Ma la tua idea di fedeltà prevede anche se il mormorare un certo nome quando deliravi? Sai, mentre ti curavo."
    " Non so di... cosa tu stia parlando."
    " Lo sai benissimo invece. Sai che chiamavi Valentine."
    Luke non osò rispondere, preferendo abbassare lo sguardo.
    " Il tuo legame con lui è così forte che non è ancora stato spezzato, vero?", riprese lo stregone.
    " Era il mio migliore amico, ed è stato... il primo.", ammise il licantropo, come se sperasse che quella sincerità facesse desistere l'altro dal continuare a stuzzicarlo. " Ed anche l'ultimo.", continuò con un po' più di fatica.
    " Oh, ma allora era una cosa molto più che importante, paparino!"
    " Magnus."
    " Preferisci 'lupacchiotto' o 'palla di peli'?", sorrise lo stregone.
    " Nessuno dei due, per l'Angelo!", esclamò esasperato. " E credo sia il caso di darci una mossa.", continuò, ma ovviamente Magnus era di tutt'altro avviso.
    Stava insistendo un po' troppo - ne era pienamente consapevole -, ma ci stava prendendo gusto e si stava divertendo.
    Che male c'era nel divertirsi un po' quando da lì a qualche ora sarebbero potuti morire tutti?, si chiese, rivolgendo poi la stessa domanda a Luke.
    " Non penso tu sia stato a secco di divertimenti.", ribatté prontamente l'uomo.
    " Al contrario tuo. E quello che ti sto offrendo - ovviamente gratis - è il sollievo. Nessuno vuole vederti saltare al collo di Valentine per motivi non omicidi. Ci sono dei minorenni con noi."
    " Non ho intenzione di saltargli al collo!", esclamò, togliendosi gli occhiali per massaggiarsi il setto nasale. " Sei troppo insistente."
    " E continuerò ad esserlo perché mi sto divertendo.", aggiunse Magnus sorridendo amabilmente, facendo poi un passo verso il licantropo.
    " Non mi puoi costringere."
    " Non sia mai!", lo stregone scosse il capo. " Ti sto solo portando a desiderarlo."
    " Di farti smettere.", ribatté Luke.
    " E indovina qual è il modo?", sorrise sornione Magnus, abbassandosi per pronunciare quelle parole quasi sulle labbra dell'altro che, forse irritato e stanco da quella situazione, lo afferrò per la nuca facendo scontrare le loro bocche.
    Stupito da quel gesto inaspettato, Magnus si lasciò inizialmente trasportare dai movimenti rudi e frettolosi delle labbra di Luke, poi riprendendo il controllo, lo costrinse a rallentare.
    Non si soffermò sulle sensazioni che stava provando, né sul suo odore vagamente diverso da quello degli altri membri della sua razza - aveva già avuto dei licantropi tra i suoi amanti, e Luke non profumava solo di terra bagnata, ma sapeva anche di caffè -, preferendo invece riportare le mani sulla cintura dell'altro, aprendola abilmente.
    Avevano sinceramente poco tempo per fissarsi nell’analisi di quei piccoli dettagli, e in quell’istante entrambi dovevano solo concentrarsi sul dimenticare i loro problemi.
    Poi, si disse Magnus abbassandosi sulle ginocchia insieme ai pantaloni del licantropo, se sarebbero riusciti a sopravvivere a quella battaglia avrebbero potuto approfondire quella conoscenza così superficiale.
    “ Che... stai?”, bofonchiò Luke stupito da quel movimento.
    Nei suoi occhi chiari, Magnus riuscì a leggere un lampo di ripensamento per quel bacio e per la situazione nella quale si era cacciato, ma ghignando malizioso cercò con tutte le armi a sua disposizione di impedire al rimorso di farsi largo tra loro.
    Gli avrebbe fatto passare i migliori dieci minuti della sua vita da quindici anni a quella parte, si ripromise.
    “ Valentine ti ha mai preso in questo modo?”, domandò malizioso d'un tratto, carezzandolo attraverso i boxer. “ O era un tuo compito?”, continuò, stringendo la mano per non lasciargli il tempo di rispondere - era certo che sarebbe arrivata una reazione particolarmente violenta per quelle domande così intime.
    Luke infatti tentò di tirarsi indietro, stringendo le labbra per non dare a Magnus la soddisfazione di sentirlo gemere. Tuttavia le sue spalle andarono a cozzare con la parete metallica del furgone, impedendogli ogni via di fuga.
    Ringhiò il nome dello stregone come per volerlo minacciare, ma le carezze, sempre più intime e maliziose, rendevano la sua voce più simile ad un guaito che ad un verso rabbioso - soprattutto quando la sua erezione iniziò a risvegliarsi. Soffocò un’imprecazione, passandosi una mano sul volto come per nascondersi, lasciando che sul volto di Magnus si formasse un sorrisetto compiaciuto.
    Era piacevole ascoltarlo ed anche osservarlo da quella posizione, inoltre quella situazione gli stava dando non poche soddisfazioni perché Luke era stato un avversario complicato, uno di quelli che anche davanti alla sconfitta possedeva ancora abbastanza di forza di volontà per non lasciarsi andare.
    Lucian gli piaceva - non quanto un certo Lightwood che non riusciva a dimenticare, ma abbastanza da eccitarsi a sua volta -, e abbassandogli i boxer lentamente si disse che da quel momento in poi anche al licantropo sarebbe particolarmente piaciuto quanto stava per fargli.
    Liberò infatti. l’erezione, carezzandola ancora con le dita prima di lambirla con la lingua. Quel gesto rubò all’uomo un gemito abbastanza alto che lo costrinse a tapparsi la bocca con il palmo aperto della mano. Troppo tardi per quel primo verso, ma almeno avrebbe nascosto i successivi causati dalle maliziose carezze dello stregone.
    Magnus era quasi certo che Luke non avesse mai ricevuto un simile trattamento, e se era accaduto, doveva essere passato davvero troppo tempo, per quel motivo dedicò a quella pelle tesa e pulsante tutte le attenzioni che era in grado di donargli.
    Erano i mugugni soffocati dell’uomo a guidare la sua lingua e, carezzandosi a sua volta con una mano tra le gambe, seguì ogni curva e vena del membro di Luke fino ad ingoiarla lentamente.
    “ M-Magnus c-che... ah!"
    Lo stregone sorrise contro l’erezione chiusa nella sua bocca e, sfregando la lingua, iniziò a muovere il capo senza fretta, ascoltando le basse imprecazioni ed i gemiti che l’altro si dimenticava di bloccare.
    Gli sarebbe piaciuto riuscire a leggere nella mente di Luke in quell'istante, sapere quali fossero i suoi pensieri in quel momento e a chi erano rivolti quei gemiti.
    Valentine o Jocelyn?
    Chi dei due in quegli attimi stava occupando la mente di Lucian?
    Magnus, ovviamente, non aveva la presunzione di pensare che fosse lui l'oggetto dei suoi pensieri. Gli bastava esserne la causa e trarre a sua volta piacere da quel intimo, e sfortunatamente veloce, gioco.
    La sua mano infatti si continuò a muoversi velocemente sulla sua erezione, imitando i movimenti della bocca che lambiva il membro del suo amante.
    Luke tremava sempre più visibilmente, mugugnando in risposta alle sollecitazioni dello stregone.
    Si appoggiò del tutto alla parete alle sue spalle, andando poi a muoversi quasi frettolosamente - cosa che costrinse Magnus a riaprire gli occhi - alla ricerca di un appiglio accanto a sé.
    Quel gesto - forse spinto dal timore di cadere vergognosamente per terra -, costrinse lo stregone a sorridere e ad afferrargli la mano con quella libera. La strinse tra le dita poi, come per volergli donare lui un appiglio, la condusse sulla sua testa.
    Il licantropo ci mise qualche istante prima di chiudere la presa su quelle ciocche scure e ancor meno ad assecondare i movimenti del suo amante con il bacino. Il suo corpo sembrava essersi abituato a quella situazione anomala, rispondendo con energia alle sollecitazioni di Magnus.
    Incoraggiato da quella reazione, lo stregone sorrise ancora, aumentando il ritmo delle sue carezze e stringendo le labbra attorno all'erezione.
    Decise di lasciare più libertà possibile al licantropo. Forse non aveva mai avuto il controllo totale in quelle situazioni - Magnus era sempre stato dotato di molta immaginazione, e l'idea di Valentine padrone di Luke era oltremodo credibile oltre che eccitante. Per quel motivo era sua intenzione donargli un piacere diverso, difficile da dimenticare, permettendogli di muoversi come desiderava.
    Lo eccitava il sentirlo diventare via via più sicuro di sé in quella situazione così anomala, e lo erano anche i suoi gemiti senza senso che riempivano il furgone.
    " M-Magnus..."
    Almeno, si disse Magnus malizioso, il licantropo aveva avuto la decenza di non ansimare il nome sbagliato.
    " Magnus!", gemette ancora Luke con una certa urgenza.
    Tremava ancor più violentemente di prima e lo stregone sentì sulla lingua le prime gocce del piacere del suo amante, segno che era ormai al limite.
    L'uomo, risvegliato dal suo piacevole torpore, tentò in ogni modo di allontanare il capo dell'altro ma questo, testardo e divertito, continuò a stringere le labbra e a muovere la mano sul suo membro con decisione, raggiungendo a sua volta l'apice.
    " Ma-Magnus! Sto... per... ah!", lo avvertì, ma ignorandone ancora il lamento, serrò la mascella muovendosi con più foga soprattutto quando sentì il proprio orgasmo scuoterlo da capo a piedi.
    Il licantropo, chiuso in quella morsa, non poté far altro che venire a sua volta, riversando nella bocca dell'altro il suo piacere in caldi getti. Lo stregone, trattenne ancora per qualche momento le labbra attorno al sesso di Luke, poi dopo essersi ripreso dal suo stesso orgasmo, si allontanò lentamente.
    Avevano entrambi un aspetto stravolto ma chiaramente soddisfatto e, con un rapido movimento delle dita, Magnus tentò di provvedere almeno alla parte 'stravolta' del loro aspetto - i capelli tornarono al loro posto così come scomparvero le gocce di sperma che li sporcavano.
    " Come nuovi.", mormorò divertito lo stregone, facendo sbuffare l'altro.
    Luke infatti attese qualche attimo prima di tirarsi su i pantaloni ed i boxer, e ignorando Magnus che sorrideva sornione e soddisfatto, si limitò a tenere il capo basso al colmo dell'imbarazzo e forse della rabbia.
    " Possiamo procedere?", borbottò infatti, decidendo di non commentare quanto era appena accaduto.
    " Sono pronto a fare il mio lavoro, lupacchiotto."
    Luke scosse il capo esasperato per quel nomignolo, ma anziché controbattere, preferì mettere in moto il furgone, lasciando che lo stregone facesse il suo lavoro tracciando un pentagramma nero all'interno di un cerchio nel retro della vettura.
    " Ho fatto il mio dovere, per ora.", concluse qualche momento dopo sollevandosi.
    " Perfetto... ora, vai dai ragazzi.", borbottò Luke lanciando un'occhiata verso i due che erano rimasti soli decisamente troppo a lungo. " Io... io vi raggiungo."
    " Oh. Certo.", rispose lo stregone senza smettere di sorridere, incamminandosi poi verso Jace e Clary.
    " Magnus?"
    La voce di Luke però lo bloccò, costringendolo a voltarsi.
    " Sì?"
    " ... grazie.", borbottò con difficoltà l'uomo.
    " È stato un piacere, in tutti i sensi.", ribatté Magnus con un sorriso ancor più ampio.





