Posts written by #Michelle

  1. .
    Titolo: Guess who
    Fandom: RPF Attori
    Personaggi: Max Martini, Robert Kazinsky
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, PhoneSex
    Conteggio Parole: 1350
    Prompt: Max Martini/Robert Kazinsky, PhoneSex
    Note: 1. Scritta per il p0rnfest #7.
    2. Tutti sanno la vicenda nella quale era stato coinvolto Rob… beh, il lupo perde il pelo ma non il vizio LOL
    3. Come sempre la dedico al mio amore<3
    4. Non betata ç_ç<3





    Max si rese conto di non aver spento il cellulare solo quando questo iniziò a squillare facendolo balzare sul letto.
    Normalmente lo avrebbe spento, rimandando ogni messaggio all'indomani mattina, ma quando lesse il nome che appariva sul display, qualcosa gli disse che non avrebbe potuto semplicemente staccare il cellulare.
    Il testo del messaggio che gli aveva mandato Rob Kazinsky riportava solo due semplici parole:

    " Indovina chi"

    Max sospirò, passandosi una mano sul viso, pentendosi sin da quel momento per la scelta appena fatta.

    " Cosa?"

    Digitò quella risposta senza troppo interesse, attendendo poi quella dell’altro che non tardò ad arrivare.

    " Chi è eccitato~"

    Quelle parole erano accompagnate da una foto che ebbe lo straordinario potere di svegliare del tutto Max.
    Sgranò gli occhi, avvicinando istintivamente il cellulare al volto come per poter osservare meglio la foto che ritraeva una mano - quella di Rob -, stretta attorno ad un sesso semi eretto.
    Fissò quello scatto senza riuscire a distogliere lo sguardo, incapace anche solo di ignorare i brividi che si stavano riversando tra le sue gambe.
    Il cellulare però suonò ancora, costringendolo a chiudere la foto per leggere un nuovo messaggio da parte del suo collega.

    " Hai indovinato?"

    Max si morse le labbra, rispondendo poi con un secco:

    " Sì".

    Sin dall'inizio era stato quello l'obiettivo di Robert - era palese, maledizione -, e l'esserci cascato lo faceva sentire un vero e proprio idiota.
    Il cellulare suonò ancora, ma al contrario delle precedenti volte quella risultò essere una chiamata.
    Esitò, incerto se rispondere o meno, poi lasciandosi sfuggire un sospiro portò l'apparecchio all'orecchio dopo aver premuto il tasto verde sul touchscreen.
    « Ehi», rispose.
    « Mi sto toccando~», dichiarò Rob con voce bassa e roca.
    Non un saluto. Non un: ‘Come stai?’ o ‘Ti ho svegliato?’.
    Solo quelle tre parole che ebbero il potere di rubare un mezzo gemito al più grande, costringendolo addirittura a chiudere le gambe come per trattenersi.
    « Rob...»
    « Vorrei che fosse la tua mano», continuò la voce nell'orecchio di Max, accompagnata da dei sospiri ben più chiari, e per quanto Martini volesse resistergli - se lo ripeteva ogni singola volta -, Robert riusciva sempre a portarlo alla resa.
    « Sei un maledetto bastardo, lo sai vero?», sbottò passandosi ancora una mano sul volto.
    Rob ridacchiò.
    « Lo so eccome», rispose sincero Kazinsky, « Ma so che ti piace», aggiunse.
    « Perché non molli quel telefono e vieni in camera mia?», ribatté Max, ignorando quell’insinuazione fin troppo veritiera.
    « Perché al telefono hai una voce troppo sexy~», ammise Robert, emettendo poi un gemito che fece tremare l’altro, « Potrei venire solo sentendoti ansimare al telefono».
    « Cristo santo…»
    Non si trattenne e fece scivolare la mano libera tra le gambe, stringendola sulla stoffa dei boxer come per trovare un poco di sollievo al principio d’erezione che lo stava già facendo impazzire.
    « Max… ti prenderei in bocca e ti ascolterei gemere per me…», continuò Rob con voce sempre più roca e bassa, « So quanto ti piace quando te lo succhio...»
    Martini strinse ancora le dita attorno al suo sesso, mugugnando per quelle parole che gli riportavano alla memoria dei ricordi fin troppo vividi.
    « Ti stai toccando?», chiese Kazinsky, « Stai immaginando la mia bocca sul tuo cazzo, vero Max?»
    « N-non eri tu quello che diceva di… hn… essere un ragazzo dolce?», sbottò Martini rubando una risata all’altro.
    « Oseresti dire il contrario?»
    « S-sì», ammise con imbarazzo, muovendo la mano sopra la stoffa, « Sei un bastardo…»
    « Ahh… ti stai ripetendo~», cinguettò Rob gemendo ancora e costringendo Max a superare l’ostacolo dei boxer per stringere la mano attorno all’erezione, iniziando a carezzarla.
    Si era arreso troppo facilmente e con una velocità quasi imbarazzante.
    « Vuoi sentirmi mentre mi fotto con le dita?», domandò il più giovane, ansimando ancora nell’orecchio di Martini.
    « S-sì…»
    Max non aveva mai fatto ‘sesso telefonico’ - a dirla tutta non aveva neanche mai scopato con un uomo prima di conoscere Robert -, ma quasi non sentiva il bisogno di toccarsi nel sentire il suo compagno parlare in quel modo. Per lui quelle sensazioni erano del tutto nuove… ma non per questo meno piacevoli.
    Sentì dei vaghi rumori di spostamento dall’altra parte della linea, poi di nuovo la voce roca e calda di Rob che tornò a carezzargli l’orecchio.
    « Sono a carponi sul letto… ed aspetto che tu mi fotta», sussurrò e a Max bastò semplicemente chiudere gli occhi per immaginarlo.
    Conosceva quel corpo ormai. Sapeva come e dove toccarlo. Sapeva cosa piaceva a Rob - e quest’ultimo sapeva quello che piaceva a lui. E basto quello per ‘farlo stare al gioco’.
    « Sai come mi piace», dichiarò continuando a tenere gli occhi chiusi e a muovere lentamente la mano sulla sua erezione, « Leccati le dita».
    « Mh-mh», Rob assentì alla cornetta e pur non potendolo vedere, Max immaginò il giovane infilarsi l’indice ed il medio in bocca, iniziando a succhiare e a leccare le falangi.
    Sospirò rumorosamente senza fermarsi.
    « Piano», riprese a parlare, « Ti carezzerei lentamente, senza fretta. Aspetterei di sentire il tuo corpo desiderarmi prima di fotterti».
    « Quando fai così... s-sei uno stronzo», ribatté Rob.
    Martini sorrise tra sé e sé, dando mentalmente ragione al giovane. Forse per incertezza o per effettiva 'stronzaggine' - per usare i termini di Kazinsky -, lui era solito prendersi parecchio tempo per stuzzicarlo e prepararlo a dovere... e Rob detestava dover attendere.
    « Con l'indice», riprese a parlare, « Muovilo attorno all'apertura».
    Ascoltò il giovane respirare nel suo orecchio, mugugnando qualcosa che non riuscì a comprendere.
    « Continua così, b-bravo ragazzo», lo incoraggiò, sfregando il pollice sul glande ed emettendo un basso gemito.
    « Posso... prendere più di un dito», rispose Kazinsky con voce roca.
    « Lo so», ammise Max, aggiungendo poi un: « Ma... n-non sarebbe divertente», che strappò a Robert un lamento.
    « Potrei farlo», sussurrò, « E tu non lo... nh... potresti sapere».
    « Ma non lo farai», sentì Rob sospirare, « Non lo farai... f-fino a quando non ti dirò di farlo», lo avvertì con calma, ricevendo in risposta un'imprecazione che lo fece quasi sorridere.
    Entrambi smisero per qualche attimo di parlarsi, lasciando che fossero i loro gemiti a riempire quel vuoto, e solo quando Max si ritenne soddisfatto decise di riaprire bocca.
    « Puoi aggiungere un dito, Robert», mormorò, stringendo la presa sul suo sesso al solo pensiero e facendo calare ancora il silenzio, spezzato dai gemiti del giovane che sempre più frequenti e vogliosi penetravano nelle sue orecchie.
    Continuava a tenere gli occhi chiusi, immaginando le espressioni di Rob ed i movimenti del suo corpo mentre raggiungeva il limite.
    Magari aveva già iniziato a masturbarsi, incapace di resistere, e presto anche Max non poté far altro che muovere il bacino verso la propria mano, rispondendo ai gemiti di Rob con i suoi.
    « M-Max», ansimò il giovane, « Più... ah... forte».
    L'uomo annui con il capo furiosamente, aumentando il ritmo delle sue carezze.
    « M-Max!», esclamò con più urgenza Kazinsky e Max si costrinse a ritrovare la voce che gli era improvvisamente mancata.
    « S- sì», ansimò, « Più v-veloce…»
    Gemettero entrambi.
    Max sentì Robert mugugnare ancora il suo nome con necessità più e più volte, e lui stesso guidato dal bisogno rese le sue carezze ancor più rapide. Quasi febbrili.
    Poi accadde tutto fin troppo velocemente.
    Sentì un gemito sollevato provenire dalle labbra di Robert, seguito subito da un brivido che gli percorse la schiena fino a riversarsi tra le sue gambe.
    Sfregò ancora la mano, gemendo senza alcuna vergogna fino a raggiungere a sua volta l'orgasmo.
    Crollò sul letto senza più forze, con gli occhi ancora chiusi ed il telefono abbandonato sul cuscino, accanto all'orecchio.
    Ascoltarono i loro respiri diventare lentamente regolari e quando Max riaprì gli occhi e guardò l'orologio, non poté fare a meno di stupirsi quando si rese conto che tra meno di tre ore si sarebbero dovuti presentare sul set.
    « Ti rendi conto di che ore sono?», domandò, riprendendo in mano il telefonino.
    « Ti è piaciuto, Max. È inutile che ti lamenti», ribatté Rob, con un tono chiaramente stanco ma soddisfatto.
    « Okay okay», mormorò sorridendo, « Ma la prossima volta-»
    « Che porco», lo bloccò subito Robert, « Sei venuto neanche un minuto fa e già pensi alla prossima volta!»
    Max non riuscì a trattenere una risata esausta ma anche un poco divertita, seguita subito da quella di Rob dall’altra parte dell’apparecchio.
    « Basta cellulari, okay? Preferisco il buon vecchio sesso», riprese.
    « Okay, 'papà'~»




  2. .
    Titolo: Did you miss me?
    Fandom: Shadowhunters
    Personaggi: Lucian Graymark, Valentine Morgenstern
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, HandJob, Bondage, Dub-Con, Movieverse
    Conteggio Parole: 2105
    Prompt: Lucian Graymark/Valentine Morgenstern, “Ti sono mancato?”
    Note: 1. Scritta per il p0rnfest #7.
    2. Come sempre la dedico al mio amore<3