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    Heirs of Durin



  12. .
    Titolo: What would Annie Miller do?
    Fandom: Desperate Romantics
    Personaggi: John Everett Millais, John Ruskin
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, Blowjob, What if? (E se…)
    Conteggio Parole: 720
    Note: 1. Non doveva essere questa la mia prima fic nel fandom... ma ormai è fattaXD La prossima sicuramente una Gabriel/Maniac ù_ù
    2. Dedicata all’amore mio che vedendo quella serie con me mi ha resa taaanto felice *O*
    3. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD




    Spostò il peso da un piede all'altro, fermo davanti alla porta di John Ruskin diviso tra la necessità e la vergogna.
    Ma... che cosa poteva fare?
    Il padre di Lizzie era stato fin troppo chiaro con Gabriel: cinquanta sterline o la carriera di modella della figlia sarebbe terminata lì.
    E John, ovviamente, non possedeva una simile cifra di denaro e la sua Ophelia era l'unica cosa che lo avrebbe risollevato dalla rovina. Quel quadro era importante per lui - e lo era anche per la Confraternita -, ma non poteva esistere senza Lizzie.
    Si vergognava per quanto stava per fare, ma se si era presentato a casa del signor Ruskin con l'intenzione di chiedergli un prestito era solo per quel nobile motivo.
    Non aveva altri amici facoltosi - nessuno nella Confraternita sguazzava nell'oro - e non poteva fare a meno di rivolgersi a lui.
    John Ruskin si era sempre dimostrato un uomo comprensivo oltre che colto e gentile, e il giovane Millais sperava proprio di appellarsi all'amore che l'uomo provava per l'arte per ottenere quell'ingente somma di denaro.
    Sospirò, e raccogliendo tutto il suo coraggio - Gabriel e William sarebbero stati fieri di lui per aver trovato la forza di farlo! - bussò alla porta dei Ruskin.
    La sua baldanza tuttavia svanì quasi subito - per l'amor di Dio, era come andare ad elemosinare! -, ma non fece in tempo a fuggire che venne accolto dalla governante. La donna, dopo averlo squadrato da capo a piedi - lo stava giudicando, ne era certo -, lo condusse senza troppi giri di parole nello studio del Signor Ruskin e lì John rimase immobile in attesa del padrone di casa.
    Non sapeva assolutamente come comportarsi.
    Che poteva dirgli? Sapeva già di Lizzie?, si chiese nervoso.
    Era certo che non sarebbe uscito vivo da quella situazione, ed infatti quello che accadde dopo l'arrivo di Ruskin lo avrebbe volentieri rimosso dai suoi ricordi.
    Non era stato semplice spiegare all'uomo il suo problema, né esporre la sua richiesta, ma alla c'era incredibilmente riuscito.
    Ruskin si era dimostrato comprensivo - e John non avrebbe smesso di ringraziarlo neanche per un attimo -, tuttavia... voleva qualcosa in cambio, e le parole del suo caro amico, Gabriel, si insinuarono nella sua testa in modo quasi ossessivo: “ Cosa avrebbe fatto Annie Miller in quella situazione?”
    Cercò di allontanare quel pensiero, ma ben presto si ritrovò sulle ginocchia e con la testa tra le gambe di Ruskin in una posizione poco onorevole.
    Chiuse con forza gli occhi, stringendo le labbra e cercando di ignorare il senso di vertigine e la nausea che gli stavano facendo rivoltare lo stomaco.
    Si ripeteva che quello era l’unico modo per salvare la sua carriera, per ottenere quelle cinquanta sterline necessarie per riavere Ophelia e finire il suo quadro.
    Che era quello che avrebbe fatto Annie Miller in una situazione simile... ma niente riusciva ad impedirgli di trovare disgusto per sé stesso, ed anche se non era il paragone più calzante, si sentiva perso esattamente come Ophelia.
    Era in balia delle acque, di una forza più grande di lui... della necessità di fare qualcosa pur di ottenere quello che desiderava.
    Il suo quadro e una posizione nell’Accademia.
    Lasciava quindi che fosse il Signor Ruskin a muoversi e a stringere la mano sui suoi capelli, guidandogli il capo al ritmo che desiderava.
    Non aveva mai fatto una cosa simile - né aveva mai progettato o pensato di farla -, ma il fine in quel caso aveva giustificato i mezzi. O almeno tentò di utilizzare quella scusa per lenire la crescente vergogna che provava e la necessità di vomitare che lo colse soprattutto quando l'uomo raggiunse il piacere nella sua bocca.
    Con quel pensiero fisso abbandonò l'abitazione di Ruskin - ringraziandolo ancora e ancora per il suo buon cuore e per la generosità -, e continuò poi a ripetersi quelle parole anche quando incontrò il resto della Confraternita e consegnò le cinquanta sterline a Gabriel.
    Si rivelarono tutti sinceramente stupiti dal fatto che lui - il giovane e timido John Millais - fosse riuscito ad ottenere così rapidamente quella somma di denaro, tant'è che quando gli chiesero come avesse fatto e quali parole avesse usato per convincere Ruskin, John non poté non rispondere tra sé e sé con un: " Solo quello che avrebbe fatto Annie Miller in quella situazione.", che ovviamente non portava con sé né orgoglio né onore... solo un vergognoso segreto che sperava non venisse mai svelato.




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    Heirs of Durin



  13. .
    Titolo: The Long Way Home
    Titolo del Capitolo: XVI. The Long Way Home
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi: Bilbo Baggins, Thorin Oakenshield, Dìs
    Genere: Introspettivo, Romantico
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Slash, What if? (E se…)
    Conteggio Parole: 3050
    Note: 1. Ambientata alla fine del libro Lo Hobbit, dopo la Battaglia dei Cinque Eserciti.
    2. AhahaXD SORPRESA! Pensavate che vi avrei abbandonato in quel modo, vero?XD Era già mia intenzione farvi quello scherzo, dandovi tanti finali e facendovi pensare al peggio... sì, sono una stronza. Ma è stato divertente vedere le vostre reazioni XDDD quindi, buona lettura per l’effettivo capitolo finale della fic, al quale seguirà un piccolo epilogo (mercoledì 11) :3
    3. Immagine del banner: Kaciart
    4. Non betata BWAH!