    Per quanto la situazione fosse critica, Luke convenne sin da subito che in quelle condizioni la cosa giusta da fare fosse mantenere la calma.
    Agitarsi non lo avrebbe portato da nessuna parte - forse avrebbe creato solo nuove ferite sui suoi polsi già martoriati dai precedenti tentativi di fuga -, e per quanto fosse preoccupato, dentro di sé sentiva che Clary era riuscita a mettersi in salvo.
    Si era stupito non poco quando la ragazza era apparsa durante il suo 'interrogatorio' e non era riuscito ad ignorare lo sguardo ferito e sconvolto che aveva letto quando aveva incrociato i suoi occhi.
    Sapeva di averla ferita, ma con le sue parole aveva sperato di proteggerla da Valentine.
    In ogni caso, con lei era apparso anche un altro giovane, chiaramente uno Shadowhunter, e quello lo rincuorava non poco - Clary non era sola ed era anche protetta.
    Tuttavia, nonostante quella sicurezza, avrebbe ugualmente tentato di tenerla d'occhio... o almeno l'avrebbe fatto una volta libero, il che lo portò a sperare che Alaric, notando la sua assenza, lo raggiungesse presto.
    Sospirò, lasciandosi andare sullo schienale della sedia.
    Con la sua forza avrebbe potuto spezzare facilmente quelle manette, ma in esse vi era una minima quantità d'argento ed ogni tentativo gli causava non poco dolore - per non parlare del fatto che le ferite da argento ci mettevano il doppio a guarire.
    Rimase quindi immobile per limitare i danni, cercando nel mentre di tenere la mente occupata su quanto sarebbe accaduto il futuro. Un rumore all'ingresso però lo costrinse a bloccarsi.
    Era arrivato qualcuno.
    In cuor suo sperò ardentemente di veder apparire un membro del suo branco, ma l'olfatto lo mise subito in guardia, tant'è che non poté non cercare di scattare in piedi - strattonando le manette.
    Quell’odore, così familiare, lo fece tremare e quando vide apparire Valentine - il tempo sembrava non aver intaccato il suo aspetto - non riuscì ad impedirsi dal provare una forte ondata di rabbia ed anche un pizzico di terrore dinnanzi al suo ex parabatai. Ma nonostante quei sentimenti contrastanti, Luke tentò ugualmente di far trasparire solo l'ira quando questo si rivolse a lui.
    « Non credevo di trovarti in queste condizioni», constatò Morgentern, piegando le labbra in un sorriso soddisfatto.
    Luke non rispose, limitandosi a rivolgergli invece uno sguardo torvo che non impensierì minimamente Valentine. Si avvicinò infatti a lui, lento ed elegante, chiaramente compiaciuto dalla situazione.
    « Dove si trova la Coppa, Lucian?», domandò, piegandosi in avanti fino a posare le mani sulle manette e a soffiare sulle sue labbra quella semplice domanda.
    Il licantropo tremò. Ancora una volta la rabbia si affacciò nel suo sguardo ma venne tuttavia seguita da un bagliore d'aspettativa causato dalla vicinanza di Valentine.
    Tentò di trattenersi e di non reagire alla sua presenza, ma quel vecchio legame - seppur spezzato dal tradimento - lo fece fremere di nuovo.
    « Non rendere le cose più complicate, Lucian», proseguì Valentine, chiudendo il pugno attorno ai suoi capelli, « Sai, potrei anche chiudere un occhio riguardo al fatto che non sei morto quando dovevi».
    Le sue parole, calme e pronunciate con un tono quasi dolce, si scontrarono con i suoi gesti ben più violenti, e per quanto Luke volesse ancora mantenere il controllo non riuscì a non digrignare i denti.
    Si impose di nuovo il silenzio, dando però un altro scossone alle manette che lo tenevano bloccato a quella sedia - un gesto stupido che servì solo a riaprire le ferite che pian piano stavano guarendo.
    « Dovevi morire quella volta», riprese Valentine, continuando a soffiare quelle parole sulle labbra del licantropo, « Ti avevo dato l'opportunità di toglierti la vita e di evitare tutto questo».
    « La verità è che sei un codardo», sbottò Luke senza trattenersi, rivolgendogli un'occhiata cupa, « Non hai avuto il coraggio di uccidermi dopo avermi condannato».
    Valentine tuttavia non parve arrabbiato da quella risposta, anzi: gli rivolse un sorriso soddisfatto.
    « Eri il mio braccio destro», ribatté con calma, come se quello spiegasse ogni singola cosa. Luke però si mosse ancora irrequieto, trattenendosi dal gridargli contro tutte quelle domande che si stavano affollando nella sua mente.
    Era davvero 'solo' il suo braccio destro? Non era stato nient'altro?
    Si insultò mentalmente per quei dubbi, ma soprattutto per quei sentimenti che, anche a distanza di anni, continuavano a perseguitarlo. Era legato a Valentine, e suo malgrado lo sarebbe stato fino alla morte.
    Detta in quel modo, sembrava tanto la promessa di un matrimonio dei mondani, ma era ben diverso. Loro erano stati parabatai e, ancor prima di quello, amici e amanti.
    Il loro era un legame difficile da spiegare, ma di una cosa Luke era certo: lo aveva amato quasi quanto aveva sempre amato Jocelyn.
    « La Coppa, Lucian. Dimmi dov'è nascosta», insistette Valentine qualche attimo dopo, ma il licantropo continuò a non rispondere.
    La presa sui suoi capelli divenne più decisa dinnanzi al suo forzato silenzio e per quanto Luke fosse consapevole di essere in grado di resistere ad altre percorse - Pangborn e Blackwell non c'erano andati leggeri -, il fatto che potesse essere Valentine stesso a fare il 'lavoro sporco' lo preoccupava.
    « Lucian», sibilò, spingendo una gamba tra quelle del licantropo per costringerlo ad allargarle un poco, come se volesse fargli comprendere di essere totalmente alla sua mercé, « la Coppa. So che sai dove si trova. Consegnamela e potresti rivedere Jocelyn».
    Luke, dimenticando la posizione nella quale si trovava, reagì subito nel sentire quel nome, ringhiando e scattando in avanti come per colpirlo, riuscendo però solo a rubargli un ghigno compiaciuto.
    Morgenstern aveva premuto il tasto giusto, ne erano entrambi pienamente consapevoli.
    « A quanto vedo, non hai intenzione di parlare», constatò quasi divertito Valentine, lasciando la presa sui capelli di Luke, il quale trattenne il respiro certo di non potersi concedere neanche un pizzico di sollievo.
    Valentine era cambiato da quando lo aveva conosciuto - o aveva semplicemente rivelato il suo vero aspetto -, ma il licantropo lo conosceva abbastanza bene da comprendere che non aveva finito con lui.
    Quell'uomo era abituato ad ottenere tutto quello che desiderava, non gli era mai importato il mezzo con il quale avrebbe raggiunto il suo fine.
    Si preparò mentalmente ad incassare altri attacchi, forse ben più dolorosi e violenti di quelli subiti dai due leccapiedi di Valentine, ma quando sentì le mani di questo scivolare sui suoi pantaloni, ogni sua convinzione parve pronta a venir meno.
    Si mosse nervoso sotto quella carezza, rivolgendo uno sguardo confuso all'altro senza potersi trattenere.
    Valentine sorrideva. Il suo viso era disteso e tranquillo, ma i suoi occhi brillavano carichi di una luce famigliare. Maliziosa.
    Luke allora si morse le labbra cercando di mostrarsi risoluto ed indifferente a quanto stava per accadere, ma quando Morgenstern lo strattonò in avanti, afferrandolo per la cintura, lo stupore cancellò ogni traccia di decisione dal suo volto.
    Il suo sedere scivolò in avanti sulla sedia costringendolo ad una posizione resa scomoda dai polsi ancora bloccati. Tentò di rimettersi seduto puntando i piedi per terra, ma i gesti di Valentine gli impedirono qualsiasi movimento.
    Gli aveva slacciato la cintura con una facilità quasi disarmante, premendo poi la mano tra le sue gambe con sicurezza.
    Luke non era eccitato, non ancora almeno, ma quella situazione vagamente familiare gli fece ricordare quanto Valentine, un tempo il suo amante, conoscesse bene in suo corpo.
    « Ti ricorda qualcosa, vero Lucian?», domandò infatti l'altro, « Come ai vecchi tempi», insistette, muovendo lentamente la mano tra le gambe del licantropo, costringendolo a mordersi ancora le labbra pur di non rispondere.
    Quel silenzio forzato si rivelò ben diverso da quello che aveva tentato di mantenere fino a poco prima.
    Aveva cercato di proteggere Jocelyn e Clary... mentre in quell'istante era il suo orgoglio quello che tentava di salvare.
    Le calme carezze di Valentine misero sin da subito alla prova il suo corpo, che al ricordo di quelle mani che un tempo gli avevano donato tanto piacere, iniziò lentamente a reagire.
    Ringhiò, imbarazzato ed arrabbiato con se stesso. Il suo corpo lo stava tradendo, e Valentine ne era pienamente consapevole - lo testimoniava quel suo maledetto sorrisetto malizioso.
    « Quanti, Lucian?», chiese l'uomo, utilizzando l'altra mano per abbassargli i pantaloni.
    Confuso dal piacere e da quella domanda inaspettata, Luke si lasciò sfuggire un basso verso.
    " Quanti?", ripeté mentalmente, muovendosi nel tentativo di ribellarsi alla mano dell'altro che lo spogliava - riuscì anche a colpirlo, ma non fu in grado di allontanarlo.
    « Dopo di me», precisò con un ghigno Valentine, « Quanti uomini ti hanno toccato in questo modo, Lucian?»
    " Nessuno", rispose Luke tra sé e sé, tentando di concentrare tutte le sue attenzioni sulla fuga, anche se sembrava sempre più distante.
    Scalciò ancora, stupito da quel pensiero così arrendevole e decidendo di riprendere a strattonare le manette con la chiara intenzione di liberarsi.
    " Al diavolo le ferite!", ringhiò rivolto a se stesso, certo che quelle sarebbero guarite prima o poi, al contrario di quello che avrebbe potuto fargli Valentine.
    Riottoso colpì ancora l'uomo, che per nulla impensierito, portò di nuovo la mano sui capelli del licantropo, costringendolo ad inclinare il capo all'indietro e a subire un bacio lento ma deciso.
    Luke mugugnò stupito per quel contatto, e suo malgrado non riuscì ad allontanare il ricordo di un altro bacio.
    Un bacio che aveva cercato di dimenticare, il cui sapore gli ricordava immensamente quell’ultimo: il primo che Valentine gli aveva donato.
    Era sempre stato Valentine quello a prendere ogni iniziativa, a partire dal momento in cui si era presentato nella sua camera con l'intenzione di farlo diventare vero cacciatore, fino alla creazione del Circolo, del quale era il leader.
    Valentine era fantastico.
    Intelligente, forte e bello. Un cacciatore perfetto, e Luke gli doveva tutto.
    Lo aveva idolatrato a tal punto che la sua giornata iniziava e si concludeva pensando a lui.
    Negli anni a seguire, Luke si era dato dello stupido per quel suo atteggiamento così carico di stima e di incondizionato affetto. Agli occhi di Morgenstern doveva essere sembrato quasi un cucciolo alla ricerca di attenzioni... per quel motivo la colpa era unicamente sua se era diventato il suo ‘cagnolino’.
    Tuttavia, il loro primo bacio - mentre si disegnavano delle rune curative dopo un combattimento nel quale erano rimasti entrambi feriti - era e sarebbe sempre rimasto un bel ricordo... nonostante il sapore di sangue che lo rendeva tremendamente simile a quello.
    « Non rendere le cose più difficili», lo redarguì Valentine, trovando finalmente il modo per stringere le dita sul sesso nudo e quasi eretto di Luke.
    Un gemito lasciò spontanee le sue labbra, e per quanto il suo corpo tentasse ancora di fuggire, ogni movimento gli apparve lento e debole.
    Era eccitato e quella situazione non lo stava aiutando.
    « M-maledetto», ringhiò, facendo sorridere Valentine.
    « Vuoi venire, Lucian?», chiese malizioso, « Ti sono mancato?»
    Rivolse il suo sguardo altrove, chiudendo gli occhi come per proteggersi, ma Valentine gli sfiorò l’orecchio con le labbra.
    « E le mie carezze? Il mio corpo contro il tuo?», insistette con falsa dolcezza. « Il mio sesso dentro di te?»
    Ogni parola, sussurrata con compiacimento e malizia, sembrava possedere l'effetto di molte altre carezze sul corpo di Luke, tant'è che ormai intontito dal piacere non poté far altro che andargli incontro.
    Cercò le labbra di Valentine quasi con necessità e questo, forse in un gesto caritatevole, gli concesse quel tanto desiderato bacio.
    « Oh sì», mormorò il Morgenstern, « Ti sono mancato».
    La palese soddisfazione nella voce di Valentine nauseò un poco il licantropo, ma quella sensazione sparì subito, venendo sostituita da altri gemiti.
    « Dimmi dove si trova la Coppa, Lucian», insistette il Cacciatore ma Luke fu solo in grado di rispondere con dei versi.
    Mosse il bacino. Umiliandosi alla ricerca di quel piacere che per troppo tempo gli era stato negato.
    Gemette, ormai sordo alle maliziose frasi dell'uomo, e quando finalmente questo gli concesse l'orgasmo, sentì le labbra di Valentine premere sulle sue per impedirgli di emettere un verso troppo alto.
    Senza più fiato, si abbandonò totalmente sulla sedia, sentendosi improvvisamente vuoto e freddo quando Valentine si allontanò da lui.
    Alzò il capo. tenendo però gli occhi socchiusi. Sapeva di avere un aspetto orribile, oltre che smarrito per quei sentimenti così sbagliati... ma non poteva fare niente per nasconderlo.
    « Oh Lucian», sospirò Valentine, afferrandolo di nuovo per i capelli, « Sembri quasi un cane bastonato».
    Un bacio bloccò il verso contrariato del licantropo.
    « Se solo collaborassi... potrei prendere il considerazione l'idea di tenerti con me».
    Luke scosse il capo, sconvolto da quell'affermazione che lo colpì come uno schiaffo, costringendolo ad affrontare la realtà e ad aggrapparsi al fatto che doveva proteggere la sua famiglia - Jocelyn e Clary.
    « Non sono... il tuo cagnolino», sbottò con voce roca, riprendendosi dal piacere per scontrarsi con la realtà.
    « Peccato», ironizzò Valentine facendo un passo indietro come per ammirare la sua opera, « Ma sei fortunato. Non ti ucciderò neanche questa volta»
    Luke cercò allora di mostrare i denti e di ringhiare come per intimorirlo, sentendosi però incapace di fare qualsiasi altra cosa.
    Come sempre, quando si trattava di Valentine.



  3. .
    Titolo: She likes to be in control
    Fandom: Pacific Rim
    Personaggi: Chuck Hansen, Mako Mori
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Avvertimenti: Oneshot, Het, Lemon, SexToy, Pegging
    Conteggio Parole: 760
    Prompt: Chuck Hansen/Mako Mori, pegging
    Note: 1. Scritta per il p0rnfest #7.
    2. Come sempre la dedico al mio amore<3




    Sta succedendo ancora una volta.
    A Chuck basta poco, solo le dita di Mako dentro il suo orifizio, per smettere di pensare in modo lucido.
    Le sente scavare dentro di sé e niente di quello che lo circonda ha più senso.
    Mako conosce i suoi limiti e sa come toccarlo. Porta la mano libera sui testicoli ed inizia a carezzarli, spostandosi poi sull’asta eretta che penzola tra le gambe aperte.
    Chuck nasconde il volto sul cuscino e non riesce a non tremare visibilmente per il piacere.
    La ragazza continua a toccarlo, silenziosa ed attenta per percepire ogni sua più piccola reazione, e quando Chuck emette un gemito più alto degli altri - sussultando e tremando da capo a piedi - Mako è certa di aver finalmente raggiunto la prostata con le dita.
    Non può non essere affascinata dal modo in cui il corpo del suo compagno si muove quando preme i polpastrelli su quel punto. Lo sente fremere, sciogliersi sotto il suo tocco... desiderare di più. E lei lo accontenta piegando le falangi e costringendo gli stretti muscoli ad allargarsi al suo passaggio.
    Muove il polso e stringe anche la presa sul sesso di Chuck che non riesce a non gemere.
    Mako adora quei versi ed il giovane, vittima di quella doppia stimolazione, si ritrova ad ansimare rumorosamente e a serrare i pugni sulle lenzuola come per trattenersi - ‘da cosa’, poi, non lo sa neanche lui.
    Si spinge verso Mako e lei si sente pienamente soddisfatta da quelle reazioni, soprattutto quando Chuck si lascia sfuggire il suo nome tra i gemiti.
    Le piace, le fa sentire il potere ed il controllo.
    Non si trattiene dal sorridere e dallo sporgersi verso il suo compagno per baciargli la spalla, sfilando lentamente le dita dall’orifizio.
    Chuck emette un verso contrariato, soprattutto quando la ragazza mette fine anche alla masturbazione, e si costringe a guardarla truce.
    Vorrebbe intimarle di muoversi, ma si ritrova semplicemente a fissarla mentre indossa un feeldoe e a sentirsi ulteriormente eccitato. La sente mugugnare e la vede anche irrigidirsi mentre muove il fallo dentro la sua vagina per sistemarlo, e Chuck si lecca le labbra improvvisamente secche.
    Ha sempre pensato che fosse bella - ha una cotta per lei da tempi immemori - e vederla in quello stato non può che renderlo in un certo qual modo ‘felice’ oltre che estremamente eccitato.
    Solo quando Mako sembra soddisfatta della posizione del feeldoe all’interno della sua femminilità si permette di ricoprirlo di lubrificante e di spingersi di nuovo verso il ragazzo.
    Non parla né si azzarda a penetrarlo.
    Muove il bacino contro le natiche facendo scorrere il fallo tra di esse, tenendo le dita affondate sui fianchi come per reggersi, e presto Chuck si trova a desiderare di più.
    Sa benissimo che la ragazza lo sta stuzzicando in attesa di un suo gesto. Deve solo aprire la bocca e dare voce ai suoi desideri.
    Sembra semplice, ma Chuck non è bravo con le parole e questo Mako lo sa.
    Le basta infatti sentire solamente il suo nome, ringhiato con rabbia e frustrazione, per decidersi a penetrarlo con la punta del feeldoe.
    Tiene il fallo con una mano per guidarlo dentro l'orifizio, muovendolo lentamente attorno all'apertura per allargarla.
    Chuck mugugna e si irrigidisce, ma ancora una volta resiste e resta immobile.
    Sa benissimo a cosa sta andando incontro ed è ben consapevole di poter resistere all'iniziale fastidio.
    La chiama ancora, incoraggiandola ad andare avanti, e Mako prende quel gemito come autorizzazione per violare la sua apertura.
    Restano entrambi fermi, trattenendo per qualche istante il respiro.
    Il feeldoe è strano: ormai Chuck sente con più chiarezza la sua consistenza liscia e dura dentro di sé, ma cerca di non dargli troppa importanza.
    Mako sospira e porta di nuovo le mani sui fianchi del suo compagno, sorreggendosi prima di iniziare a muoversi.
    Allontana il bacino, poi da una prima spinta.
    Quel movimento le strappa un gemito, gemello al mugugno che riceve da parte di Chuck.
    Ripete ancora quello stesso gesto, mordendosi le labbra nel sentire il fallo muoversi anche all'interno del suo corpo, stimolandola e costringendola a stringervi attorno i muscoli.
    Spinge di nuovo il bacino. Cerca nuove angolazioni ed aumenta il ritmo gradualmente, guidata dalla necessità di raggiungere l’orgasmo.
    Il ragazzo geme a sua volta, assecondando i suoi movimenti ed iniziando a masturbarsi quando sente tutto quello diventare semplicemente ‘troppo’, venendo in un gemito roco che fa tremare Mako da capo a piedi.
    Entrambi trovano quella situazione in un certo qual modo strana, ma dopo tutto quel tempo, né Mako e né tanto meno Chuck sentono la necessità di discutere, di cambiare qualcosa o, addirittura, di mettere la parola fine a quel rapporto.
    Al ragazzo piace essere scopato e a lei piace avere il controllo.
    Funzionano bene insieme.


  4. .
    Titolo: Popsicle
    Fandom: Sons of Anarchy
    Personaggi: Chibs Telford, Juice Ortiz
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, Lemon
    Conteggio Parole: 1915
    Prompt: Chibs Telford/Juice Ortiz, Bagno
    Note: 1. Scritta per il p0rnfest #7.
    2. Come sempre la dedico al mio amore<3
    3. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD





    C’era qualcosa di malato nel modo in cui Juice leccava quello stramaledetto ghiacciolo. Recuperava dal basso le goccioline di amarena che minacciavano di scivolare sul bastoncino e le trasportava verso l’alto con la lingua, fermandosi talvolta a succhiare la punta o i lati rotondeggianti.
    In tutto questo, teneva gli occhi socchiusi in un’espressione concentrata e non era chiaro se stava fissando qualcuno in particolare o meno. Era però palese che quello era uno spettacolo che stava attirando parecchie attenzioni.
    « Gesù cristo, ragazzo», esalò Tig d’un tratto, sbattendo la bottiglia sul bancone, « Inizio ad essere maledettamente eccitato!»
    Juice ridacchiò, accennando un sorriso imbarazzato per quella battuta, mentre delle risate - seguite da delle approvazioni - si levarono prontamente dalle bocche dei presenti che avevano assistito a quello ‘spettacolo’.
    « O tu e quel ghiacciolo vi trovate una stanza o sarò io a trovare una sistemazione a quel pezzo di ghiaccio… e lo farei con piacere», aggiunse Tig, « Oh cristo, sai quanto mi piacciono gli ispanici».
    « Tu e il tuo cazzo dovete stare lontani dagli ispanici. Porti sfiga, lo sai vero?», commentò bonariamente Bobby.
    « Sì… lo so», ammise Trager inclinando un poco il capo e piegando le labbra in un leggero sorriso. E Juice, pur unendosi per qualche istante alle nuove risate che scoppiarono dopo quello scambio di parole, sembrò non voler porre fine al suo ‘lavoro’ e continuò infatti a leccare il ghiacciolo e a succhiarne la punta lascivamente.
    Tuttavia, non riuscì ad impedirsi di far correre i suoi occhi per la clubhouse, svelando il vero destinatario di quello spettacolo. Di fatti le sue iridi parvero quasi brillare maliziose quando incrociò lo sguardo di Chibs, e senza interrompere il contatto visivo avvolse le labbra attorno alla punta del ghiacciolo, facendola scivolare lentamente all’interno della bocca.
    Il club non era ‘faggots friendly’, ma il più delle volte c’era un tacito accordo riguardante il fatto che quello che accadeva nella clubhouse rimaneva dentro le sue mura… come in una sorta di ‘Fight Club’.
    D’altro canto però nessuno aveva realmente voglia di stare dietro a delle stronzate come il continuo flirtare di Chibs e Juice... né tanto meno erano intenzionati a fare delle obiezioni quando lo scozzese, palesemente eccitato ed esasperato dal più giovane, tuonò un: « Juice. Bagno».
    Il ragazzo scattò in piedi e lo seguì senza battere ciglio, continuando a molestare il ghiacciolo - ignorando al tempo stesso la voce di sottofondo di Tig che faceva presente ai novellini che sarebbe spettato a loro l'onore di pulire i cessi.
    Ridacchiò tra sé e sé chiaramente compiaciuto, e quando sentì la serratura scattare, creando una sorta di barriera tra SAMCRO e loro due, non riuscì a nascondere un sorriso.
    Aprì bocca come per commentare quella situazione, ma si trovò subito schiacciato contro la parete, soffocato dalle labbra calde di Chibs sulle sue ben più fredde.
    Juice mugugnò nel bacio, e dopo l’iniziale stupore si permise di rispondere con foga a quell’assalto che lo lasciò ben presto senza fiato.
    Si scambiarono una breve occhiata quando si separarono, poi Chibs si spinse ancora in avanti per catturare le labbra di Juice una seconda volta, donandogli un bacio più veloce e breve del primo.
    « Sei un maledetto bastardo», borbottò lo scozzese con tono pericolosamente basso e roco, « La prossima volta lascio che sia Tig ad occuparsi di te», lo minacciò, sfiorando con ogni parola la bocca fredda ed arrossata del ragazzo.
    « Non lo permetteresti mai», ribatté Juice, portando di nuovo alle labbra il ghiacciolo, come per mettere un po’ di distanza tra loro - o, come era probabile, per stuzzicare ancora l’uomo.
    Le sue parole dicevano sfortunatamente il vero per Chibs.
    Era geloso e possessivo. Non avrebbe mai permesso a Tig o a chiunque altro di toccare il suo compagno, e quella certezza gli strappò infatti un verso contrariato.
    « Merda! Dammi quel ghiacciolo!», sbottò, e senza attendere che Juice eseguisse il suo ordine si impossessò subito del bastoncino, facendolo scivolare fuori dalle labbra del giovane.
    Maledì mentalmente Chuck per aver avuto la brillante idea di comprare quei ghiaccioli, e maledì anche Juice per aver accettato quell'innocente offerta che, suo malgrado, si era rivelata tutt'altro che 'innocente' nelle mani del suo compagno.
    Grugnì, e lanciando alle sue spalle quel maledetto pezzo di ghiaccio rosso, si impossessò di nuovo della bocca di Juice, invadendola con la lingua. Lo costrinse ad inclinare il capo all’indietro per assecondare i suoi movimenti, ascoltando i bassi mugugni che vibravano nella gola del giovane quando le loro lingue si incontravano, carezzandosi ed intrecciandosi.
    Senza allontanarsi mosse le mani sul petto di Juice, aprendogli frettolosamente la giacca ed insinuando le mani sotto la felpa nera che indossava, percorrendo con le dita le cicatrici ed i tatuaggi che ormai conosceva a memoria.
    Juice fremette sotto quelle ruvide carezze, e portando le mani sui pantaloni di Chibs, fece scorrere verso il basso la cerniera, cercando poi di scostare i boxer per liberare l’erezione dello scozzese.
    Quando la sentì contro le dita, calda e dura, la strizzò massaggiandola lentamente, costringendo l’uomo ad allontanarsi dalle sue labbra per emettere un gemito.
    Sorrise malizioso, scivolando poi in ginocchio pronto ad emulare quello che aveva fatto fino a qualche istante prima con il ghiacciolo.
    Chibs gli lasciò carta bianca quando lo vide in ginocchio, leccandosi le labbra carico d’aspettativa quando Juice strinse le dita attorno alla base del suo sesso per tenerlo sollevato e fermo mentre avvicinava la lingua al suo glande, lambendolo lentamente.
    Mugugnò per quella maliziosa carezza, concedendosi poi altri versi compiaciuti quando l'umida e calda bocca del ragazzo accolse il suo sesso.
    « Cristo…», borbottò.
    Juice strinse le labbra, sfregando i denti sull'asta mentre la faceva scivolare sempre più in fondo, e Chibs non poté far altro che appoggiare l'avambraccio sulla parete come per sorreggersi.
    Conosceva fin troppo bene le ‘doti’ del portoricano, ma come ogni volta quel maledetto riusciva a lasciarlo senza fiato.
    « Cazzo, Juice», ansimò ancora, spingendo un poco i fianchi per andare incontro al giovane che, sorridendo contro la sua erezione, continuò succhiarlo con attenzione, aiutandosi con la mano che si muoveva sull’asta e sui testicoli.
    Mugugnando ancora, Chibs gli lasciò ancora per qualche momento la piena libertà di movimento, poi si allontanò soffocando un vago lamento di frustrazione.
    Juice lo guardò, alzando gli occhi verso di lui e leccandosi lascivo le labbra.
    « Non ce la fai più, Chibby?», domandò malizioso, sollevandosi per essere di nuovo all’altezza dello scozzese ed infilandosi le mani in tasca.
    « Non dire stronzate», ribatté Chibs, tendendo poi la mano verso il giovane che, prontamente, gli porse un preservativo.
    « Vacci piano okay?», riprese Juice, dandogli le spalle per iniziare a slacciarsi i pantaloni.
    « Non te lo meriteresti», rispose lo scozzese, strappando la carta del preservativo per poterlo indossare.
    Juice ridacchiò scuotendo il capo, piegandosi poi in avanti per far scivolare i jeans ed i boxer fino alle ginocchia.
    « Vuoi che Tig ci raggiunga? Perché andresti incontro a quello», gli fece presente e Chibs, pienamente consapevole di quel ‘piccolo problema’ - ed anche del fatto che non potevano assolutamente schiaffare la loro relazione in faccia al club come se niente fosse -, non poté far altro che sospirare e sbuffare una risata.
    Quel ragazzo riusciva sempre a metterlo nel sacco. Quando si trattava di Juice, lui non ragionava più: diventava quasi cieco.
    La sua 'debolezza' tuttavia, non gli impedì di costringere il giovane ad appoggiarsi alla parete con le braccia, facendogli sentire sulle natiche nude la sua erezione.
    « Prima o poi, dovrai pagarla per quello spettacolo con il ghiacciolo», commentò con voce roca, facendo rabbrividire il portoricano.
    « Non ti è… dispiaciuta però», rispose.
    « Non è quello il punto», tagliò corto Chibs leccandogli lentamente l'orecchio, dal quale si allontanò poco dopo per portare le dita alle labbra. Vi sputò sopra, sfregando poi i polpastrelli tra di loro per spargere la saliva prima di portarle sull’orifizio di Juice.
    Lo penetrò con attenzione, stuzzicando inizialmente l’apertura con lenti movimenti circolari per poi farle scivolare al suo interno, costringendo le strette pareti del giovane ad aprirsi al suo passaggio.
    Gli lasciò il tempo di abituarsi a quell’intrusione - non era la prima volta -, poi iniziò a muovere le dita.
    Dentro e fuori. Dentro e fuori. Aumentando via via la velocità, piegandole e spingendole sempre più all’interno dell’orifizio.
    Scopandosi Juice in quel modo fino a fagli emettere dei gemiti frustrati ma carichi di piacere.
    « C-Chibs».
    Sorrise ancora, fermando improvvisamente le dita e rubando al portoricano un verso contrariato.
    « Cosa vuoi, ragazzo?», lo stuzzicò.
    « Fottimi ora», sbottò Juice in risposta, muovendo il bacino verso il suo compagno.
    Chibs allontanò del tutto le dita, guidando poi il suo sesso tra le natiche del giovane.
    « Non urlare», gli ricordò, e quando Juice annuì furiosamente, iniziò a spingere l’erezione all'interno del suo corpo.
    Spingeva e si arrestava.
    Usciva, poi premeva di nuovo contro l’apertura.
    Ripeté quei movimenti ancora e ancora, permettendo a Juice di abituarsi alla sua presenza e carezzandogli al tempo stesso i fianchi come per rassicurarlo - Chibs, nonostante tutto, era sempre pieno di attenzioni per il ragazzo.
    Il giovane iniziò ben presto a chiedergli di più, muovendo il bacino come per invitarlo ad andare avanti, e Chibs lo accontentò senza pensarci due volte.
    Affondò nel corpo di Juice con decisione, mugugnando soddisfatto per il calore che avvolgeva il suo sesso, e ripeté quello stesso movimento più e più volte, colpendo le natiche del portoricano con i testicoli ad ogni spinta.
    Juice tremava per il piacere, assecondando i movimenti di Chibs e cercando al tempo stesso di non emettere dei versi troppo alti.
    Arrivò addirittura a mordersi la manica della felpa quando lo scozzese iniziò a masturbarlo, soffocando in quel modo dei gemiti che sapeva di non poter contenere.
    Chibs stesso lottò per mantenere i suoi versi più bassi, stringendo le labbra ed ogni spinta. Lasciandosi poi sfuggire solo dei rochi sibili quando Juice, sussultando, raggiunse l'orgasmo venendo nella sua mano.
    Avvertì il suo sesso venire intrappolato tra le strette carni del giovane, e scavando nella carne ormai sensibile che si contraeva piacevolmente al suo passaggio, lo scozzese riprese a muoversi.
    Scivolò verso l’esterno e si spinse ancora in avanti, portando entrambe le mani sui fianchi del giovane.
    Juice, ancora scosso per l’orgasmo, ansimò e mugugnò il nome del suo amante, stringendo volutamente i muscoli contro l’erezione di Chibs fino a strappargli un gemito un po’ più alto dei precedenti.
    « Sei… c-cosi… stretto», ringhiò lo scozzese aumentando di poco l’intensità delle sue spinte che lo condusse dopo qualche momento all'apice.
    Chibs si concesse qualche secondo per svuotarsi completamente, e tenendo stretto a sé il giovane scivolò fuori dal suo corpo, donandogli un leggero bacio sulla nuca.
    Juice sospirò a sua volta quando lo sentì allontanarsi, e rigirandosi si appoggiò con la schiena alla parete per poter guardare il suo amante con un sorrisetto soddisfatto.
    « Stanco?», domandò con voce roca, osservando Chibs liberarsi del preservativo, lanciandolo poi per terra.
    « Sono vecchio», ribatté lo scozzese, « Se vuoi un altro round, devi darmi almeno qualche altro minuto».
    Il giovane scosse la testa.
    « Per il momento posso farne a meno», rispose, allungando le braccia per stringerlo a sé e baciarlo, « Casa mia o casa tua?», chiese poi.
    « Mia», Chibs gli carezzò lentamente la schiena, prima di allontanarsi per aiutare il ragazzo a riallacciarsi i pantaloni, « Ah… e un’ultima cosa», aggiunse.
    « Cosa?»
    « Mai più», borbottò sollevando l’indice per enfatizzare le sue parole, « Non voglio più assistere a simili spettacoli. Intesi Juicy-boy?»
    « Neanche in privato?», propose il portoricano.
    « Neanche», tagliò corto l'uomo, portando poi le labbra su quelle di Juice per coinvolgerlo in un altro bacio, « Se non si tratta del mio cazzo, sono geloso delle cose che ti entrano in bocca», aggiunse con voce roca, pizzicando il sedere del giovane prima di spingerlo fuori dal bagno.