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    L’idea di scrivere un libro aveva sempre solleticato la fantasia di Bilbo - era un qualcosa che si portava dietro sin da quando era un bambino -, e dopo aver passato oltre un anno a piangersi addosso per la partenza definitiva di Thorin, aveva finalmente deciso di iniziare a raccogliere le sue memorie.
    Aveva tante cose da raccontare, e ad ogni modo quello si rivelò essere un buon passatempo che lo distoglieva da volgere lo sguardo verso nord-est... verso Erebor.
    Il tempo non era riuscito a lenire le sue pene, ed ogni giorno continuava a svegliarsi con l’istinto di fare i bagagli e prendere la Grande Via Est, che lo avrebbe portato alla Montagna Solitaria... ma puntualmente riponeva in un cassetto quel desiderio, cercando di pensare alla sua vita.
    Come aveva già compreso non era semplice non pensare a Thorin - al fatto che lo avrebbe potuto raggiungere - ma, giorno dopo giorno, stava riuscendo a superare quei momenti di sconforto concentrandosi sulle pagine bianche del suo libro.
    Aveva iniziato a descrivere i suoi compagni di viaggio, concentrandosi su ogni aspetto della loro personalità, sulle abilità e sulle armi.
    C’era il giovane Ori ad esempio, che non possedeva nessuna arma importante se non una piccola fionda. Il Nano era un animo buono e gentile, che, al contrario dei suoi compagni, non era un guerriero e come lo Hobbit era impreparato ad una simile avventura, ma erano riusciti entrambi a cavarsela fino alla fine. Inoltre, Ori aveva sempre con sé un set da scrivano sul quale aveva annotato tutto quello che era accaduto durante il viaggio per Erebor, e Bilbo - nonostante non conoscesse neanche una parola di khuzdul - pensava che possedesse una bella scrittura e che fosse anche un abile ritrattista - di fatti, custodiva ancora il disegno che gli aveva donato.
    Con lui i suoi fratelli, il maggiore Dori ed il mezzano Nori. Diversi come la notte ed il giorno, ma entrambi degni di fiducia - Nori forse un po’ meno, ma non aveva mai tradito il gruppo.
    Dori era forse uno dei Nani più eleganti ed educati che Bilbo avesse mai conosciuto, e sicuramente anche il più pignolo. A guardarlo non si sarebbe mai detto, ma era abbastanza forte fa poter essere definito ‘il rivale di Dwalin’.
    Al contrario, Nori, preferiva utilizzare l’astuzia alla forza bruta. Era agile e scaltro, doti indispensabili per un ladro, e lui era forse uno dei migliori tra i Nani - lo Hobbit si era spesso chiesto perché non avessero assunto lui come scassinatore. Litigava spesso con Dori - la sua ‘professione’ non era di certo tra le più onorevoli a detta del maggiore -, ma era chiaro che fossero affezionati l’uno all’altro e che, soprattutto, tenessero più alla sicurezza di Ori che alla loro.
    Poi c’era il buon Bofur, uno dei primi insieme a Fìli e Kìli ad avergli offerto la propria incondizionata amicizia. Neanche lui era un guerriero, era più che altro un ex-minatore diventato giocattolaio per esigenze di vita. Aveva uno strano senso dell’umorismo che utilizzava per alleggerire le situazioni più drammatiche con frasi del tipo: “ Beh, poteva andare peggio.”
    Con lui viaggiano suo fratello Bombur ed suo cugino Bifur.
    Bombur, a detta di Bofur, era il Nano più grosso mai nato, e proprio per il suo amore per il cibo era diventato il cuoco della compagnia. Era un essere timido e buono, forse non un grande guerriero ma non si era mai tirato indietro davanti alle battaglie. Esattamente come Bifur che, al contrario, si lanciava nella mischia come una macchina da battaglia.
    Era un Nano ‘singolare’, ed ogni sua stranezza era causata dall’ascia conficcata nel suo capo. Un triste ricordo di una battaglia che Dwalin gli aveva raccontato senza mezzi termini - Bilbo aveva trovato inopportuno chiederlo ai suoi parenti.
    Bifur era in grado di comunicare solo attraverso il khuzdul ed era vegetariano. Lo Hobbit non sapeva molto di lui, ma era certo che fosse anche particolarmente sensibile visto che più di una volta aveva notato come cercasse di dare il suo supporto a Bofur e a Bombur nei momenti più complicati.
    Con loro avevano viaggiato anche Gloin ed Oin, un’altra coppia di fratelli. Entrambi abili combattenti e, tra tutti, Gloin era l’unico ad avere una famiglia che lo attendeva alla fine di quell’avventura - una moglie, a suo dire bellissima, ed un giovane figlio di nome Gimli.
    Possedeva un’ottima parlantina ed era particolarmente interessato alle questioni di Stato, per quel motivo era diventato il tesoriere della Compagnia - inoltre era particolarmente pignolo e spilorcio, aggiunse tra sé e sé Bilbo.
    Il fratello gli somigliava parecchio sotto quell’aspetto - era una caratteristica dei Nani -, ma era anche particolarmente dotato nelle arti mediche che lo avevano reso il cerusico del gruppo. Inoltre, come ricordava lo Hobbit, Oin era anche un po’ duro d’orecchio a causa della sua età avanzata e forse anche per via di qualche trauma riportato in battaglia.
    Poi c’era Dwalin, il migliore amico di Thorin, uno dei guerrieri più forti della Compagnia. Serio e fiero di sé, dai modi spicci e dalla forte fedeltà verso il suo Re. Era stato il primo Nano a fare visita a Bilbo, ed era stato anche quello ed offrirgli un cappuccio per il viaggio. Era stato quel gesto a far capire allo Hobbit che sotto quell’aspetto autoritario si nascondeva un animo gentile.
    Al contrario, suo fratello Balin, non aveva mai nascosto il suo buon animo. Era un grande amico di Thorin, nonché il suo consigliere. Diplomatico ed erudito, ma anche un guerriero letale e pericoloso nonostante l’età avanzata.
    Per finire, insieme al capo di quella Compagnia, c’erano i suoi Fìli e Kìli.
    Giovani e coraggiosi, legati tra di loro da un sentimento che andava oltre l’amore fraterno. Si erano dimostrati sin dall’inizio spensierati e curiosi, ansiosi di dimostrare il loro valore non solo in battaglia ma anche agli occhi dello zio - cosa che li aveva portati ad un passo dalla morte durante la battaglia che si era tenuta alle pendici della Montagna Solitaria.
    Bilbo dovette fermarsi e posare la sua penna mentre descriveva i due Nani con i quali aveva condiviso tanto. Con una mano si nascose il volto, emettendo un sospiro tremulo e frammentato da un piccolo singhiozzo.
    Voleva trattenersi e non lasciarsi andare a quel pianto, ma più pensava a loro, più li descriveva e riportava alla luce le memorie di quel lungo viaggio e di tutto quello che avevano fatto per lui... più sentiva la loro mancanza.
    Tentò di affogare quel suo dolore abbandonando lo studio per andare in cucina e prendersi un bel tea caldo, salvo poi rendersi conto che il sole era quasi tramontato.
    Più che tea, si disse, avrebbe dovuto mettere su il fuoco per prepararsi la cena. Mise infatti la pentola sul fuoco per riscaldare lo stufato avanzato dal pranzo.
    Si sedette, osservando poi il calendario appeso sulla parete. Mancavano due settimane al suo compleanno. Avrebbe compiuto cinquantatre anni.
    Gli Hobbit avevano una vita ben più lunga degli Uomini - più corta dei Nani, ma erano ugualmente abbastanza longevi - e quello lo portò a chiedersi a che cosa avrebbe fatto Thorin quando lui sarebbe morto.
    Lo avrebbe mai saputo? O la sua morte sarebbe passata inosservata?
    Cercò di scacciare quel pensiero scuotendo il capo, pendanso al fatto che non c’era nessuno davvero interessato a lui nella Contea - ad esclusione dei Sackville-Baggins, che volevano solamente impadronirsi di Casa Baggins e dei suoi averi -, e che a ben pensarci si sarebbe dovuto trovare un erede.
    Chiuse gli occhi nel tentativo di rilassarsi e di lasciar scivolare via ogni traccia di negatività, anche se la solitudine nella quale stava vivendo non lo aiutava.
    D’un tratto avvertì dei forti colpi alla porta che per poco non lo fecero saltare sulla sedia.
    Rimase immobile, indeciso sul da farsi.
    Aveva davvero sentito qualcuno bussare o se lo era sognato?
    Si alzò ancora incerto, muovendosi lentamente verso la porta. Era troppo tardi per essere uno dei suoi vicini - che, in ogni caso, non si azzardavano neanche ad avventurarsi fin lì - e per un istante gli parve addirittura di essere tornato indietro nel tempo, a quando aveva ricevuto la visita di Dwalin e poi di tutti gli altri Nani.
    Ovviamente non poteva essere il suo vecchio compagno, e con quella certezza aprì la porta ritrovandosi poi quasi senza fiato quando incrociò lo sguardo di una persona fin troppo familiare e che aveva temuto di non rivedere più.
    “ T-Thorin?”, esalò il suo nome così piano da fargli pensare di non aver addirittura aperto bocca. Non osò muoversi, come per paura che un suo movimento azzardato avrebbe fatto svanire il suo inaspettato - ma altrettanto desiderato - visitatore.
    “ Bilbo.”
    La voce calda del Nano lo abbracciò facendogli balzare il cuore in petto.
    “ Sei... vero?”, chiese stupidamente, mordendosi poi le labbra come per punirsi per aver fatto quella domanda - il leggero e fastidioso dolore nel sentire i denti affondare sulla carne gli fece comprendere di essere sveglio.
    Thorin assentì senza però parlare, tant’è che Bilbo trovò solo la forza di farsi di lato, invitandolo ad entrare.
    C’erano tante cose che gli avrebbe voluto dire, ma il suo corpo si muoveva a scatti, come un burattino.
    Il Nano assentì passandogli accanto. Aveva sempre lo stesso portamento fiero ed il profumo forte che Bilbo aveva imparato a conoscere e ad amare.
    Chiuse la porta alle sue spalle, inspirando a pieni polmoni quel profumo come se fosse la prima volta dopo tanto tempo... e senza accorgersene sentì la terra mancargli sotto i piedi ed il pavimento dolorosamente più vicino.
    Si rese conto di aver persi i sensi solo quando riaprì gli occhi - quando li aveva chiusi?! - e si trovò sulla poltroncina del salotto.
    Si guardò attorno. Casa Baggins era proprio come l’aveva lasciata: vuota.
    E Thorin? Era un stato un crudele sogno?
    Forse, si disse, si era immaginato tutto.
    “ Thorin?”, domandò ugualmente, alzandosi senza però aspettarsi una vera e propria risposta che, tuttavia, giunse con dei passi provenienti dalla cucina.
    “ Bilbo... mi sono permesso di prepararti una tisana.”, borbottò il Nano serio, entrando nel salottino. In una mano stringeva una tazza fumante e con l’altra, libera, costrinse lo Hobbit - ancora incredulo - a sedersi.
    “ Che cosa... ci fai qui?!”, esclamò Bilbo senza trattenersi, accettando la tisana - era calda, bollente, tremendamente reale. “ P-perdonami! N-non volevo...”, si riprese subito dopo, occhieggiando il Nano che prendeva posto davanti a lui.
    “ Perdona me per la visita inaspettata.”, rispose invece Thorin serio, evitando accuratamente di guardarlo in viso - era più interessato al pavimento, come se fosse nervoso e teso. “ Ma ho intrapreso questo viaggio con il solo intento di... vederti e parlarti.”, ammise dopo un attimo di esitazione, trovando la forza per guardare il volto dello Hobbit.
    “ Che... cosa è successo?”, chiese Bilbo.
    “ … stavo morendo.”



    Non era la prima volta che Thorin, al suo risveglio, metteva a tacere la rabbia e la delusione nel rendersi conto di essere ‘solo’.
    Sognava spesso Bilbo. Lo immaginava nella Contea o ad Erebor, talvolta anche a Gran Burrone o in un accampamento disperso nella Terra di Mezzo.
    Già da tempo aveva compreso che non gli importava il luogo se con lui c’era lo Hobbit, ma quei sogni gli avevano semplicemente dato la conferma del suo unico desiderio. L’unico che non poteva essere realizzato.
    Quella triste certezza lo aveva messo in uno stato di malinconia ed ira costante, costringendolo ad isolarsi da tutto e tutti.
    Passava ore ed ore tra i tesori di Erebor, a fissare il vuoto e ad ascoltare nel silenzio di quella sala i battiti lenti e regolari del suo cuore... come se aspettasse di non sentirli più.
    Era conscio che quel suo atteggiamento distruttivo causasse non poche preoccupazioni a Dìs, ai suoi nipoti e ai suoi amici. Una volta li aveva addirittura sentiti parlare della ‘Malattia del Drago’, lo stesso morbo che aveva reso pazzo suo nonno.
    Aveva sinceramente sperato di cogliere a sua volta quella debolezza, ma non provava più alcun attaccamento per l’oro e per i gioielli. Non aveva neanche quella via di scampo dalla sua vita.
    Ma, ovviamente, questo Dìs non poteva saperlo ed infatti, dopo aver passato mesi e mesi a lamentarsi e a trattenersi dal prenderlo a pugni, entrò con rabbia nella sala del tesoro con tutte le intenzioni di aggredire suo fratello.
    " Ne ho abbastanza di te, Thorin!", gridò adirata, puntandogli contro il dito.
    Il Nano, tuttavia, non rispose. Magari, si disse, qualche pugno ben assestato gli avrebbe fatto sentire... beh: qualunque cosa.
    " Erebor non ha più un Re da quando sei tornato. Hai la testa altrove!", continuò Dìs, afferrandolo per il colletto della tunica come per scuoterlo. “ Vuoi fare la fine del Nonno?”, aggiunse con un tono vagamente preoccupato.
    Già in passato avevano affrontato quel discorso, ma in quel momento la paura era più che reale.
    “ Non sento più alcuna attrazione per i gioielli e l’oro...”, ammise Thorin senza però ribellarsi.
    “ Allora perché vieni qui?”
    “ Per la pace...”
    “ Oh Thorin...”, la presa sul colletto si allentò. “ Non puoi continuare così, devi reagire...”
    " Che dovrei fare?", mormorò grave Thorin. " Non posso smettere di..."
    Dìs si inginocchiò ai suoi piedi, prendendogli le mani e stringendole tra le sue.
    “ No che non puoi smettere...”, rispose. “ Lo so che non puoi... e per questo che devi andare da lui."
    Quell’affermazione fece irrigidire il Nano, che scosse il capo mormorando un: " Non posso."
    " Non pensi ad altro che a Bilbo e questo ti sta uccidendo.”, continuò con dolcezza Dìs, sembrava essersi calmata non poco dopo aver appreso il motivo dell’isolamento del fratello in quel luogo. “ Hai bisogno di lui. Hai bisogno di essere felice... non mettere sempre davanti a tutto Erebor. Anche perché in questo momento... non stai facendo niente per il tuo regno."
    Ed era vero, ammise tra sé e sé Thorin. In quei lunghissimi mesi non era riuscito a fare niente per la sua gente, aveva lasciato tutto in mano a Balin e a Dwalin, che affiancavano sua sorella in ogni decisione.
    " Dìs..."
    " Bilbo ti accoglierà a braccia aperte nella sua dimora, e anche se non fosse - cosa altamente improbabile -, troverai un luogo dove vivere e resterai vicino a lui. È quello che desideri.", continuò la Nana.
    " Mi stai chiedendo troppo..."
    " Ti sto chiedendo di vivere.", ribatté Dìs con sicurezza.
    " Erebor ha bisogno di un Re.", rispose a sua volta Thorin.
    “ Che al momento è come se non esistesse. Ma questa deve essere la tua ultima preoccupazione, hai cresciuto Fìli e Kìli per prendere il tuo posto, ed io, Dwalin e Balin saremo sempre accanto a lui per aiutarli.", insistette l’altra.
    Thorin la osservò indeciso, tentato dall'accettare quel idea della sorella. Aveva ragione, Fìli e Kìli erano destinati a diventare il futuro della Montagna Solitaria - il Re ed il suo Consorte, si erano sempre definiti in quel modo quando erano bambini e non volevano neanche prendere in considerazione l’idea di una Regina -, tuttavia...
    " Non sono pronti.", mormorò, dando voce ai suoi pensieri..
    " Dopo questi mesi, penso di poter continuare a gestire questo Regno fino a quando Fìli e Kìli non saranno all'altezza del loro compito.", sorrise la Nana, carezzandogli poi il volto con un'espressione più triste. " Non riesco a sopportare l'idea di perderti... tuttavia preferisco saperti lontano ma felice piuttosto che qui con me, ad un passo dalla pazzia e dalla morte."
    Thorin abbassò il capo, senza riuscire ad ignorare lo strano calore che gli stava lentamente riempiendo il petto.
    Poteva davvero farlo? Lasciare Erebor nelle mani di Dìs?
    Si fidava di sua sorella ed era certo che avrebbe regnato in modo giusto e che lo stesso avrebbero fatto Fìli e Kìli quando sarebbe giunto il momento.
    Ma Bilbo? Lui lo avrebbe accettato dopo tutto quel tempo?
    Magari in quei mesi aveva trovato qualcuno e...
    " Thorin..."
    " Non so se lui...", mormorò scuotendo il capo, sia per scacciare quel pensiero che per rispondere alla Nana.
    " Lui ha scelto di restare lì per orgoglio e per timore. Ci ho pensato a lungo e penso che sia quella l'unica spiegazione.", rispose Dìs. " E tu puoi fare la stessa scelta. In fondo: cos'hai da perdere?"
    Niente, si disse Thorin. Non aveva niente da perdere.
    Stava già morendo dentro e la sua situazione, una volta nella Contea, poteva solo migliorare. Quello era più che certo.
    " Ci penserò...", acconsentì, venendo poi abbracciato da Dìs, chiaramente sollevata dalla sua scelta.
    Ci avrebbe davvero pensato?, si chiese. No. Non ne aveva bisogno - sarebbe partito anche in quel momento! -, ma voleva sentire Balin e Dwalin, i suoi consiglieri ed amici più fidati.
    Allontanò dolcemente la Nana, carezzandole il volto come per chiederle perdono per tutti quei mesi di preoccupazioni.
    “ Potresti chiamare Balin e Dwalin?”, domandò. “ Incontriamoci nella Sala del Trono.”
    “ D’accordo.”, assentì Dìs, mettendosi in piedi e ricomponendosi. Thorin annuì a sua volta, osservandola poi in silenzio allontanarsi e sparire dietro la porta.
    Era di nuovo solo, ma al contrario delle altre volte, in quell’istante si sentiva pieno di speranza.



    “ Balin e Dwalin erano della stessa idea di Dìs. E dopo la discussione con loro, ho preso la mia decisione. Ho annunciato che lasciavo il regno nelle mani di Dìs ed preso il primo pony per venire qui nella Contea.”, concluse il Nano. Non aveva distolto lo sguardo dagli occhi di Bilbo neanche per un attimo mentre parlava, come se quel contatto fosse in grado di dargli coraggio.
    Lo Hobbit - che stringeva la tazza ormai fredda della tisana -, era rimasto senza parole e riusciva solo a sentire il suo cuore battere fortissimo - un rumore quasi assordante.
    “ So di non avere alcun diritto di farti una simile richiesta...”, riprese Thorin con non poca difficoltà. “ Ma saresti disposto ad... accoglier-”, le parole gli morirono in bocca quando Bilbo, lasciando cadere per terra la tazza, lo abbracciò di slancio nascondendo il volto nell’incavo del suo collo.
    “ Non osare... n-non pensare neanche di... di lasciarmi!”, singhiozzò con rabbia e felicità lo Hobbit, lasciando che il Nano lo stringesse con forza a sé, sentendo quel peso che lo aveva schiacciato fino a quel momento dissolversi.
    “ Mai.”, mormorò. “ Non ti lascerò mai.”
    “ Ti amo... ti amo... ti amo, maledetto idiota di un Nano!”, rise Bilbo tra le lacrime, cercando poi le labbra del suo compagno per baciarlo.
    Thorin assecondò con gioia quel suo desiderio, mormorando poi un: “ Ti amo anch’io Bilbo Baggins.”, prima di reclamare ancora e ancora la bocca del suo compagno come se non potesse più farne a meno.
    Avevano fatto tanta strada insieme ed anche separati, ma alla fine avevano preso lo stesso cammino: quello che li aveva portati a casa.





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    Outside a Saint, Inside a Devil
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    Heirs of Durin
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    Edited by p r i n c e s s KURENAI ~ - 2/6/2013, 02:35
  14. .
    Titolo: The Long Way Home
    Titolo del Capitolo: XV. Left to go
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi: Bilbo Baggins, Fìlì, Kìli, Thorin Oakenshield
    Genere: Introspettivo, Malinconico
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Slash, What if? (E se…)
    Conteggio Parole: 2000
    Note: 1. Ambientata alla fine del libro Lo Hobbit, dopo la Battaglia dei Cinque Eserciti.
    2. Tempo di grandi discorsi? Naaaaaah! Posso solo dire che beh... siamo alla fine<3 Grazie per avermi “seguita” fino a qui... il vostro supporto, i commenti e la presenza mi hanno aiutata a finire questa fic. Forse non nel migliore dei modi ma... era l’unica via giusta da prendere ù_ù non odiatemi ç_ç
    3. Non betata BWAH!



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    La notte prima, quando Fìli e Kìli erano rientrati a Casa Baggins, si erano entrambi addormentati con la certezza che tutto si era risolto per il meglio.
    Thorin avrebbe parlato a Bilbo, si sarebbe scusato e avrebbe ritirato l’esilio invitandolo a partire ad Erebor con loro l'indomani. Lo Hobbit si sarebbe commosso e lo avrebbe giustamente insultato per averlo fatto aspettare così tanto, Thorin lo avrebbe abbracciato e baciato per farsi perdonare.
    Era così che doveva andare, si erano detti. Perché quei due si amavano, e non avevano smesso di farlo neanche dopo tutto quello che era accaduto - l'esilio, le incomprensioni e l'orgoglio.
    Per quel motivo al loro risveglio si erano presentati allo Hobbit - intento a preparare la colazione per gli ospiti - con degli ampi sorrisi, carichi di quelle speranze che si erano realizzate dopo tanti tentativi ed altrettante discussioni.
    " Buongiorno Bilbo!", lo salutarono allegramente, prendendo posto sulla tavolata.
    " Buongiorno ragazzi.", rispose il padrone di casa voltandosi verso di loro con un minuscolo sorriso, abbandonando poi i fornelli per porgere loro delle tazze per la colazione. " Avete dormito bene?", domandò gentilmente.
    " Alla grande!", esclamò Kìli. " Siamo carichi per il viaggio!"
    " E tu Bilbo? Sei pronto per la partenza?", aggiunse il maggiore, stupendosi quando vide lo Hobbit oscurarsi per quella domanda.
    Aveva detto qualcosa di sbagliato? O... era successo qualcosa con Thorin?
    In un attimo tutte le loro speranze e l'allegria si smorzarono in attesa della risposta del loro amico.
    " Io... devo restare qui.", rivelò Bilbo, lasciando di stucco i due.
    " Come? Ma Thorin non ti ha...", esalò Kìli.
    " Ha ritirato l'esilio e si è scusato per il suo atteggiamento.", spiegò lo Hobbit con attenzione, assicurandosi che i due non fraintendessero. Thorin era stato gentile e non dovevano prendersela con lui.
    “ Ma...”
    " Non partirò con voi. Un giorno verrò a trovarvi, ma per il momento è questo il mio posto. Questa è la mia decisione.", concluse con decisione, sperando di riuscire a prevenire le lamentele dei giovani Nani che, delusi e stupiti, restarono in silenzio.
    Avevano sperato fino alla fine che tutto andasse per il meglio. Ci avevano creduto con tutte le loro forze... ed invece Bilbo aveva scelto la Contea.
    Come poteva fare quello a Thorin? E Thorin come stava?
    Era possibile che fosse tutto finito e che il loro legame si fosse spezzato così semplicemente?
    Avrebbero volentieri insistito, andando a cercare delle risposte a quelle domande, ma non volevano cadere in inutili discussioni con lo Hobbit e rovinare quegli ultimi momenti insieme.
    Consumarono quindi il loro pasto senza commentare, e al risveglio di Dìs - mattiniera per abitudine -, andarono ad aiutare la loro madre e Bilbo a servire la colazione anche agli altri Nani - che ovviamente ringraziarono calorosamente il padrone di casa per l'ospitalità.
    Dìs stessa era certa che lo Hobbit sarebbe partito con loro, tant’é che quando apprese la notizia la accolse quasi con rabbia, ritrovandosi addirittura sul punto di andare a prendere a calci nel sedere suo fratello, certa che avesse detto o fatto qualcosa di sbagliato. Furono i figli a farla desistere, e quando incrociò lo sguardo di Thorin fu quasi felice di essersi calmata e di aver ascoltato Fìli e Kìli.
    Di fatti il Nano non si unì al tavolo a mangiare con loro e si fece vivo solo quando fu il momento di partire, prodigandosi per aiutare la sua gente come meglio poteva. Nonostante i suoi tentativi di mantenere un certo distacco, risultò impossibile non notare la sua espressione malinconica - gemella di quella che era apparsa anche sul volto di Bilbo.
    Quella situazione era profondamente sbagliata, ma nessuno dei due sembrava volerla cambiare, e per quanto fosse ingiusto neanche Dìs ed i suoi figli osarono mettere più bocca tra il Nano e lo Hobbit.
    Al momento della partenza, Bilbo si sforzò ovviamente di apparire più tranquillo e felice possibile mentre salutava Fìli e Kìli con un lungo abbraccio, ma non poté fare a meno di mandare giù la necessità di inseguirli quando li vide allontanarsi.
    Già si vedeva correre dietro di loro e per andare poi a fermarsi dinnanzi a Thorin, pregandolo affinché restasse un'altra notte con lui. E dopo quella un'altra ancora e poi tante altre... fino a non abbandonarlo più.
    Ma non lo avrebbe fatto. Sarebbe stato scorretto ed anche doloroso perché Thorin non lo desiderava accanto a lui se non per fare un piacere alla sua famiglia, ed inoltre era ormai troppo tardi. Infatti la comitiva sparì presto alla sua vista e con loro i suoi pensieri di convincerli a restare ancora a Casa Baggins con lui.