  5. .
    Titolo: Not a word to anyone
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi: Bard L’Arciere, Dwalin
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, Lemon, Movieverse
    Conteggio Parole: 960
    Prompt: Bard L'arciere/Dwalin, "Non farne parola con nessuno"
    Note: 1. Scritta per il p0rnfest #7.
    2. Come sempre la dedico al mio amore<3
    3. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD




    « Non farne parola con nessuno»
    Bard aveva ormai perso il conto delle volte in cui Dwalin aveva pronunciato quelle inutili parole. Perché, ad essere sinceri, non vedeva il motivo per il quale avrebbe dovuto parlare con qualcuno.
    Per dire cosa poi?
    " Ho giaciuto con un Nano, sicuramente fuggiasco, sul tavolo dove io e la mia famiglia mangiamo"?
    No. No di certo.
    Bard non era uno stupido e sapeva benissimo di non essere ben visto da gran parte della gente di quel luogo. Affermare una cosa simile - o lasciare che qualcuno lo scoprisse -, significava solamente guadagnarsi un viaggio di sola andata per le prigioni del Governatore con l'accusa di sodomia e di fornicazione con altre razze.
    Inoltre, cosa non meno importante, non sarebbe più riuscito a guardare in volto i suoi figli... anche se, a dirla tutta, non era certo di riuscirci in ogni caso, perché per quanto si vergognasse, non riusciva ad impedirsi di provare piacere nel sentire il corpo dell'altro stringersi attorno alla sua erezione.
    " Magari fosse quello l'unico problema", si disse sarcastico. Perché per quanto ci pensasse, risultava un mistero come lui e quel Nano fossero finiti in quella situazione.
    Dwalin non aveva nascosto la sua antipatia nei confronti di Bard, e quest'ultimo non era mai stato tipo da simili follie, e non aveva di certo stretto amicizia con quei Nani.
    Lui e Dwalin non potevano essere più lontani e diversi l'uno dall'altro, eppure si erano entrambi scoperti frustrati.
    Durante la prima notte di 'convivenza' si erano ritrovati a discutere in modo fin troppo animato.
    Da una parte i Nani russavano troppo e Bard, forse anche per la tensione, non riusciva a dormire. E dall'altra Dwalin, sospettoso di natura, era stato attratto di movimenti notturni dell'uomo e lo aveva accusato di volerli vendere.
    Bard sapeva essere un tipo paziente - crescere tre figli in quella città non era semplice -, ma la sua vita stava andando a rotoli, e suo malgrado non possedeva una valvola di sfogo per liberarsi di tutto quel nervosismo... tant'è che alla fine, dopo una piccola colluttazione, si erano trovati l'uno sull'altro. Bocca contro bocca, a mordersi e a spogliarsi a vicenda.
    « Sei... avvertito», rincarò Dwalin con voce roca, stringendo i pugni contro la giacca di Bard, strattonandolo come per focalizzare l’attenzione dell’uomo sulle sue parole.
    « Non… nh… non aprirò bocca», dichiarò in risposta Bard, scuotendo il capo e spingendosi lentamente dentro il corpo stretto e caldo del Nano - era muscoloso e forse più alto dei suoi compagni, ma era ugualmente ‘piccolo’ contro il suo.
    Oltre la chiara frustrazione, non riusciva neanche ad immaginare per quale motivo Dwalin si fosse ridotto in quello stato.
    Quali pensieri, problemi e preoccupazioni lo avevano spinto a concedersi proprio a lui?
    Da cosa scappavano lui ed i suoi compagni? E chi erano?
    Forse non lo avrebbe mai scoperto, ma alla fin fine non era importante - meno informazioni significavano meno grane, Bard la vedeva in quel modo.
    Ciò che veramente importava in quell’istante era quello che stavano condividendo.
    Una situazione talmente strana che, tuttavia, avrebbe giovato ad entrambi. Perché quel duro atto carnale, senza sentimenti né inutili attenzioni, avrebbe allontanano i loro pensieri e rilassato i muscoli, tesi da fin troppo tempo.
    Bloccò allora il ‘piccolo corpo’ del Nano contro la superficie in legno - rubandogli un sibilo infastidito -, e riprese a muoversi dapprima lentamente, ascoltando i mugugni ed i fremiti che Dwalin si lasciava sfuggire ad ogni affondo. Poi iniziò spingere con crescente decisione, fino a trasformare quei versi in rochi gemiti che morivano soffocati dai denti che affondavano nelle loro labbra fino a farle sanguinare.
    Non si soffermò neanche per un istante a pensare alle domande che sarebbero sorte l’indomani mattina quando quei segni sarebbero stati troppo visibili per essere nascosti, e continuò invece a muoversi sovrastando il corpo del Nano.
    Faceva ondeggiare il bacino e la sua erezione entrava ed usciva da quello orifizio stretto che si contraeva ed ogni movimento. Forse era ancora doloroso - non si erano persi in ‘amorevoli preliminari’ -, ma Dwalin non dava segno di disprezzare il suo atteggiamento rude, anzi: lo tirava verso di sé, cercando di assecondarlo e di masturbarsi al tempo stesso.
    Bard poteva sentire chiaramente i febbrili movimenti della mano del Nano sul suo sesso, mentre con l’altra continuava a stringere le dita attorno alla giacca come per impedirgli di allontanarsi.
    « N-non… una parola», ringhiò Dwalin.
    « N-neanche tu... Nh-nano», ribatté Bard con un affondo più forte dei precedenti che strappò a Dwalin un verso forse più alto dei precedenti. Smise di carezzarsi per qualche momento, boccheggiando, poi riprese a muovere la mano con più energia cercando di costringere Bard a ripetere quello stesso movimento.
    Dwalin non gli avrebbe chiesto di farlo, né lo avrebbe mai pregato - si somigliavano sotto quel punto di vista -, ma all’uomo bastò quel gesto per comprendere il suo desiderio e riprendere a spingersi in lui.
    Soffocarono altri gemiti ed imprecazioni. Fecero addirittura cigolare il tavolo nella foga di quei movimenti, e quando raggiunsero l’apice - per primo Bard, che si riversò all’interno del corpo di Dwalin, e poi quest’ultimo, il cui seme schizzò sul proprio ventre e su quello dell’uomo -, lasciarono che fosse il silenzio a far riprendere loro le energie.
    Bard si allontanò solo dopo qualche momento, grugnendo e cercando con imbarazzo di darsi una sistemata - si sentiva ‘bene’, quasi rilassato, ed era una cosa abbastanza positiva… ma non poteva fare a meno di provare quel pungente senso di vergogna.
    Il Nano, emettendo a sua volta un basso mugugno, scese dal tavolo e gli lanciò un’occhiata cupa prima di sollevarsi i calzoni e ripulirsi.
    Non parlarono, almeno fino a quando Dwalin non decise di spezzare il silenzio.
    « Ehi, Gambe Lunghe», sbottò e quando l’uomo lo guardò, aggiunse un: « Non farne parola con nessuno, intesi?»
    Bard scosse il capo quasi sconsolato, senza però trattenere un mezzo sorriso.
    « Intesi».