    Erano già passate quattro settimane da quando i Nani avevano lasciato la Contea e si prospettavano almeno altre due settimane di marcia prima di raggiungere Gran Burrone e partire poi per le Montagne Nebbiose
    Quella prima parte del viaggio si rivelò particolarmente tranquillo oltre che lenta, cosa che contribuì almeno a mantenere alto il morale di tutti i Nani, che tuttavia non poterono ignorare una strana malinconia gravare sul fiero volto del loro Re.
    Tutti si erano accorti che c’era qualcosa che non andava nel Nano, anche quelli che non erano a conoscenza del rapporto tra Thorin e lo Hobbit, ma erano troppo rispettosi per indagare o per fare delle domande forse inopportune a Dìs o ai suoi figli.
    Ovviamente Fìli e Kìli, così come la Nana, erano a conoscenza del motivo di quella tristezza ma evitarono a loro volta di fare troppe pressioni a Thorin.
    Potevano solo immaginare il suo dispiacere - credevano che Bilbo avrebbe subito scelto di partire per Erebor -, e proprio per quel motivo cercarono di non stargli troppo addosso.
    Il Nano, dalla sua, non poteva che ringraziargli mentalmente per quella loro scelta, perché era certo che non sarebbe riuscito a reggere una discussione con nessuno dei tre.
    Mai in vita sua si era sentito così... vuoto.
    Aveva perso la sua casa, aveva visto suo nonno e suo fratello morire, così come suo padre. Era stato umiliato e privato di ogni ricchezza, aveva lavorato nei villaggi degli uomini arrivando talvolta a patire anche la fame pur di sfamare la sua famiglia. Ma niente di tutto quello sembrava poter essere paragonato a ciò che sentiva in quel momento, perché era il suo cuore ad essere stato ferito e svuotato.
    Ormai le sue giornate scorrevano tutte uguali, prive di colore, mentre al contrario i suoi ricordi si tingevano del verde delle colline della Contea, dei profumi di quel luogo e dell'azzurro del cielo limpido... uguale al colore degli occhi del suo Bilbo.
    Si dava dello stupido per aver sperato seriamente che lo Hobbit scegliesse di viaggiare con lui per la Montagna Solitaria, abbandonando quella terra meravigliosa e pacifica che era la Contea.
    Era stato davvero uno sciocco e tutto ciò che gli era rimasto dopo quella notte era quel peso, formato dalla tristezza e dalla delusione, che andava a gravare sul suo petto. Piegato dal dispiacere non poté far altro che continuare con la sua marcia, sperando di raggiungere al più presto la sua dimora.
    Tuttavia, neanche la vista della Montagna Solitaria dopo tutti quei mesi di marcia riuscì a rallegrarlo.
    Ricordava ancora le speranze e la gioia che aveva provato la prima volta che aveva visto in lontananza la figura di Erebor, ma in quel momento accanto a sé non c'era Bilbo, né stava iniziando a provare quei strani ma piacevoli sentimenti che lo avrebbero portato ad innamorarsi di lui.
    Giorno dopo giorno il suo cuore continuava a riempirsi di tristezza, di dolore e di desideri irrealizzabili. Insieme alla consapevolezza che, a causa di quel legame - tipico dei Nani - che lo aveva unito allo Hobbit, si sarebbe spento lentamente fino alla morte... ma in realtà, scoprì ben presto non gli importava la fine che avrebbe fatto.
    Tuttavia, nonostante la sua apparente resa al destino che lo attendeva, c'era ancora una piccola parte di lui che non riusciva a non essere tentata dall'idea di tornare indietro.
    Alle volte Thorin si era davvero ritrovato sul punto di spronare il suo pony a correre il più velocemente possibile per raggiungere di nuovo la Contea e la casa di Bilbo, e anche se non sapeva che cosa sarebbe accaduto, era certo che avrebbe pregato lo Hobbit affinché restasse per sempre con lui - il luogo non importava se erano insieme. Ma quando si voltava, pronto a tornare sui suoi passi, finiva sempre per osservare i visi di quei Nani che avevano scelto di seguirlo.
    Contavano tutti su di lui.
    Sentiva sulle spalle i suoi doveri di sovrano e si ricordava inoltre che Bilbo aveva scelto il suo posto... e doveva fare lo stesso.
    Era il Re sotto la Montagna e la sua gente aveva bisogno di lui, e per quanto sarebbe stato difficile e doloroso sopportare quella lontananza, avrebbe cercato di essere un sovrano giusto per il resto della sua vita.
    " Finalmente a casa...", mormorò Dìs, strappandolo ai suoi pensieri.
    Le lanciò un'occhiata, scorgendo nel volto della sorella uno sguardo tra il sollievo e la nostalgia.
    Un tempo, si disse, anche lui avrebbe provato quegli stessi sentimenti, ma sembravano passati secoli da quei momenti in cui desiderava solo rimettere piede ad Erebor.
    " Stai bene, Thorin?", quella volta Dìs si era rivolta direttamente a lui, preoccupata e comprensiva.
    Si era trattenuta fin troppo in quei mesi, poteva anche aver scelto di non stare troppo addosso a Thorin, ma era impossibile non essere in pensiero per le condizioni del fratello.
    " Sì. Sto bene.", rispose piatto il Nano, evitando di guardarla.
    " Menti. E lo sappiamo tutti e due."
    " Servirà a qualcosa dire che sto morendo dentro, namad?", ribatté dolorosamente gelido Thorin, costringendo Dìs a rimanere in silenzio per qualche istante.
    " No ma..."
    “ Ormai è finita.”, riprese il Nano. “ Questo è il nostro posto, questa è... casa nostra.”
    Non c’era alcun segno di passione o affetto nella sua voce. In passato, quando parlava di Erebor, Dìs era abituata sentirlo ardere d’amore per la sua terra... ma in quel momento avvertiva solo rassegnazione per un luogo che, per quanto gli appartenesse, non poteva più definire ‘casa’.



    Il Natale era ormai alle porte, e con l'ingresso di Dicembre Bilbo comprese che erano già passati ben sei mesi dalla partenza di Thorin e degli altri Nani.
    Allo Hobbit, in realtà, sembrava essere passato molto più tempo per quanto erano diventate noiose e monotone le sue giornate - tremendamente simili a quelle vissute mesi e mesi prima.
    Ogni giorno trascorreva nello stesso identico modo: faceva tutti i suoi pasti, curava il suo giardino e talvolta andava al mercato - dove ascoltava i pettegolezzi ormai di rito che lo riguardavano -, mentre altre volte si concedeva delle lunghe camminate pur di non restare solo a casa Baggins... momenti all'aria aperta che si dovette scordare con l'arrivo della stagione fredda, cosa che lo costrinse a restare tra le silenziose mura domestiche.
    Sperava di essersi abituato a quella situazione, ma dopo quello che era successo la notte prima della partenza, Bilbo sentiva che era tutto diverso.
    Perché al suo ritorno da Erebor si era ritrovato era senza speranze. Era stato tagliato fuori da quel regno che aveva aiutato a riconquistare, il cui sovrano era l'unica persona che avrebbe mai amato in vita sua - era una cosa scioccamente romantica, ma Bilbo sapeva che non sarebbe mai esistito uno Hobbit, o qualcun altro di qualsiasi altra razza, in grado di cancellare il legame che aveva stretto con Thorin.
    Mentre in quel momento, così come tanti altri che lo avevano preceduto, non poteva fare a meno di chiedersi: " Che cosa sarebbe successo se avessi accettato la proposta di Thorin?", arrivando addirittura a pensare a quali conseguenze sarebbe andato incontro nel fare i bagagli e presentarsi ad Erebor.
    Thorin aveva ritirato l'esilio, quindi poteva vivere con lui o anche solo guardarlo da lontano. Poteva sentirsi in un certo qual modo a casa... ma alla fine i suoi erano e sarebbero rimasti per sempre dei pensieri.
    Non avrebbe mai trovato il coraggio di compiere un'azione simile, perché anche se tempo addietro aveva trovato il coraggio di intraprendere un'avventura - a tratti suicida -, lui era uno Hobbit e suo malgrado quella era la sua dimora.
    Bilbo era un Baggins di Casa Baggins, e tutto ciò che stava fuori dalla Contea doveva essere lasciato andare via.






    Edited by p r i n c e s s KURENAI ~ - 29/5/2013, 14:19
  15. .
    Titolo: Deathless
    Titolo del Capitolo: III. Nothing
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi: Kìli, Fìli, Smaug
    Genere: Introspettivo, Angst
    Rating: Rosso
    Avvertimenti: DeathFic, Incest, Slash, What if? (E se…), Alternative Universe (AU)
    Conteggio Parole: 4830
    Note: 1. Scritta ma non partecipante (non ho fatto in tempo X°D) per la #9 Notte Bianca di Maridichallenge. Prompt: Lo Hobbit, Fili/Kili, BeingHuman!AU in cui Kili è un vampiro e Fili è un umano.
    2. Allora... visto che sono un’idiota che si complica la vita, non riuscivo a scrivere senza un “background” ho tentato di ricreare una sorta di storia dietro Vampire!Kìli, riprendendola da quella di Mitchell. Comunque... ci tengo ad avvisare che qui i Fìli e Kìli protagonisti NON sono fratelli, la storia è uscita in questo modo e il ‘nostro’ Fìli è il nipote di Kìli - che era un vampiro ancor prima che nascesse. Sì mi sono complicata la vita X°D
    3. E visto che non mi andava di lasciare le cose così... beh... semplici... ho dato a tutti dei nomi “umani” X°D ovviamente poi i diminutivi sono i loro nomi originali, quindi vi troverete davanti Kilian (Kìli) e Fillian (Fìli) che sono due nomi di origine irlandese - ambientazione della storia.
    4. Clondalkin. Città irlandese nella quale è nato Aidan ù_ù
    5. QUESTA E’ LA FINE! NON ODIATEMI E NON CERCATEMI CON I FORCONI! *vola via in Nuova Zelanda*
    6. Non betata :3




    Kilian attese qualche attimo prima di iniziare a parlare.
    Era finalmente giunto il momento di dire tutta la verità, anche se ad essere sinceri non sapeva proprio come introdurre l'argomento 'vampiri'. Perché di certo non poteva esordire con un: " Allora Fili, devi sapere che sono il tuo prozio Kilian. Ho oltre ottant'anni e sono un vampiro. No, non preoccuparti: ho superato da tempo la voglia di bere il tuo sangue.", sarebbe stato preso per pazzo e... Fillian meritava una spiegazione più articolata.
    Sospirò, e quando Fili gli prese la mano come per rassicurarlo, si decise a parlare - vada come vada, si disse.
    " Ti devo raccontare... beh, la vera storia di Kilian Durin...", esordì serio.
    " Lo conosci?", chiese l'altro.
    " Diciamo di sì. Ma è complicato... per questo motivo ti chiedo di ascoltarmi e di... cercare di stare calmo."
    Fillian annuì, senza riuscire però a nascondere una certa apprensione davanti all’espressione cupa del suo compagno.
    " Devi sapere che nel mondo ci sono certi... 'individui' che per natura, o perché pensano di non poter sfuggire alla loro condizione, si divertono con il dolore altrui. Che vivono letteralmente per quello.", spiegò Kili, decidendo di non utilizzare direttamente il termine 'vampiro'. " Come la maggior parte delle persone in questo mondo, Kilian non sapeva niente della loro esistenza e quando si trovò faccia a faccia con quella realtà... dovette fare una scelta.", fece una pausa. " Doveva scegliere tra la sua morte e quella della sua famiglia. E, ovviamente, la scelta ricadde sulla prima opzione."
    " L'incendio? Quindi... non è stato un incidente!", esclamò Fili stupito, ma Kili smorzò subito il suo entusiasmo continuando a parlare.
    " Sì e no. Quell'incendio non è stato un incidente, ma lo ha appiccato Kilian stesso per... beh, inscenare la propria morte e andare via da Clondalkin."
    " Quindi... non è morto per davvero..."
    " N-no... vedi, lui è morto. Beh, all'incirca.", farfugliò il vampiro trovandosi in seria difficoltà.
    Perché doveva essere così complicato?
    " Diciamo che... ha iniziato a vedere e 'vivere' il mondo in un altro modo... era diventato uno di quegli individui, e quel suo nuovo modo di vivere avrebbe solamente messo in pericolo la sua famiglia...", mormorò il vampiro dopo qualche attimo.
    Fillian avrebbe voluto fare altre domande - chi erano per la precisione quegli individui? E che significava 'morto all'incirca'? -, ma preferì rimanere in silenzio e permettere all'altro di continuare.
    " Kilian si trovò costretto a lasciare la città e presto dovette anche abbandonare l'Irlanda. Perché per vivere come quegli individui doveva fare delle cose terribili.", abbassò la voce. " Cose indicibili che rimarranno per sempre nella sua coscienza, se ancora ne possiede una...”
    “ Kili questo...”
    “ Ora però non è più così.", si affettò a dire. " Ha incontrato un amico, uno come lui, che lo ha aiutato a cambiare ancora. A vedere di nuovo una possibilità di vita senza dover far del male a nessuno.", aggiunse come se quello potesse cancellare gli sbagli compiuti in tutti quegli anni.
    " Sembra una storia di conversioni religiose...", commentò Fillian qualche attimo dopo.
    " Più o meno.", assentì Kili senza però sorridere.
    " Questo però non spiega la vostra somiglianza. Si è sposato?"
    " No, e non può neanche avere figli. Perché anche se Kilian ha smesso di comportarsi come quegli individui... resterà sempre uno di loro."
    “ Che significa ‘uno di loro’? Non lo capisco...”
    " Questi individui non possono dare la vita... perché loro non muoiono neanche. Sono immortali.", svelò il vampiro, guardandolo serio negli occhi. Fillian sostenne per qualche istante il suo sguardo, trattenendo il respiro e sbuffando poi una risata nervosa.
    " Per un attimo ti stavo pure credendo!"
    " È la verità...", ribatté Kili, stringendogli la mano. " Anche se preferirei che non lo fosse."
    Kilian non mentiva, né stava scherzando, si disse Fili fissandolo ancora negli occhi e, anche se tutto in lui urlava di non credere alle sue parole, si costrinse ugualmente al silenzio.
    " L’immortalità li costringe a... vivere un’esistenza complicata...", continuò Kili e esitando davanti a quella rivelazione. " Per continuare a ‘vivere’ devono strappare la vita agli altri. Devono nutrirsi di... sangue umano."
    " Come... vampiri?", soffiò Fili, riportando alla memoria quelle assurde creature che tanto andavano di moda nei film e nei libri.
    Kili sospirò nel sentire quella definizione sfuggire dalle labbra dell'altro. Le carte erano quasi tutte scoperte in tavola... doveva solamente fare un ultimo sforzo.
    " Esattamente."
    " Mi stai dicendo che Kilian, il fratello del nonno, era un vampiro?"
    " Lo è ancora...", sussurrò abbassando il capo, nascondendosi dietro i suoi lunghi capelli, e Fili finalmente comprese.
    Farfugliò qualcosa tra lo stupore, senza riuscire a mettere in fila qualcosa di senso compiuto.
    “ Fillian...”
    " È... impossibile.", mormorò finalmente il giovane. " Dai Kili, potevi inventarti una storia migliore e meno fantasiosa. Immortali. Vampiri!", aggiunse ridendo ancora nervosamente.
    Come poteva credere ad una storia simile? Era... assurda!
    " Io..."
    " Non mi starai chiedendo di... crederci?!"
    Tentava di negarlo, di non pensare a tutte quelle piccole cose che in quell'istante sembravano avere tutto un altro significato.
    Da Kilian che evitava gli specchi - solo in quel momento si rendeva conto di quel particolare. Il suo corpo sempre freddo. Quello sguardo da predatore che gli rivolgeva di tanto in tanto. Fino ad arrivare alla sensazione di conoscerlo da sempre e la foto...
    " Non è semplice da accettare, lo so...", mormorò Kili.
    " Fuori."
    " C-Cosa?"
    " Ho detto 'fuori'. Desidero restare solo. Va via. Ti prego.", ripeté Fillian con voce insolitamente calma e, come se dei fili invisibili lo stessero trascinando verso l'esterno, Kilian si alzò e andò verso la porta, mormorando un basso: " Mi dispiace...", prima di abbandonare l'appartamento.
    Era comprensibile quel rifiuto, si disse il vampiro come per consolarsi, ma niente in quel momento lo avrebbe aiutato a placare la sua pena.
    Sperava solo che Fili capisse e che... non lo sapeva neanche lui. Era una situazione complicata e non era semplice riuscire a gestirla.
    Si sedette sulle scale all'esterno dell'appartamento senza poter far altro che attendere, mentre Fillian, rimasto solo, ripensava alle parole del suo compagno, alle coincidenze e alla realtà che stava vivendo.
    Tutto sembrava girare attorno a delle semplici affermazioni che avevano tutte come soggetto Kilian.
    Dal fatto che il suo amante era il fratello di suo nonno. Il che lo rendeva quindi il suo... prozio? Avevano inoltre fatto sesso più e più volte, e quello poteva essere in un certo qual modo definito 'incesto'.
    Poi, se non sbagliava il conto degli anni, Kili aveva più di ottant'anni - anche se ne dimostrava al massimo diciannove - ed infine, come se non bastasse, gli aveva nascosto la verità per tutti quei mesi.
    Tuttavia, quelle affermazioni non contavano niente davanti all'ultima rivelazione: Kilian era un vampiro.
    Un succhiasangue di quelli che si vedevano solo nei film e che Fili non aveva mai sopportato - erano invenzioni troppo assurde per essere prese sul serio.
    Cose talmente senza senso da essere diventate improvvisamente reali. Come era possibile?
    Si prese il viso tra le mani, nascondendolo ed emettendo un verso dolorante. Non riusciva a crederci, e per di più gli era pure venuta l'emicrania. Perché tutto quello continuava a non avere alcun senso, e più ci pensava più le sue forze gli venivano a mancare, fino a quando - esausto per le troppe informazioni e per il crescente dolore alla testa - decise di spostarsi e di andare a distendersi nella speranza di trovare una risposta in quel modo.