  6. .
    Titolo: Pavlova
    Fandom: Pacific Rim
    Personaggi: Hercules “Herc” Hansen, Chuck Hansen
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Oneshot, Incest, Slash, What if? (E se…), Chuck Lives
    Conteggio Parole: 715
    Note: 1. La Pavlova è una torta tipica australiana che dovrebbe essere preparata per Natale °A° anche se non fosse, sono certa che sia australiana XD
    2. Chuck deve vivere. Punto!
    3. Traduzione italiana del mio secondo contributo al Hansencest Advent Calendar




    « Che diamine hai combinato qui dentro?!»
    Herc aveva fatto del suo meglio per 'ubbidire' all'ordine di Chuck di restare lontano dalla cucina - aveva portato a spasso Max, era stato al telefono con suo fratello e aveva addirittura controllato le luminarie natalizie che sembravano non voler funzionare -, ma quando aveva sentito l'odore di bruciato e le imprecazioni di Chuck, per lui era stato impossibile non raggiungere il figlio.
    « Va via, vecchio! Ti avevo detto di girare alla larga!», esclamò prontamente il ragazzo, « Vattene! Non c'è niente da guardare qui!», ma Herc rimase immobile, perché al contrario di quanto diceva suo figlio, c'era qualcosa da guardare, e quel qualcosa - o meglio: qualcuno - era proprio Chuck.
    Indossava un grembiule con il logo di Striker Eureka - era uno dei tanti gadget che si potevano ancora trovare in commercio - e davanti a lui, sul bancone, c'era quello che poteva essere definito un ammasso di zucchero bruciato - almeno l'odore era quello.
    Ovviamente l'uomo evitò di sorridere - o di ridacchiare, non voleva di certo ferire i sentimenti di suo figlio -, ma cercò ugualmente di avvicinarsi per scoprire quali fossero le intenzioni di Chuck. Già sapeva che il ragazzo si era chiuso in cucina per cucinare - non ci voleva un genio per capirlo -, ma non sapeva cosa... anche se era certo che, data l'espressione di Chuck, fosse un qualcosa di importante.
    « Che cercavi di fare?», domandò.
    Chuck sbuffò distogliendo lo sguardo.
    « È Natale», borbottò alla fine, certo di non potersi più nascondere - le sue intenzioni erano più che palesi.
    « Questo lo so...»
    Il ragazzo esitò ancora prima di riprendere a parlare.
    « La... mamma preparava questa torta ogni anno», ammise piano, imbarazzato a morte, per poi aggiungere un: « Volevo solo mangiarla ancora, okay? Non la stavo preparando per te! Cerca di non illuderti, vecchio!», nel quale tentava chiaramente di mettersi sulla difensiva.
    « La Pavlova?», domandò Herc stupito, e quando Chuck annuì l'uomo non poté non riportare alla memoria i ricordi dei Natali passati con Angela, prima che i Kaiju distruggessero tutto.
    Preparare la torta Pavlova per Natale era una sorta di tradizione di famiglia che, con la morte di Angela ed il rapporto disastroso tra lui e Chuck, era andata persa.
    Per Herc fu impossibile trattenere un sorriso e non sentire il cuore riempirsi di una strana gioia. Non era tanto l'aspetto di Chuck - che, doveva ammetterlo, era piuttosto buffo - ma era il fatto che il ragazzo dopo tutto quel tempo si fosse ricordato di quella tradizione.
    Era come essere di nuovo una famiglia ed Herc, nonostante il rapporto 'poco convenzionale' con Chuck, si sentiva felice e fortunato. Senza inibizioni non riuscì a trattenersi dall'abbracciare suo figlio che, ancora indispettito per il suo fallimento culinario, tentò ovviamente di scostarlo.
    « Non fare la femminuccia, vecchio! Lasciami subito!», esclamò divincolandosi e ricevendo in tutta risposta un bacio che lo fece calmare e mugugnare.
    Herc si staccò solo qualche attimo dopo, sorridendo senza alcun timore.
    « Cuciniamo insieme», propose, ricevendo in risposta un'occhiata confusa da parte di Chuck.
    « Non la sai cucinare».
    « Neanche tu», rispose, e prima che il ragazzo potesse controbattere, Herc si affrettò a parlare ancora, « Ma insieme siamo maledettamente bravi a fare qualsiasi cosa».
    Chuck piegò istintivamente le labbra in un sorrisetto, comprendendo solo in quel momento le vere intenzioni di suo padre.
    Non gli era andato di volta il cervello con quell'abbraccio ed il bacio assolutamente fuori luogo - né lui né tanto meno Herc erano inclini a quel tipo di manifestazioni d'affetto -, suo padre era... solamente 'felice' perché dopo tutto erano ancora una famiglia.
    In fin dei conti, si disse, nonostante il suo disastroso tentativo di cucinare la Pavlova di sua madre, era riuscito ugualmente ad ottenere lo stesso il risultato che desiderava, perché dopo quasi un anno di distanza dalla chiusura della Breccia e dopo tutti loro ben noti problemi, lui ed Herc erano ancora lì... e quel Natale, rappresentava per entrambi una sorta di nuovo inizio.
    « Sarai il mio co-pilota anche in questa missione?», domandò allora, e suo padre annuendo si spinse verso di lui per reclamare un altro veloce bacio prima di immergersi con lui in quello sconosciuto mondo che era la cucina.
    Forse ne sarebbero usciti sconfitti, ma erano insieme e quella consapevolezza era l'unica cosa della quale avevano bisogno per andare avanti.








  7. .
    Titolo: I Belong to you
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi: Fìli, Kìli
    Genere: Introspettivo
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Flashfic, Incest, Slash, Missing Moments
    Conteggio Parole: 135
    Note: 1. Piccolo regalino per Alice che era giù di morale<3
    2. Meme delle tre frasi ù_ù nessun prompt<3




    Kìli si era addormentato di nuovo, stremato dalle cure e da tutti quegli avvenimenti che si erano susseguiti fin troppo velocemente.

    Tauriel se ne era ormai andata, lasciandoli soli, ed anche se Fìli le era grato per aver salvato la vita di suo fratello, non riusciva a sentirsi tranquillo in sua presenza... a dirla tutta, non si era mai sentito così insicuro riguardo al ‘loro’ futuro.

    « Kìli…», gli carezzò i capelli, cercando di non dare alla sua voce un tono incerto, « Non importa come finirà… qualunque cosa accada, io apparterrò sempre a te», mormorò piano, posando le labbra sulla fronte del suo fratellino, e quando scorse l’ombra di un sorriso nascere sul viso rilassato di Kìli, Fìli non poté fare a meno di sentirsi in un certo qual modo rassicurato dalla forza del loro legame.

  8. .
    Titolo: I will always be by your side
    Fandom: The Hobbit
    Personaggi: Dwalin, Thorin
    Genere: Introspettivo
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Flashfic, Missing Moments
    Conteggio Parole: 255
    Note: 1. Ieri ho chiesto a < href="http://kaciart.tumblr.com">Julie (Kaciart) di disegnarmi Dwalin e lei ha tirato fuori < href="http://kaciart.tumblr.com/post/70258178275">questa splendida fanart. Dovevo per forza scriverle qualcosa >w<
    2. La fanart è ovviamente sua XD




    Thorin era rimasto indietro. Trascinava i passi sulla pietra che tanto aveva amato e desiderato in tutti quegli anni, quasi incapace di sopportare il peso che stava gravando sulle sue spalle.
    Anche se ogni singolo membro della compagnia aveva sognato quel momento e lo aveva visto tramontare con l’ultimo raggio di sole, era Thorin colui che era rimasto schiacciato da quegli avvenimenti.
    La sua casa. Il suo regno. Perduti per sempre.
    Non riusciva ad accettarlo, non dopo tutto quello che avevano passato.
    Strinse i pugni, chiudendo gli occhi in una smorfia.
    « Thorin», la voce di Dwalin e le forti mani di questo sulle sue spalle, lo costrinsero ad arrestare il suo lento cammino.
    Non lo guardò, continuando a tenere gli occhi chiusi, mormorando però un: « È finita», più per convincere se stesso che per spingere il Nano a lasciarlo andare.
    « Hai fatto del tuo meglio», sussurrò Dwalin, « Ci hai portato fin qui. Non devi avere alcun rimpianto, amico mio», lo incoraggiò.
    Thorin però scosse il capo mordendosi le labbra, incapace di nascondersi ancora dietro la sua maschera di forza.
    « No», sbottò quasi con rabbia, afferrando Dwalin per le braccia come per volerlo allontanare, senza però trovare la forza per farlo, « Chi sono io? Chi sono senza questa Montagna?», chiese stringendo i denti, e Dwalin non poté far altro che spostare le mani sul suo collo, costringendolo a posare la fronte contro la sua.
    « Sei il nostro Re», rispose sincero, « Sei il mio Re», precisò, « E non importa dove regnerai. Io sarò sempre al tuo fianco, Thorin».

  9. .
    Titolo: Searching Information
    Fandom: Pacific Rim
    Personaggi: Hercules “Herc” Hansen, Chuck Hansen
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, Lemon, What if? (E se…), Non-Related, Alternative Universe (AU)
    Conteggio Parole: 1760
    Note: 1. Prompt: (not related!fic) I’ve seen a couple of fic where Chuck is a hooker (very good fic!). What if Herc were the hooker and Chuck’s a rookie cop?
    2. Herc e Chuck NON sono parenti.