    Aveva sperato che la situazione si sbrogliasse entro qualche ora, ma alla fine Kilian si era dovuto arrendere all'evidenza che Fili non lo avrebbe invitato a rientrare a casa nell'immediato, e che si sarebbe dovuto almeno trovare un posto per la notte. Fortunatamente la sua città era ancora come se la ricordava, e riuscì con facilità a trovare un posto abbastanza isolato nella periferia per passare quegli interminabili giorni in attesa di notizie da parte del suo compagno.
    Era pronto ad accettare qualsiasi scelta da parte di Fili, perché era normale che il giovane preferisse cacciarlo di casa piuttosto che vivere con un mostro come lui.
    Quale persona sana di mente avrebbe accettato una relazione con un non-morto? Inoltre, Kilian era conscio di essere una bomba ad orologeria, perché non sapeva quando e come avrebbe smesso di resistere al sangue.
    Sperava che non accadesse mai, ovviamente, tuttavia le cose brutte accadevano anche a chi non se le meritava... ma fin quando poteva proteggere Fili ed evitare che gli accadessero cose cattive, lui lo avrebbe fatto anche se avesse significato stargli lontano.
    Kilian sapeva che non sarebbe stato semplice superare quella distanza forzata dal suo compagno, ma era la cosa giusta da fare... anche se i giorni parevano non voler passare ed il più delle volte si ritrovò a fissare inutilmente lo schermo del cellulare, anche per ore, in attesa di un messaggio o di una chiamata - Fillian si era chiuso nel silenzio e Kili, dalla sua, non aveva il coraggio di contattarlo.
    Cosa gli avrebbe potuto dire in fondo?
    Che gli dispiaceva? Beh, quello era ovvio, ma di certo non avrebbe cambiato il fatto che era e che sarebbe rimasto per sempre un vampiro. Quella era la sua natura, e suo malgrado non poteva costringere Fili ad accettarlo, né spingerlo a ‘fare in fretta’.
    Tuttavia, era già trascorsa una settimana - gli sembrava essere passato un mese e non solo sette miseri giorni -, e davanti a quel tempo che scorreva inesorabile e senza notizie, Kili iniziò quasi a perdere le speranze.
    Sospirò affranto, e dopo aver rimesso in tasca il suo cellulare riprese a camminare per Clondalkin, cercando al tempo stesso di distrarsi e di evitare i posti che Fillian era solito frequentare.
    Non si rivelò affatto semplice pensare a qualcosa che non fosse il suo compagno e a quella situazione. La sua testa sembrava infatti aver trovato rifugio in altri lidi lasciando che ogni suo pensiero si catalizzasse ovviamente su Fili. E quella sua condizione di debolezza si rivelò alquanto pericolosa quando quel pomeriggio - rientrando nella fabbrica abbandonata in periferia che era diventata la sua dimora provvisoria - si rese conto troppo tardi di essere stato seguito.
    I suoi sensi erano solitamente molto sviluppati e non era semplice prenderlo di sorpresa... ma quel qualcuno ci era riuscito.
    " È ironico dire 'chi non muore si rivede', vero Kilian?"
    Kili si gelò quando quella voce profonda e maliziosa gli carezzò le orecchie quasi con dolcezza, donandogli un brivido lungo la schiena.
    C'era un qualcosa di dolorosamente familiare in quel timbro. Un qualcosa che gli impedì di voltarsi alla ricerca del volto dell'altro e che lo riportò invece con la memoria al suo ultimo giorno di vita.
    " Pensavo saresti morto di stenti davanti alla tua umanità. Senza una guida..."
    Nonostante fossero passati oltre cinquant'anni dalla sua morte. Kilian non avrebbe mai dimenticato Smaug.
    Sputò il suo nome quasi con rabbia, voltandosi lentamente verso l'altro vampiro.
    Il tempo non lo aveva ovviamente cambiato. Aveva sempre quei suoi capelli scuri - vedeva dei riflessi rossi ora che lo notava -, gli occhi che ricordavano quelli di un felino e la pelle di un bianco quasi immacolato.
    Era lo stesso che lo aveva trasformato in un vampiro, privandolo di una vita monotona ma comunque mortale insieme alla sua famiglia.
    " Che ci fai qui?", sbottò nervoso, mettendosi all'istante sulla difensiva.
    La prima volta che aveva incontrato Smaug si era ritrovato a scegliere tra se stesso e i suoi cari. Da quel momento non lo aveva più rivisto - dopo averlo 'ucciso' era scomparso, lasciandolo solo in preda alla confusione ed alla paura, insieme a tutti gli altri problemi dei vampiri -, per quel motivo quella seconda ed improvvisa apparizione non prometteva nulla di buono.
    " Dovresti salutare con un po' più d'affetto il tuo creatore.", ribatté Smaug, scrutandolo da capo a piedi.
    Kilian non rispose, restando fermo nella sua posizione pronto a reagire al minimo movimento dell'altro.
    " Che figlio ingrato.", sospirò teatrale l'altro vampiro, riuscendo a strappare un basso ringhio al più giovane. " Ti toglierei la testa se non fossi così prezioso..."
    Quell'affermazione stupì non poco Kili.
    Prezioso?
    " Che... che stai dicendo?", domandò incerto.
    " Sei sopravvissuto a lungo, oltre ogni aspettativa... e non ti nutri neanche di sangue. Questo ti rende... interessante.", Smaug iniziò a camminare lentamente, girando attorno a Kilian come per poterlo studiare meglio. " Un po' di sangue potrebbe... trasformarti in una bestia?"
    " No... non intendo toccare neanche una sola goccia di sangue!", rispose Kilian con decisione, seguendo con lo sguardo i movimenti dell'altro.
    " Quale forza ti spinge ad un tale abominio?", domandò Smaug.
    " Non voglio uccidere ancora!", ribatté Kili. " È quello il vero abominio."
    " Puoi dire ad un leone di non cacciare? Ad uno squalo di non seguire l'odore del sangue della sua preda? Non è forse una crudeltà costringere queste splendide creature al digiuno?", gli fece presente il vampiro più anziano.
    " Io... io sono diverso."
    " Oh... questo lo so.", sorrise Smaug. " Perché tu sei mio~", aggiunse soffiando quelle parole direttamente nell'orecchio di Kilian che, stupito dall'improvvisa vicinanza - era veloce, molto più di lui - fece un balzo in avanti.
    " Non lo sono!"
    " Ti ho creato io."
    " Te ne sei andato! Mi hai lasciato solo! Hai... hai perso ogni diritto! Anzi: non ne hai mai avuti!", precisò.
    " Ti ho solo dato l'opportunità di crescere più velocemente.", spiegò il vampiro con calma. " Ed ora mi servi. Vengo a reclamare la tua fedeltà."
    Per un attimo Kili fu quasi tentato dal chiedergli il motivo di quell'interesse - per cosa gli serviva? -, ma il buon senso ebbe fortunatamente la meglio sulla curiosità.
    " Non ti sarò mai fedele! Ora va via!", esclamò con decisione.
    " Neanche se ti ponessi davanti ad una scelta?", domandò Smaug malizioso, e Kilian si ritrovò letteralmente congelato.
    Il nome di Fillian gli balenò subito in mente, lasciandosi sfuggire un basso: " No..."
    Non poteva accadere ancora. Non poteva scegliere tra l'umanità che stava lentamente recuperando e la persona che amava... perché era Fili stesso la sua umanità. Era la sua esistenza che ormai gli permetteva di continuare con quel digiuno forzato.
    " Fillian, vero?", continuò l'altro vampiro. " Vi ho tenuto d'occhio. Eri così... innamorato, che non ti sei neanche reso conto della mia presenza."
    " Non... osare avvicinarti a Fili!", ringhiò pronto ad attaccarlo.
    " Mi stai minacciando?"
    " Non costringermi a farlo.", ribatté Kilian.
    " Sai come si uccide un vampiro?", domandò Smaug vagamente divertito. " Pensi di poter uccidere... me?"
    " Sì!"
    Cercò di apparire più sicuro di quanto non lo fosse. Non aveva mai ucciso un suo simile ma per proteggere Fili, avrebbe fatto di tutto.
    Smaug, ovviamente, trovava quella sua posizione quasi comica e, mostrando ancora una volta la sua velocità e forza, afferrò il giovane vampiro per il collo, costringendolo contro il muro.
    Kili si dimenò, cercando di liberarsi da quella ferrea presa che lo aveva colto impreparato.
    " Hai tempo fino a domani, Kilian. Sai... potrei far diventare il tuo amato Fillian uno di noi.", sussurrò.
    " N-non... t-toccarlo!"
    " Già... sarebbe un regalo troppo prezioso per te.", constatò Smaug, avvicinando poi le labbra all'orecchio di Kili. " Sarà ugualmente un piacere assaggiare il suo sangue e privarlo della vita... se vuoi proteggerlo devi fare la scelta giusta, Kilian. Hai tempo fino a domani.", ripeté piano, poco prima di colpire il capo del giovane vampiro facendogli perdere i sensi.