    Chuck non era mai stato così nervoso in vita sua.
    Era stato in grado di superare con successo corsi, esami e perfino degli 'interrogatori' per diventare un poliziotto... ma quando lo avevano assegnato a quell'operazione sotto copertura, tutte le cose che aveva imparato in accademia sembravano essersi volatilizzate.
    " È solo un lavoro", si ripeteva, tamburellando le dita sul volante, attendendo che il semaforo diventasse verde, " Ti hanno scelto perché sei giovane e vogliono metterti alla prova", aggiungeva.
    Ma non funzionava, perché ogni volta sentiva sopraggiungere la voce di Tendo che gli diceva: « Se poi riesci a farti pure una scopata, diventa il lavoro più piacevole del mondo».
    Lui però non aveva intenzione di scopare. Doveva solo raccogliere informazioni su Hannibal Chau ed il suo traffico illegale organi, umani e non.
    Ma come aveva detto Tendo, 'il suo uomo' gestiva anche il giro di prostituzione di quella zona, e proprio per quel motivo doveva 'raccattare' una prostituta, scoparsela e farle delle domande perché una donna soddisfatta era più propensa ad aprire bocca.
    Scopare però non rientrava nei piani... o almeno apparentemente.
    « È verde, ragazzino».
    Non voleva scopare eppure aveva fatto salire in macchina un uomo.
    Esattamente: un uomo. Non una donna o, se proprio non era il suo 'genere', un ragazzino. Proprio un uomo che poteva benissimo avere l'età di suo padre.
    « S-sì. Lo vedo», borbottò in risposta, spuntando lentamente prima di prendere la seconda svolta a sinistra, prendendo la strada per l'hotel a ore che gli aveva indicato Tendo.
    Aveva un solo maledettissimo lavoro da fare, e stava mandando tutto a puttane - letteralmente e non.
    Cosa c'era di tanto complicato nel prendere una ragazza, pagarla profumatamente e chiederle di Chau?
    Niente. Assolutamente niente.
    Eppure eccolo lì, a parcheggiare davanti a quello squallido hotel con un uomo che non conosceva neanche ma che lo aveva attratto come una calamita.
    Forse erano gli occhi e la mascella che aveva intravisto grazie ai lampioni? O era la voce, roca e profonda?
    O forse era per la sua maledetta fissa per gli uomini maturi? O come gli avrebbe ricordato lo psicologo dell'Accademia per via dei suoi 'problemi con il papà', data la totale mancanza di una figura maschile nella sua vita. Poteva chiamarla come voleva, ma in ogni caso Chuck era nella merda.
    Scese dalla macchina, chiudendola non appena l'uomo la abbandonò a sua volta.
    Esitò per qualche istante, poi afferrando la visiera del suo cappellino, la abbassò nella speranza di nascondersi mentre entrava nell'hotel.
    L'uomo lo seguì senza commentare, aprendo bocca solo quando Chuck chiuse alle sue spalle la porta della camera che aveva affittato.
    « È la prima volta, scommetto».
    « Cosa te lo fa pensare?», ribatté il giovane, cercando inutilmente di nascondere il suo imbarazzo.
    Solo in quel momento si permise di osservare l'uomo da capo a piedi.
    Indossava una giacca marrone e dei pantaloni scuri, stretti tanto quanto la maglia che metteva in mostra i pettorali.
    Il suo primo pensiero fu un: « Niente male», seguito da un: « Eh? Cosa?», che scivolò fuori dalla sua bocca quando si rese conto che l'altro aveva parlato.
    Quella sua reazione fece sorridere divertito l'uomo che, togliendosi la giacca, si apprestò a ripetere quanto aveva appena detto.
    « Cerca di rilassarti, ragazzino».
    « Non... non chiamarmi ragazzino!», ribatté Chuck per nulla convinto, osservando poi con palese interesse le braccia muscolose dell'altro. Sembrava quasi non aver mai visto un uomo in vita sua e la cosa lo faceva sentire piuttosto stupido.
    Trattenne allora il respiro, togliendosi a sua volta il cappellino e la giacca. Poteva benissimo mettere le carte in tavola e chiedergli informazioni su Hannibal Chau... ma, cosa che avrebbe reso Tendo orgoglioso, aveva voglia di scopare.
    « Quindi…», borbottò, « Come ti chiami?»
    Domanda pessima, si disse, non avrebbe mai dato il suo vero nome.
    « Hercules».
    Ovviamente, pensò Chuck, era falso.
    « Io sono... Max», dichiarò sputando fuori il primo nome che gli era saltato in mente e ricevendo una bassa e roca risata da parte dell'altro.
    « Allora Max, hai due scelte», esordì Hercules, « O mi paghi per il disturbo, o mi paghi e mi lasci fare il mio lavoro».
    Chuck non poté impedirsi di arrossire.
    « Non c’è una… terza scelta?», osò domandare facendo un passo verso l’uomo.
    « Vuoi scappare, ragazzino?», chiese con un sorrisetto malizioso ed il giovane reagì di conseguenza, colpito nell’orgoglio da quell’insinuazione - era il suo ‘punto debole’ ed Hercules lo aveva scoperto con una facilità quasi innaturale.
    « Cazzo no!», ribatté ringhiando, togliendosi la maglia come per rendere più ‘decisa’ la sua scelta.
    Per qualche istante gli occhi dell’uomo vagarono sul suo petto poi tornarono sui suoi, mostrandosi chiaramente soddisfatto per la sua decisione.
    « Pagamento anticipato», annunciò l’uomo, ed una volta che Chuck gli mise in mano le banconote che gli doveva - con non poco imbarazzo -, indicò con un cenno del capo il letto.
    « Sul letto», ordinò con voce ferma e seria, ed il giovane non poté far altro che ubbidire, senza però trattenersi dal brontolare.
    « Nessuno ti ha dato l’autorizzazione per prendere il comando», dichiarò.
    Si sentiva alla totale mercé di quell’uomo. Una sua parola e lui avrebbe ubbidito senza batter ciglio… e per quanto umiliante fosse, doveva ammettere che era anche particolarmente eccitante.
    « Vuoi prendere il comando?», chiese Hercules prima di spingerlo disteso sul letto e di salirvi sopra con le ginocchia. Chuck aprì la bocca per rispondere, senza però riuscire a farlo quando i suoi occhi iniziarono a seguire i movimenti dell’altro mentre si sfilava la maglietta. Aveva alcuni tatuaggi e qualche cicatrice. Era… decisamente piacevole guardarlo.
    « Allora, Max… vuoi prendere il comando?», insistette l’uomo, armeggiando con la sua cintura.
    Chuck trattenne nuovamente il respiro, alzando inconsciamente il bacino per far scivolare i pantaloni lungo le gambe, mordendosi poi le labbra quando si rese conto che non aveva alcunissima intenzione di prendere il comando. Quell’uomo poteva fargli quello che voleva.
    « Fai il cazzo che vuoi», ringhiò, ed Hercules, piegando le labbra in un sorrisetto, iniziò a il baciargli il collo.
    La leggera barba dell’uomo lo pizzicava ma non era fastidiosa e, nonostante il basso lamento che gli sfuggì, non lo erano neanche le dita che iniziarono a torturargli un capezzolo, stringendolo e tirandolo fino a farlo arrossare ed indurire.
    Ansimò, concedendosi un mugugno quando l’altro capezzolo venne catturato dalle labbra di Hercules. Lo succhiò e lo colpì con la lingua prima di prenderlo tra i denti senza però ferirlo, accontentandosi dei suoi soli gemiti.
    Chuck si contorse un poco sotto quelle piacevoli attenzioni, sussultando stupito quando sentì la mano libera dell’uomo scivolare tra le sue gambe, iniziando a masturbarlo.
    Sentiva il ruvido palmo sfregare lungo la sua erezione. Saliva e scendeva, si soffermava sulla punta poi tornava indietro.
    Gemette, perdendosi in quelle carezze sempre più insistenti e piacevoli, riuscendo però ad avvertire ugualmente le labbra di Hercules piegarsi in un sorrisetto contro il suo capezzolo. Riuscì tuttavia ad ignorarlo, sollevando il bacino per assecondare i movimenti di quella maledetta mano.
    Nessuno dei due commentò quei momenti ma Chuck non poté non trattenere il respiro quando sentì le labbra di Hercules abbandonare il suo capezzolo per spostarsi lentamente verso il basso.
    Leccò gli addominali mentre con altra mano continuava a torturare l’altro bottoncino di pelle fino a fargli quasi male - non era una cosa totalmente negativa, quel ‘dolore’ era in un certo qual modo piacevole.
    Ansimò ancora e ancora e quando sentì la lingua soffermarsi sul suo ombelico, Chuck sollevò leggermente il capo per osservare l’uomo tra le sue gambe.
    Hercules gli rivolse un sorriso malizioso spingendo la lingua dentro e fuori l’ombelico in un modo talmente osceno che Chuck si costrinse a tirare di nuovo indietro la testa, chiudendo gli occhi al colmo della vergogna.
    « C-cazzo…», borbottò stringendo le lenzuola tra i pugni chiusi, tremando quando sentì la bocca di Hercules scivolare sull’interno delle sue cosce. Lo morse delicatamente continuando a muovere la mano e Chuck non poté far altro che allargare le gambe per andargli incontro e permettergli di continuare a toccarlo in quel modo.
    Tuttavia non durò a lungo e solo qualche attimo dopo venne in un alto gemito roco.
    Ansimando senza fiato, Chuck si morse le labbra imprecando tra sé e sé per non essere riuscito a resistere più a lungo, e ancor prima di rendersene conto, si ritrovò a quattro zampe sul letto, con le natiche all’aria mentre Hercules lo fotteva prima con le dita e poi con la sua erezione.
    Il suo corpo tremava scosso dal piacere e dalle sue labbra iniziarono ben presto ad uscire solo versi privi di qualsiasi senso logico. Niente di tutto quello aveva ‘senso’, ma mentre veniva per la seconda volta scoprì che non gli importava.
    Crollò sul letto, tremando ed ansimando senza fiato, chiudendo gli occhi quando Hercules scivolò lentamente fuori dal suo corpo prima di distendersi accanto a lui, lanciando via il preservativo usato.
    Pian piano Chuck iniziò a riprendersi e nella sua testa riaffiorarono tutte le varie ragioni sul perché non avrebbe dovuto fare una cosa simile, ed anche il motivo per cui era andato a cercare una prostituta.
    Aveva un maledetto lavoro da portare a termine. Sospirò, e sollevandosi sui gomiti si voltò verso l’uomo scrutandolo con attenzione - era sudato ed aveva il viso arrossato.
    « Senti…», esordì.
    « Le chiacchiere e le smancerie non sono comprese nel prezzo, ragazzino», rispose prontamente Hercules con voce dura ma con un leggero sorrisetto che si allargò quando il volto di Chuck si fece più rosso.
    « T-ti pagherò…», borbottò nervosamente, « Ma ho bisogno di… alcune informazioni».
    L’uomo lo guardò inarcando un sopracciglio senza trovare per la prima volta qualcosa con cui controbattere.
    « Hannibal Chau», dichiarò Chuck approfittando di quel silenzio, « Lavori per lui».
    Hercules incrociò le braccia al petto, annuendo leggermente con la testa ed apparendo improvvisamente interessato a quell’argomento.
    « Sei della polizia?», chiese e a Chuck non restò altro che rispondere affermativamente, incapace di nascondere il proprio imbarazzo.
    « E cosa me ne viene fuori?», insistette l’uomo dopo qualche attimo.
    « Ti pagherò e… beh, ti libererai di lui?», ribatté, osservando l’altro soppesare quella proposta, « Ovviamente la polizia ti… tutelerà come testimone», aggiunse.
    « Mi sembra corretto», ghignò Hercules.
    Quella risposta ebbe ovviamente il potere di risollevare un poco il morale di Chuck - non aveva fatto un buco nell’acqua dopo tutto -, anche se tuttavia non ebbe la capacità di allontanare la certezza che quella, nel bene o nel male, sarebbe stata una lunghissima notte.
    Aveva fatto un grave errore quando si era lasciato trasportare dal suo ‘interesse’ per Hercules. Tutti, Tendo compreso, lo avrebbero denigrato a vita davanti ad un suo insuccesso, e nessuno gli avrebbe mai più dato un incarico: la sua carriera sarebbe stata segnata.
    Ma alla fine gli era andata maledettamente bene, e suo malgrado era altrettanto convinto che non avrebbe mai avuto il coraggio di dirsi per davvero pentito per quanto era accaduto.



  10. .
    Titolo: Drivesuit
    Fandom: Pacific Rim
    Personaggi: Hercules “Herc” Hansen, Chuck Hansen
    Genere: Introspettivo, Erotico
    Rating: Rosso
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, Incest, What if? (E se…)
    Conteggio Parole: 765
    Note: 1. Prompt: Horray! How about making out in the drive suit? Please mention Chuck’s ass in the drive suit XD
    2. Randomica. Molto randomica. E non betataXD




    Il sedere di Chuck era ridicolmente sodo e rotondo con quella tutina aderente.
    Era invitante, ed Herc non riuscì neanche per un secondo a provare vergogna per i suoi pensieri poco casti. Perché, dannazione, era davvero invitante.
    Come era ovvio Chuck era pienamente consapevole di quella sua debolezza - stavano l'uno nella testa dell'altro, non poteva essere altrimenti -, e cercava in ogni modo di fargliela pesare, fino a portarlo all'esasperazione.
    Di fatti, secondo Herc, il ragazzo non aveva bisogno di piegarsi in quel modo così osceno per carezzare Max di ritorno dalla missione. Serviva soltanto a fargli perdere il controllo e a costringerlo ad afferrarlo e a sbatterlo contro il muro - causando un vago rumore metallico al contatto tra la parete e la drivesuit.
    « Sei un piccolo bastardo», brontolò seccato per aver ceduto alla provocazione, spingendo le proprie labbra contro quelle del figlio.
    Chuck parve quasi sorridere trionfante nel bacio, ma Herc decise di ignorare quel dettaglio - era più semplice fare finta di niente in certi casi - per portare invece le mani sulle natiche sode del ragazzo, stringendole con sicurezza.
    La barriera creata dalla tuta non fermò l’uomo dal carezzarlo lentamente, saggiandone la familiare consistenza, e a premere poi le dita tra le natiche. Il materiale elastico della tuta fece inizialmente solo un po' di resistenza prima di cedere un poco e permettergli di percorrere quel solco, facendo tremare visibilmente Chuck.
    Lo baciò ancora soffocando i versi del ragazzo, e schiacciandolo poi ulteriormente contro il muro, tentò di non sembrare troppo impacciato con quell'ingombrante drivesuit mentre spingeva una gamba tra quelle del figlio.
    Chuck si mosse subito, reagendo a quel gesto con un movimento inconscio del bacino che lo costrinse a spingersi sulla gamba alla ricerca di soddisfazione, mentre con le mani cercava di liberare il padre dalla tuta. Magari nella speranza che poi Herc ricambiasse.
    L'uomo tuttavia non era dello stesso avviso. Lo lasciò libero di muoversi e di cercare di spogliarlo, ma lui non mosse un dito per fare lo stesso, continuando invece a divorargli le labbra e a molestare quel maledetto sedere che lo faceva letteralmente impazzire.
    Presto la frustrazione e l'eccitazione di Chuck divennero ben visibili attraverso quell'aderente tuta. Herc poteva sentire con chiarezza il sesso del ragazzo premere contro di lui alla ricerca di quelle attenzioni che gli venivano negate. E non riuscì a trattenersi dal sorridere soddisfatto contro le labbra arrossate del giovane, prendendosi in quel modo una vaga rivincita per le provocazioni che aveva dovuto 'sopportare'.
    Strinse ancora la presa sulle natiche, spingendo la gamba contro l’erezione dolorosamente compressa di Chuck, facendolo sussultare.
    « Non vogliamo che la tuta si sporchi, vero figliolo?», domandò sulle sue labbra, allentando un poco la presa sul sedere del ragazzo.
    « Non…»
    « Cosa?», lentamente Herc, mostrandogli un ghigno soddisfatto, smise di schiacciarlo contro il muro come per lasciarlo libero.
    Chuck strinse i denti e lo afferrò per le spalle.
    « Si fotta la drivesuit», ringhiò il ragazzo, cercando poi di riprendere un po’ di controllo aggiungendo un: « Non dirmi che non ti eccita l’idea di fottermi così».
    Herc, ovviamente, non si tirò indietro portando una mano tra le gambe del ragazzo, premendo il palmo aperto contro l’erezione. Lo sfregò senza alcuna esitazione, godendosi il gemito che abbandonò le labbra di Chuck ed i brividi che iniziarono subito a scuoterlo.
    « Credo che l’idea ecciti anche te. Ti fa impazzire sapere di dover indossare questa tuta... ricordandoti quello che ti ho fatto…», spiegò Herc con voce roca, muovendo la mano circolarmente, « Sapere che nel drift vedrai sempre come ti ho fatto venire dentro la tuta ti eccita, vero?», rincarò, stringendo le dita contro il sesso coperto dall’aderente stoffa che stava diventando lentamente più umida.
    « B-bastardo», ansimò il ragazzo, muovendo il bacino verso la mano dell’altro con crescente necessità.
    « Cosa penseranno quelli del nostro team nel vedere le condizioni della tuta?», lo interrogò l’uomo leccandogli l’orecchio e pizzicandogli la natica sinistra con la mano libera.
    « Che n-non sai… ah… tenere le mani a-al loro posto…», ribatté il ragazzo tremando visibilmente, senza concedere al padre la possibilità di controbattere a quella sua affermazione. Herc infatti poté solo sostenerlo mentre si lasciava andare contro di lui, bagnando con il suo seme la tuta.
    Lo tenne stretto a sé quasi con dolcezza, donandogli un leggero bacio sulle labbra arrossate e gonfie - le uniche 'tenerezze' che riuscivano a concedersi si riducevano ai primi momenti post-orgasmo.
    Solo in quel momento l’idea che qualcuno del loro team potesse sollevare qualche domanda scomoda sfiorò Herc con un po’ più di preoccupazione - prima gli sembrava più eccitante -, ma non era colpa sua se il sedere di Chuck era così ridicolmente invitante.