    Kilian si risvegliò solo parecchie ore più tardi disteso scompostamente sul pavimento del fabbricato abbandonato.
    Era confuso e gli doleva non poco la testa, tant'è che la prima cosa che fece fu cercare il cellulare e portarlo davanti al viso.
    Erano le nove di sera e Fili non gli aveva ancora mandato nessun messaggio...
    " Fili...", mormorò aggrottando le sopracciglia per poi riscuotersi rendendosi conto della gravità della situazione.
    Il suo Fillian era in pericolo! Doveva fare qualcosa prima che Smaug...
    Scosse il capo. Non voleva neanche pensare all'eventualità che accadesse qualcosa al suo compagno.
    Si alzò quindi di scatto in piedi, e correndo verso l'esterno del fabbricato, digitò il numero di Fillian attendendo in linea.
    " Rispondi. Rispondi. Rispondi, ti prego Fili...", mormorò spaventato e preoccupato, ascoltando il telefono squillare.
    Ogni secondo era prezioso, e più Fili esitava a rispondere più la preoccupazione prendeva piede nell'animo di Kilian.
    Tirò quasi un sospiro di sollievo quando sentì il suo compagno accettare la chiamata.
    " Fili! Come stai? Ti prego non riattaccare! Sei... sei in grave pericolo!", esclamò senza neanche attendere un "pronto" o qualche insulto per averlo chiamato - non avevano ancora chiarito, in fondo.
    Non giunse alcuna risposta, solo il silenzio.
    " Qu-questa situazione è colpa mia.", riprese Kilian agitato. " Mi dispiace... mi dispiace tantissimo! N-non intendevo metterti in pericolo ma... ma sto venendo da te ora! E ti spiegherò tutto. Tu cerca solo di... non invitare nessuno a casa. I vampiri non possono entrare in edifici privati senza invito.", si raccomandò continuando a correre.
    " Troppo tardi, Kilian."
    Smaug.
    Ancora una volta la voce del vampiro gli donò un brivido.
    “ Che cosa hai fatto a Fili?”, esclamò continuando a correre, ripetendosi di essere ancor più veloce.
    “ Ti sto solamente donando un... incentivo.”, rispose Smaug semplicemente. “ E tranquillo... il tuo amato sta bene. Ha un bel caratterino...”
    Lo sapeva. Sapeva benissimo che il suo Fillian era un osso duro e che si sarebbe battuto prima di farsi sottomettere da uno come Smaug... ma quest’ultimo non era un uomo qualsiasi: era un maledetto vampiro.
    “ Non gli sarà torto un capello se farai la scelta giusta.”, concluse Smaug prima di lasciar cadere la linea, costringendo Kilian a correre se possibile ancor più veloce. E quando arrivò all’appartamento, che fino alla settimana prima era la sua dimora, gli parve quasi di sentire le sue gambe cedere per il dolore.
    Non aveva mai fatto un simile sforzo, ed anche se era un vampiro il suo corpo non si era mai spinto fino a quel punto.
    Percorse le scale a tre a tre, fermandosi - come se fosse davanti ad un muro - dinnanzi alla porta aperta.
    Fili lo aveva cacciato. Senza un invito non poteva entrare.
    “ Fillian!”, lo chiamò a gran voce, sperando di sentire in risposta quella del suo amante. “ Fammi entrare!”
    Restò in silenzio, facendo scorrere lo sguardo sul breve corridoio dell’appartamento che dava subito alla sala da pranzo.
    Nessun segno di lotta. Era tutto proprio come lo aveva lasciato la settimana prima - poteva addirittura vedere per terra la sacca e l’arco che aveva lasciato quando era rientrato prima che tutto cambiasse -, ritrovando a mordersi le labbra quando sentì dei passi che accompagnarono al comparsa di Fillian e Smaug.
    Fili era teso e zoppicava - quel maledetto lo aveva ferito, e quella constatazione non fece altro che far alterare Kili -; al contrario, il vampiro sembrava divertito da quella situazione anche se portava sul volto pallido il segno di un pugno forse - Fillian si era ovviamente battuto.
    “ Ben arrivato, Kilian.”, lo accolse gentilmente Smaug.
    “ Lascialo andare! Tu vuoi me! Fili non centra niente con noi due.”, dichiarò Kili, cercando di entrare inutilmente nell’abitazione.
    “ Sai, pensavo di cambiare.”, riprese placido il vampiro, annusando il collo di Fillian che tremò stringendo i denti per trattenersi dal fare qualsiasi mossa - Kilian era certo che Smaug gli avesse imposto quel silenzio, un movimento e sarebbe morto. “ I suoi capelli mi ricordano l’oro... e per la mia causa mi servirebbe qualche altro giovane e forte ragazzo disposto a sottostare ai miei ordini.”
    “ Lascialo fuori da tutto questo! Puoi... puoi prendere chiunque! Ma Fili non devi toccarlo!”, ringhiò il vampiro più giovane.
    “ Pensi che non sappia quanto sia difficile per te resistere alla tentazione di affondare i denti nella sua morbida pelle?”, insinuò Smaug, afferrando Fillian per i capelli. Gli fece inclinare il capo con decisione, mostrando a Kili il collo scoperto dell’altro.
    “ Sarebbe tutto più semplice se lui fosse come noi. Potreste vivere insieme per l’eternità. Dominare quest’insulsa terra di mortali, ottenere tutte le ricchezze che desiderate...”, continuò il vampiro percorrendo con l’unghia la pelle tesa del giovane, aprendo una piccola ferita che rubò in lamento di Fili.
    La vista del sangue fece tremare Kilian, ma il disgusto e l’odio che provava per Smaug insieme al terrore per la sorte di Fillian, gli impedirono di sentire la necessità di nutrirsi.
    Fili era più importante di qualsiasi altra cosa.
    “ Lascialo!”, esclamò ancora, cercando disperatamente di entrare e di battere quel muro invisibile che gli impediva di aiutare il suo compagno.
    Se solo lo avesse invitato...
    “ Pensaci. Potreste essere felici e ricchi. Non do a tutti questa opportunità...”, continuò Smaug, leccando lentamente il sangue dalla ferita di Fillian che, tremando per quel gesto, trovò impossibile non reagire.
    Sapeva che sarebbe potuto morire - Smaug lo aveva minacciato -, ma non si sarebbe mai arreso senza combattere né avrebbe permesso a Kilian di fare qualcosa contro la sua volontà.
    Aveva pensato a lungo a quella situazione, e mai in quei mesi il suo compagno lo aveva messo in pericolo. Era sempre stato attento - in quell’istante pure il fatto che esitasse davanti al sesso sembrava prendere un altro significato - e l’idea che potesse diventare crudele e spietato come quell’altro vampiro lo terrorizzava.
    Tirò indietro la testa si scatto, colpendo il viso vampiro che, colto di sorpresa - era troppo interessato a Kilian e al sangue che aveva appena assaggiato -, lo lasciò andare.
    Ignorò il dolore alla gamba ferita nella breve e inutile colluttazione avuta con Smaug appena mezz’ora prima, quando aveva fatto la figura dell’idiota nell’invitarlo ad entrare a casa - certo, non sapeva chi fosse e si era presentato come un avvocato... non poteva pensare che fosse ‘il creatore’ di Kili -, e tentò di correre verso il suo compagno.
    Tuttavia il vampiro non era uno sprovveduto ed afferrandolo ancora lo sbatté al muro stringendogli la gola in una ferrea presa che costrinse Kili a scontrarsi contro quello che sembrava essere un muro invisibile che gli impediva di entrare.
    “ Lascialo! Fammi entrare e battiti con me!”, gridò Kilian e Fili, rivolgendogli un’occhiata quasi disperata, tentò di chiamarlo per invitarlo ad entrare, ma riuscì solo ad emettere un basso rantolo reso soffocato dalla stretta di Smaug che si era fatta più decisa.
    “ Mi hai fatto arrabbiare.”, sibilò il vampiro, la sua voce era diversa. Non suonava più tranquilla e divertita, ma irosa ed i suoi occhi - qualche attimo prima quasi felini - sembravano essere affogati nell’oscurità.
    Due globi neri lo fissavano mozzandogli quel poco fiato che gli rimaneva, lasciandolo addirittura sordo ai richiami disperati di Kili.
    “ Hai appena scelto la morte.”, dichiarò Smaug e, liberandogli il collo, andò ad affondare i denti acuminati nella pelle scoperta.
    Urlò per la sorpresa ed il dolore, tentando di scalciare e divincolarsi senza però riuscire a liberarsi.
    “ Fili! Fili!”, solo la voce di Kilian parve riscuoterlo per qualche istante, e mentre sentiva le forze e le energie scivolargli via, riuscì a rantolare un basso: “ Entra.”, che spezzò le catene che impedivano al suo compagno di attraversare l’appartamento.
    Kili si lanciò subito come una furia sul corpo di Smaug, allontanandolo da quello di Fillian che si accasciò per terra in un lamento.
    Anche i suoi occhi si erano tinti di nero e, guidato dalla furia omicida, iniziò a colpire con tutta la rabbia che aveva in corpo il vampiro.
    Aveva osato toccare il suo Fili. Lo aveva morso... non lo avrebbe mai potuto perdonare.
    Come si uccideva un vampiro?, si chiese mentre veniva colpito a sua volta dalla reazione di Smaug che lo costrinse a cadere sul tavolo della sala da pranzo che si spezzo sotto il suo peso...
    Un paletto piantato nel cuore. Il fuoco. O anche tagliargli la testa.
    “ Sei forte, ma non abbastanza.”, sibilò il vampiro, torreggiando sul corpo dolorante del più giovane che, ripetendosi ancora e ancora i modi per ucciderlo - paletto, fuoco, testa -, reagì colpendolo sulle gambe.
    Erano entrambi veloci, Smaug sicuramente più di lui ed anche decisamente più esperto, ma Kili non si sarebbe arreso fino a quando non avrebbe vendicato Fillian.
    Riuscì a farlo cadere per terra, tentando di afferrare uno dei piedi spezzati del tavolo per utilizzarlo come paletto, venendo però bloccato da un urlo che lo costrinse a voltarsi verso la porta.
    Una delle vicine, una donna anziana che aveva sempre avuto a cuore quei due ragazzi del primo piano, stava ferma sulla porta.
    Era stata attirata dai rumori e, pallida come un cencio per ciò che aveva appena visto - Fili per terra insanguinato e Kili che si batteva contro il suo aggressore - non era riuscita a trattenere un urlo disperato.
    Quell’attimo di distrazione permise a Smaug di colpire Kilian e di rialzarsi puntando la signora. Presto sarebbero arrivati altri spettatori, forse la polizia... e quel testimone doveva essere fatto fuori.
    “ V-vada via!”, gridò Kili cercando di alzarsi, sperando che l’anziana donna scappasse.
    La signora arretrò, pronta a scappare per allarmare le autorità.
    “ Non le permetterò di andare via.”, sibilò Smaug, percorrendo il breve corridoio con passi lenti e controllati, bloccandosi quando la donna - terrorizzata - iniziò a pregare.
    Aveva visto il demonio - quegli occhi privi di colore, il sangue - ed era stata l’unica cosa che era riuscita a fare e che, miracolosamente, riuscì a fermare il vampiro.
    Quelle parole infatti lo costrinsero a chiudere gli occhi, arrestando la sua marcia quasi intontito.
    Kili stesso rimase un po’ debilitato da quella reazione e dalle parole sacre della donna, ma riuscì ugualmente a reagire - non erano dirette a lui e... doveva uccidere Smaug.
    Si guardò attorno disperato, andando ad afferrare l’unica arma che poteva utilizzare il quel momento. Si mosse veloce, e chiudendo gli occhi per cercare di non sentire le preghiere della sua vicina, andando ad afferrare il corpo di Smaug, tirandolo verso di sé grazie alla corda tesa del suo arco.
    Il vampiro emise un verso soffocato e stupito, portando subito le mani al collo per allontanare quel fine filo che andava a premere con forza contro la sua gola.
    “ L-lasciami...”, ringhiò Smaug, ma Kilian, stringendo i denti per lo sforzo, non allentò la presa. Ignorò completamente la donna - che, forse per istinto, scappò via urlando ancora alla ricerca di un aiuto - per concentrarsi invece sul vampiro.
    “ La-lasciami... Kilian...”, sibilò ancora l’altro ma il più giovane non disse niente.
    Nessuna frase ad effetto o vendicativa, si limitò semplicemente ad alzare il piede per dare un calciò alla schiena del suo avversario mentre tirava indietro l’arco con tutte le sue forze.
    Smaug non riuscì neanche ad emettere un lamento mentre la corda tagliava di netto la testa, facendolo cadere sul pavimento come una marionetta senza fili.
    Anche Kili si ritrovò per terra, sbilanciato dalla forza che aveva utilizzato per colpire il vampiro, osservando poi quest’ultimo diventare rapidamente cenere.
    Sospirò e rivolse subito il suo sguardo a Fili.
    " E-ehi Fili...", si trascinò tremante vicino al corpo del suo compagno.
    Il sangue della ferita di Fillian lo nauseava, ma la sua mente non pensava a quelle sensazioni. Non gli importava niente, se non la salute del suo amante.
    " Fillian?", lo chiamò ancora, prendendogli la mano e trovandola fredda come la sua.
    Il suo stomaco si attorcigliò davanti a quel gelo, diverso dal naturale calore di Fili.
    " Apri gli occhi... ti prego...", mormorò, scuotendolo prima con delicatezza poi con crescente disperazione. " Fillian!"
    Con orrore notò che la ferita sul collo aveva ormai smesso di sanguinare, come se... se non ci fosse più linfa vitale in lui.
    Lo chiamò ancora e ancora, restando accanto al suo corpo esanime per dei minuti quasi interminabili, aspettando e sperando di vederlo riaprire gli occhi da un momento all'altro.
    Non gli importava come, che Fillian fosse un vampiro o meno, Kilian voleva semplicemente vederlo 'vivo'. Ma non accadde.
    Smaug non si era limitato a morderlo, lo aveva ucciso davanti ai suoi occhi.
    Colui che lo aveva ucciso una volta, aveva fatto in modo di privarlo ancora di tutto ciò che aveva di più caro.
    " Fillian... mi dispiace...", mormorò, lasciando spazio alle lacrime e all'antico pensiero del suicidio che per anni era stato un chiodo fisso nella sua esistenza.
    Si sarebbe mai ricongiunto a Fillian? Sarebbe mai riuscito a farsi perdonare per non averlo protetto?
    Afferrò tremante il piede del tavolo che aveva pensato di utilizzare come paletto per uccidere Smaug, portandolo al petto e premendovi contro le punte irregolari.
    Chiuse gli occhi, pronto a togliersi la vita... ma le sue mani iniziarono a tremare quasi violentemente impedendogli di muoversi e di compiere quel gesto.
    “ Dai...”, ringhiò stringendo i denti, ma il suo corpo continuava a rifiutare quel gesto, costringendolo a lasciar cadere il piede del tavolo per terra.
    Come tante altre volte in passato, si era ritrovato privo di forza e di coraggio per portare avanti quei suoi propositi.
    Perché per quanto fosse cresciuto, Kilian non sarebbe mai riuscito a togliersi la vita.
    Era coraggioso al punto da compiere sciocchezze e da mettere davanti ad ogni singola cosa il bene degli altri, ma non lo era abbastanza per scrivere la parola fine alla sua esistenza.
    Neanche quel dolore, troppo grande per essere descritto, riusciva a smuoverlo.
    Neanche la vista del corpo privo di vita di Fillian ci riusciva.
    Niente.
    Perché forse la morte era una via troppo semplice per non soffrire, e lui si meritava tutte le pene di quella terra per ciò che era successo.
    Forse era solo una scusa - ne era pienamente consapevole -, ma fu con quella convinzione che riuscì ad abbandonare Fillian.
    Si alzò e, rivolgendo un’ultimo saluto alla persona che più aveva amato in quel mondo - sperando che i soccorsi chiamati dalla sua vicina arrivassero presto per poterlo portare in un luogo migliore -, si allontanò dall’abitazione, portando con sé il peso della sua codardia e di quell'amore, che aveva causato solo morte e dolore.




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