  11. .
    Titolo: Ignorare
    Fandom: Pacific Rim
    Personaggi: Raleigh Becket, Hercules “Herc” Hansen, Chuck Hansen
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Oneshot, Slash, What if? (E se…), Chuck Lives
    Conteggio Parole: 775
    Note: 1. Gli Hansen NON sono parenti.
    2. Non betata<3




    Raleigh ci aveva provato. Davvero, aveva seriamente tentato di ignorare quello che vedeva, ma era stato impossibile.
    Per lui c'era qualcosa di profondamente sbagliato nella relazione tra gli Hansen. Non li conosceva bene - aveva avuto modo di fare una sola missione accanto ad Herc e aveva intravisto Chuck unicamente in qualche notiziario e di sfuggita allo Shatterdome -, ma era pronto a giurare che tutto quello fosse sbagliato.
    Raleigh si definiva un tipo dalle ampie vedute - quando suo fratello usciva con Tendo non aveva battuto ciglio, gli bastava la felicità di Yancy -, ma quello andava al di là della sua comprensione.
    Non riusciva proprio ad ignorare il fatto che Herc e Chuck Hansen fossero padre e figlio. Non riusciva a concepire ‘quella cosa’, anzi: quel rapporto lo disturbava non poco.
    Fortunatamente sembravano abbastanza riservati, se si tralasciavano i momenti in cui Herc andava a pizzicare le natiche del ragazzo, o del modo in cui Chuck lo chiamava 'il mio vecchio' - sembrava una cosa così erotica che sembrava passare quasi inosservato il sospiro che abbandonava puntualmente le labbra dell'uomo.
    Raleigh tuttavia era sempre stato un buon osservatore e arrivato ad un certo punto per lui era stato impossibile ignorare tutte quelle piccole cose.
    Si chiese come Herc riuscisse a sopportare una testa di cazzo come Chuck - « Puoi incolpare me per lui. Alle volte non so se abbracciarlo o se dargli un calcio in culo», diceva esasperato -, ed anche come lo Shatterdome potesse fare finta di niente!
    Erano forse 'abituati' a quelle scenette da vecchia coppia sposata tra padre e figlio? Agli sguardi e alle pacche sul sedere che duravano più a lungo del normale?
    Alla fin fine però, poteva essere lui stesso a vedere cose inesistenti, perché effettivamente non li aveva mai visti in qualche atteggiamento 'veramente intimo' - e sperava di non farlo mai: preferiva vivere nel dubbio.
    Dubbi che vennero suo malgrado spazzati via al loro ritorno dall’Operazione Pitfall.
    La missione si era conclusa con successo nonostante la perdita del Marshall Stacker Pentecost che, in un ultimo eroico gesto, aveva messo Chuck nella capsula di salvataggio. E al loro rientro allo Shatterdome i piloti sopravvissuti erano stati accolti da gioiosi abbracci e pacche sulle spalle, ringraziamenti e festeggiamenti che sicuramente si stavano svolgendo in tutto il mondo.
    Raleigh stesso sorrideva felice stringendo la mano di Mako… salvo poi restare pietrificato quando Chuck, sollevandosi leggermente dalla barella - era quello che aveva subito più danni -, aveva attirato Herc verso di sé afferrandolo per la giacca.
    « Ho perso dieci anni di vita a causa tua», borbottò l’uomo con tono di rimprovero.
    « Non pensare di liberarti di me così facilmente, vecchio?», ribatté Chuck prima di far unire le loro labbra in un bacio. E per quanto quella scena potesse sembrare romantica e carica di sollievo, Raleigh non poté non rimanere a bocca aperta.
    Li fissò per qualche attimo poi, sentendosi a disagio - oltre che imbarazzato -, volse lo sguardo altrove. Si aspettava di incrociare altre espressioni simili alle sua ma tutti al contrario sembravano tranquilli - se si escludeva la felicità per la chiusura della Breccia.
    Forse non era il momento adatto. Forse avrebbe dovuto semplicemente rivolgere le sue attenzioni altrove ed ignorare quanto aveva appena visto...
    « Mi vuoi spiegare che succede?!», esclamò d'un tratto incapace di trattenersi, guardando la sua compagna che, in risposta, gli rivolse uno sguardo confuso - ma anche un pizzico divertito… o si stava sbagliando?!
    « Non che sia contrario, ognuno è libero di fare quel che vuole... ma sono padre e figlio! È... sbagliato!», spiegò stranito, accogliendo la certezza che dopo quella sua affermazione, Herc lo avrebbe ucciso - lo aveva visto raramente arrabbiato, e quelle poche volte gli erano bastate per essere convinto di non volerlo mai fare incazzare -, ma stranamente Mako scoppiò a ridere e con lei anche gli altri, compreso 'Hansen senior'.
    « Ancora una volta ti dimostri l'idiota che sei, Becket», borbottò con voce roca Chuck, senza nascondere un tono vagamente divertito e compiaciuto, « Lui non è mio padre. È mio marito»
    « Davvero pensavi che fossero parenti?», domando Tendo, asciugandosi le lacrime dagli angoli degli occhi.
    « Ma il cognome... lo chiamava 'il mio vecchio'…», biascicò Raleigh visibilmente confuso.
    « Ti stava prendendo in giro, Raleigh», spiegò Herc scuotendo il capo.
    « Non sapeva niente. Io e Chuck eravamo sul punto di fare delle scommesse su quando avrebbe dato di matto», confermò Mako con un sorrisetto compiaciuto.
    Altre risate seguirono quell'affermazione, e mentre Chuck decideva di ignorarlo per dedicarsi alle attenzioni premurose di 'suo marito' - a sua volta divertito da quelle attenzioni -, Raleigh non poté non sperare che la Breccia si aprisse proprio sotto i suoi piedi, facendolo sparire definitivamente.


  12. .
    Titolo: It's not a simple answer
    Titolo del Capitolo: I'm glad you're back
    Fandom: Sons of Anarchy
    Personaggi: Jackson Teller, Male!Tara Knowles [Tyler Knowles]
    Genere: Introspettivo
    Rating: Giallo
    Avvertimenti: Raccolta, Slash, Genderbend, What if? (E se...)
    Conteggio Parole: 2000
    Note: 1. Ho visto un gifset Chaleigh su Tumblr. Ho fatto una mezza role con l'amore mio e... Tyler ha preso forma. Il volto è quello di Rob Kazinsky su "Brother & Sister" (interpretava Rick Appleton). Premetto che adoro Tara, quindi non è un tentativo come un altro di avere slash e fare bashing sul personaggio femminile °A°
    2. Questa "cosa" sarà una raccolta. Il primo capitolo è una sorta di pilot sulla prima puntata. Se mai scriverò qualcos'altro non seguirò il continuo temporale della serie XD almeno, non credo che lo farò.
    3. Effetto what if. Il sesso cambia e quindi cambiano anche alcuni avvenimenti. Al contrario di Tara, la madre di Tyler non è morta quando era piccolo. Al suo posto è morto il padre. La madre però è malata ed ha poco da vivere. E non esiste lo Stalker.
    4. Non ho mai scritto su SOA ma non starò qui a dire "siate clementi ecc ecc" XD
    5. Dedicata all'amore mio ù_ù<3



    Tyler Knowles non metteva piede a Charming da quasi undici anni. Era appena un diciannovenne quando era ‘scappato’, trasferendosi a Chicago, e sembrava che in quella città il tempo si fosse fermato... e con esso anche quello che Tyler aveva cercato di dimenticare.

    Aveva fatto di tutto pur di tagliare fuori la sua vecchia vita in quella piccola cittadina californiana, ma ovviamente non era stato semplice cancellare tutto e riuscire a chiudere con il passato. Per un po' di tempo erano stati gli studi di medicina ed il successivo lavoro in pediatria a concedergli una sorta di distrazione, ma quando gli era giunta la notizia della malattia di sua madre si era ritrovato a richiedere il trasferimento al St. Thomas Hospital di Charming pur di restarle vicino.

    Esattamente come il tatuaggio che ancora portava sul proprio petto - non era stato in grado di eliminarlo -, si era reso conto che i progressi che pensava di aver fatto durante quegli anni non erano altro che fragili castelli di carta. I suoi sentimenti e i timori erano ancora presenti, e li era bastato il semplice rombo di un motore per sentire dei brividi lungo la schiena e a riportare alla luce tutti i suoi ricordi.

    Erano cose piacevoli ma anche dolorose. Cose che non voleva riaffrontare, ma forse la sua era una sfida persa in partenza - Charming era ‘piccola’ per modo di dire -, ed era ben consapevole che non sarebbe riuscito ad evitare a lungo il suo incontro con Jackson Teller.

    “ Il primo amore non si scorda mai”, chiunque conosceva quella frase e poteva addirittura pronunciarla, ma Tyler suo malgrado la sentiva più reale che mai. Si era innamorato di Jax quando aveva sedici anni e, di certo, non era stato semplice accettare di avere una ‘fottutissima erezione’ per un ragazzo. Non lo era per nessuno, men un sedicenne di Charming… soprattutto se il ragazzo in questione aveva a che fare con i SAMCRO.

    Tyler sapeva bene chi era Jax Teller, lo sapevano tutti in città. Era il figlio di John Teller, uno dei fondatori dei Sons of Anarchy, il Club Motorciclistico, e figlio adottivo di Clay Morrow, uno altro dei fondatori. Un nome una ‘condanna’, perché per quanto la gente apprezzasse il ‘servizio’ dei SAMCRO nel tenere lontani da Charming droga e prostitute, erano ben consapevoli dei problemi con la legge di quel gruppo.

    Lui però non poteva farci niente. Jax gli era piaciuto sin dal primo momento e si era fatto alcune delle migliori seghe della sua adolescenza pensando a quel ragazzo. Non si era mai considerato ‘sfortunato’ per quella sua tendenza - e ad essere sinceri, avrebbe avuto ogni ragione di quel mondo per sentirsi un poco ‘nella merda’ -, soprattutto quando Jax si era rivelato più che aperto nell’accettare quell’attrazione.

    Avevano avuto una relazione? Poteva dire di sì. Nascosta, mascherata con una forte amicizia e da delle bravate giovanili, ma c’era stata una ‘relazione’. Complicata, certo, ma non per questo meno intensa di una qualsiasi ‘cotta giovanile’.

    Tyler aveva amato Jax e, suo malgrado, continuava a farlo nonostante tutti quegli anni. Anche dopo che il ragazzo aveva deciso di non seguirlo nella sua fuga verso Chicago, preferendo prendere i colori di SAMCRO.

    Come dargli torto dopo tutto, Charming era la sua vita e Tyler sapeva fin troppo bene che Jax non aveva mai desiderato altro in vita sua se non entrare in quel gruppo. Al contrario suo però, Tyler aveva avuto paura di fare lo stesso. I troppi pericoli e le denunce lo avevano spaventato fino a farlo scappare dalla sua città, lasciando Jax e tutto quello che avevano condiviso… fino a quel momento.

    Per qualche settimana era riuscito ad evitare ogni singolo incontro con Jackson. Era riuscito ad ambientarsi nel nuovo ospedale, nel reparto di pediatria con il dottor Nameda, e sua madre sembrava quasi sentirsi più al sicuro con la sua vicinanza. Ma alla fine era stato impossibile per lui non incontrare Jax.

    Inizialmente non sapeva chi fosse la donna incinta che stava operando con il primario. Sapeva solamente di dover fare il suo lavoro e fare tutto quello che era in suo potere per salvare quel bambino prematuro, sperando che i danni causati dalla sconsideratezza della madre - giunta lì in overdose - non avessero reso i loro sforzi vani.

    Solo dopo l’operazione si era reso conto che ad aver chiamato l’ambulanza non era altri che il suo incubo. Non si trattava di Jax, ovviamente, ma di sua madre: Gemma Teller-Morrow - colei che era in grado di farlo tremare anche solo con uno sguardo. Lui in quelle settimane non aveva mai visto né aveva letto la cartella clinica di quella donna, ma apprese fin troppo velocemente che quella che aveva appena partorito era Wendy, l’ex moglie di Jackson.

    Il primo pensiero di Tyler si ridusse ad un ironico: « Fantastico», perché non si aspettava che Jax si fosse sposato e che avesse avuto un figlio - da una tossica poi -, in seguito tuttavia quel suo pensiero venne presto sostituito da varie imprecazioni che riuscì miracolosamente a tenere per sé mentre illustrava le precarie condizioni del neonato alla famiglia.

    Per Tyler era stato fin troppo semplice riconoscere Jax quando lo vide varcare per la prima volta il reparto di pediatria. Gli era bastavo vedere la sua camminata strafottente ed il gilet in pelle di SAMCRO, accompagnati da quel suo familiare sorriso, gli occhi azzurri ed i capelli biondi per sapere che quel Jax, ormai trentenne, non era poi così diverso dal ragazzo che aveva amato anni prima.

    Forse c’era qualche muscolo e tatuaggio in più, ma era sempre lui… e fu in quel momento che Tyler comprese di essere completamente fottuto. Perché con quell’incontro tutti i suoi dubbi erano spariti, lasciando spazio alla certezza che i suoi sentimenti erano ancora lì. Neanche undici anni lontano da Charming erano stati in grado di fargli smettere di amare Jax Teller.

    Tralasciando quella ‘spiacevole consapevolezza’, Tyler cercò tuttavia di fare il proprio lavoro mentre spiegava a Jax e agli altri presenti quanto fossero critiche le condizioni del neonato - rischiava di non arrivare al giorno dopo a causa del trauma subito e dei problemi cardiaci ereditati dalla parte paterna.

    « Siamo stati costretti ad intervenire con un cesareo d’urgenza, il bambino è prematuro di dieci settimane», spiegò cercando di mostrarsi più professionale possibile, anche quando Jax lo incoraggiò ad essere più diretto, « Ha un difetto congenito al cuore ed una gastroschisi… una lacerazione dell’addome, Questo e la sua nascita prematura sono causati dalle droghe, ma probabilmente il difetto cardiaco è...»

    « Un difetto di famiglia», si intromise Gemma, sempre accanto al figlio.

    Tyler annuì.

    « Sì, è genetico», confermò, abbassando lo sguardo, « Sono dei problemi seri. Singolarmente non mortali, ma insieme...»

    Non era semplice dare simili notizie ad un genitore e per lui non lo era dirlo alla persona che amava... non quando gli occhi di Jax si riempirono di quella consapevolezza che Tyler non era certo di poter affrontare. Tant’è che non riuscì a trattenersi dal pregarlo con lo sguardo, chiedendogli di impedirgli di parlare, tuttavia Jackson lo esortò con un lieve cenno ad andare avanti..

    « I-il dottor Nameda gli da il venti percento di possibilità… e temo sia una previsione ottimistica».

    « Oh mio dio…», esalò Gemma.

    « Non me ne ha mai parlato. Non lo sapevo…», ribatté Jax scuotendo un poco il capo.

    « La sua ostetrica dice che ha saltato gli ultimi incontri. Nessuno lo sapeva», si intromise subito Tyler, nel tentativo di rassicurare l’altro, « Il dottor Nameda per prima cosa vuole agire sull’addome. In seguito, se si stabilizzerà, cercherà di intervenire sul cuore…»

    Si trattenne dal prendergli le mani per fargli sentire la sua presenza, era un gesto inconscio che aveva sempre fatto in privato con Jackson… ma quello non era né il luogo né la situazione adatta.

    « M-mi dispiace Jax», borbottò scosso per i suoi stessi pensieri, dandogli le spalle per andare verso la porta scorrevole dietro di sé, « Adesso posso fartelo vedere se vuoi…»

    « Tyler!», la voce decisa di Jax lo bloccò sulla soglia, « Non devi farlo, hai sicuramente altri pazienti».

    Distrattamente Tyler si morse le labbra, chiedendosi perché non ci fosse nessun ‘bentornato’ o ‘mi sei mancato’, ma vista la situazione si rese conto che anche quella era una reazione inadeguata al momento, come l’istinto ancora ben presente di prendergli le mani e di abbracciarlo.

    « Non preoccuparti. Voglio occuparmi di tuo figlio», rispose sincero.

    « Si chiama Abel», mormorò Jax piegando leggermente le labbra verso l’alto e strappando un lieve sorriso anche a Tyler.

    « È un bel nome», ammise e ancor prima di poter dire o fare qualsiasi altra cosa, Jax se ne stava già andando lasciandolo solo con Gemma.

    Era stato un primo incontro disastroso, e suo malgrado Tyler si ritrovò a definire in quello stesso modo anche lo scambio di parole che ebbe con Gemma il giorno successivo, dopo l’operazione all’addome di Abel. Era andato tutto per il verso giusto - Tyler aveva l’onore di lavorare con un primario come Nameda e non poteva che esserne fiero -, ed anche se il neonato era stato indebolito dall’intervento, il dottore era intenzionato ad agire anche sul cuore.

    Era la scelta migliore, ma per Tyler c’era qualcosa in più da dire… anche se questo significava dover affrontare Gemma. Erano le condizioni della madre del bambino a preoccuparlo, e lui non era abituato a tacere su simili cose.

    Per quanto la donna lo terrorizzasse, Tyler era abituato a tirare fuori le palle quando era necessario - forse era proprio il fatto che Gemma riuscisse a tenergli testa in quelle occasioni a spaventarlo.

    « Wendy è davvero in pessime condizioni. È in astinenza e non smette di piangere…», esordì e ancor prima di poter aggiungere qualcos’altro, Gemma lo bloccò.

    « E allora?»

    « Magari potreste parlare. Farle capire che non è sola…»

    Si fermarono nel mezzo del corridoio, e Tyler sentì la stessa necessità di fuggire che aveva caratterizzato ogni suo singolo incontro con la donna negli anni precedenti. Era più forte di lui: Gemma lo terrorizzava.

    « Fidati. Non c’è niente che io possa dire a quella puttana tossica che possa farla sentire amata».

    « Dimenticavo quanto… tu potessi essere schietta», borbottò.

    « Ti sei dimenticato un sacco di cose, tesorino», ribatté Gemma e qualcosa nei suoi occhi fece comprendere a Tyler di non essere il benvenuto lì a Charming - almeno, non lo era per quella donna.

    « Ti… disturba che io mi prenda cura di Abel?», domandò incerto anche se ben consapevole della risposta che lo attendeva.

    Gemma lo odiava. Forse non per via della sua omosessualità - probabilmente neanche sapeva niente del suo orientamento e della passata relazione con Jax -, ma per il fatto che il suo legame con Jackson aveva quasi portato quest’ultimo a lasciare Charming. Quello non poteva perdonarglielo: era fin troppo palese.

    « Sei un bravo dottore?»

    « Io… sì. Sì. Lo sono», rispose cercando di dare alla sua voce un tono risoluto.

    « Allora non ho problemi», tagliò corto Gemma.

    « O-okay… senti, so bene di non esserti mai piaciuto», continuò Tyler, « Ma non sono più un adolescente».

    Gemma sorrise quasi maliziosa facendo un passo verso di lui, allungando la mano sull’ampio collo a V della sua uniforme.

    « Suppongo che tuttavia… certe cose non possano essere cambiate», commentò placida, scoprendo un poco il tatuaggio, lasciando Tyler quasi pietrificato.

    « Solo un ricordo», dichiarò, spostandosi indietro per uscire dalla ‘linea di tiro’ di Gemma.

    « Sei sempre stato intelligente», rispose la donna e, sempre con quel suo sorrisetto malizioso, si allontanò lasciando Tyler fermo in mezzo al corridoio.

    Sospirò, e scuotendo il capo andò a preparasi per l’operazione sperando di concludere al più presto quelle giornate che avrebbe volentieri definito ‘di merda’... ovviamente se non fosse stato per Jax che, dopo chissà quale casino, era tornato in ospedale e lo aveva semplicemente abbracciato.

    Lo aveva stretto con forza e sicurezza, affondando il viso nell’incavo del suo collo, lasciandosi andare ad un lungo sospiro sollevato che si concluse con un: « Sono felice che tu sia tornato a Charming, Ty», che fu in grado di far dimenticare a Tyler anche il fatto che la camicia dell’altro fosse sporca di sangue.

  13. .
    Titolo: Morning
    Fandom: Pacific Rim
    Personaggi: Fem!Raleigh Becket [Rosie Becket], Fem!Yancy Becket [Nancy Becket]
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Flashfic, FemSlash
    Conteggio Parole: 150
    Note: 1. Nata per un meme su tumblr ù_ù datemi una coppia ed un prompt ed io scrivo una fic in 3 frasi per voi<3
    2. Prompt: Nancy and Rosie waking up Feb 29th 2020. 2 AM.


    Nancy Becket si chiedeva spesso come facesse la sua sorellina ad avere così tante energie quando venivano chiamate per a quegli orari improponibili.

    Saltava da una parte all'altra, eccitata ed esaltata all'idea di tornare alla guida di Gispy, mentre lei al contrario riusciva solo a trascinarsi verso il bagno quasi senza forze... invidiava l'energia della sua Rosie, e proprio per quel motivo, da brava sorella maggiore, si sentiva quasi in dovere di 'vendicarsi'.

    « Ehi ragazzina», la richiamò con voce ancora roca ed impastata dal sonno, osservandola mentre si metteva il rossetto, « Non hai bisogno di truccarti», proseguì, e quando il sorriso sul volto di Rosie si allargò si affrettò ad aggiungere un: « Tanto è tempo sprecato», prima di chiudersi dentro il bagno, seguita dagli insulti divertiti della sua sorellina.

  14. .
    Titolo: Grow up
    Fandom: Pacific Rim
    Personaggi: Hercules Hansen, Fem!Chuck Hansen [Charlotte Hansen]
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Flashfic, What if? (E se…)
    Conteggio Parole: 190
    Note: 1. Nata per un meme su tumblr ù_ù datemi una coppia ed un prompt ed io scrivo una fic in 3 frasi per voi<3 Come le altre questa è un po’ più lunga!
    2. Prompt: Chuck/Herc Fem!chuck


    Quando Stacker aveva convocato Herc per comunicargli che sua figlia non si era presentata alle lezioni dell'Accademia, l'uomo non poté fare a meno di correre nella loro camera ed entrarvi dentro alla ricerca di spiegazioni.

    Era preoccupato - Charlotte non saltava mai le lezioni -, e l'idea che stesse male lo stava già distruggendo, soprattutto quando sua figlia, sentendo la sua voce, si precipitò fuori dal bagno per abbracciarlo… cosa che non lo faceva da anni.

    « Charlie, che succede? Stai bene?», domandò allarmato, carezzando i capelli della ragazzina che, stringendosi più forte a lui, mormorò un: « N-non lo so! Ma s-sanguino e... e ho p-paura papà! Ti prego, f-fa qualcosa!»

    Herc ci mise poco a capire quale fosse il problema della sua amata bambina - non era più una ‘bambina’, stava crescendo -, e sorridendo sollevato si apprestò a rassicurarla con un: « Va tutto bene, piccola mia».

    Ovviamente non era preparato ad affrontare un simile discorso 'da donne' - in realtà non sapeva neanche da dove iniziare -, ma avrebbe ugualmente fatto del suo meglio per tranquillizzare Charlie e spiegarle che quello che le stava accadendo non era niente di mortale.

  15. .
    Titolo: Cuddle
    Fandom: Pacific Rim
    Personaggi: Raleigh Becket, Chuck Hansen, Hercules Hansen, Chuck Hansen
    Genere: Introspettivo, Fluff
    Rating: Verde
    Avvertimenti: Flashfic, What if? (E se…)
    Conteggio Parole: 160
    Note: 1. Nata per un meme su tumblr ù_ù datemi una coppia ed un prompt ed io scrivo una fic in 3 frasi per voi<3 Anche questa è uscita un po’ più lunga del preveisto
    2. Prompt: Yancy Becket/Chuck Hansen/Raleigh Becket/Hercules Hansen
    Cuddles just fluffy cuddles. if your still taking prompts.



    Per Chuck era stato impossibile restare sveglio per tutto il film, e quasi senza accorgersene, aveva appoggiato la resta sulla spalla di Yancy ed aveva chiuso gli occhi. Giusto un attimo, si era detto mentre il maggiore dei Becket gli carezzava la nuca con fare rilassante, giusto il tempo di saltare la noiosissima parte con Frodo e Sam per arrivare a quella più interessante con Aragorn, Legolas e Gimli.

    Sfortunatamente i suoi conti si rivelarono inesatti, e quando riapri gli occhi non si trovava più sul divano, davanti alla televisione. Era sul letto, accoccolato sul fianco di suo padre - che stava leggendo un libro, con Yancy addormentato sulla sua spalla - e con Raleigh che, russando piano alle sue spalle, lo abbracciava stretto.

    Alla fine si era sicuramente perso la parte migliore del film, ma nel sentire il calore delle persone a lui più care si disse che anche l'aver saltato la fine del Signore degli Anelli aveva i suoi vantaggi.


1728 replies since 7/11/2008
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